Essere genitori ai tempi del Coronavirus: saper fare, saper stare

L’esperienza Coronavirus sta mettendo tutta l’Italia a contatto con quelle che sono le dimensioni dell’imprevedibilità e dell’attesa, in un tempo che sembra sospeso e nel quale necessariamente le abitudini sono soggette a cambiamenti. I bambini, che hanno visto totalmente ribaltata quella che era la loro routine di vita, scolastica e sociale, sono coloro che  maggiormente risentono a livello emotivo di questa situazione di stress, e con essi i genitori, che si trovano a dover gestire gli stati d’animo dei propri figli destabilizzati dall’interruzione delle proprie consuetudini. Paure, ansie e incertezze pongono gli adulti di fronte alla difficoltà di gestire,  stare a contatto con queste emozioni dei propri figli, di come spiegare ciò che accade in un tempo che appare dilatato e che spesso è difficile riempire.

Ciò che in molti casi accade è  che si cerca  di far “passare il tempo” proponendo ai bambini una serie di attività che fungono da riempimento appunto, ma che poco spazio lasciano all’espressione di quella che è l’emozionalità che essi si portano dentro. Perché? Perché spesso siamo proprio noi adulti ad avere paura di non essere in grado di dare risposte, di consolare o trovare soluzioni. Eppure il paradosso è che in momenti come questo, in cui le emozioni si agitano dentro con forza prorompente, non ci sono soluzioni da trovare, o risposte da dare. Ciò che è necessario fare è soltanto stare.

Stare in cosa? O meglio con cosa? Con chi? Stare con l’altro e con quelli che sono gli stati d’animo che lo muovono, accogliere, creare uno spazio di relazione con i propri figli in cui sia possibile esprimere anche ciò che non è bello, ciò che spaventa. Negare  sentimenti, emozioni e vissuti emotivi non serve a nulla, anzi, diminuisce quella che è la possibilità di focalizzare l’attenzione sulle proprie risorse personali e sulle proprie potenzialità creative per far fronte ai piccoli e grandi problemi che quotidianamente ci troviamo e ci troveremo ad affrontare; inoltre l’emozione che non viene espressa ed ascoltata rischia di parlare attraverso altre vie ed emergere in forme più sintomatiche come possono essere i disturbi psicosomatici, ad esempio.

Questo spazio  intimo, protetto, in cui sia possibile dar voce ai  vissuti senza che essi diventino troppo disturbanti per i genitori stessi, non può che venirsi a creare attraverso la relazione e attraverso una riflessione condivisa su ciò che stiamo vivendo, di modo che i bambini stessi sviluppino e acquisiscano la capacità di esprimere sentimenti diversi, riconoscerli e rilevare l’importanza che ciascuno di essi riveste dentro se stessi.

Cosa senti? Che effetto ti fa questa situazione così insolita e imprevista? Queste due semplici domande aprono ad uno spazio di condivisione in cui, avendo la possibilità di sentire ciò che crea disagio, si apre la prospettiva di farci qualcosa; se questo permesso di esprimere è, tacitamente o esplicitamente, negato, il rischio è quello di ritrovare i bambini tesi come fasci di nervi, alla ricerca di uno sfogo in un’escalation di nervosismo, rabbia e frustrazione. Con i bambini più grandi questo scambio può avvenire anche in forma dialogica, mentre con i più piccoli sarà necessario utilizzare degli strumenti “mediatori” , come possono essere i disegni o i giochi con i pupazzi.

 Una proposta utile è quella del “barattolo di fagioli”: è necessario procurarsi più barattoli o scatole piene di ovatta e dare ad ognuna di esse il nome di un’emozione, piantandovi in ciascuna un fagiolo; quotidianamente si potrà scegliere insieme quale emozione innaffiare a seconda di come ci si sente. Questo permette ai bambini di esprimere e familiarizzare con le proprie emozioni e con l’idea che sia un diritto esprimerle tutte, partendo dal presupposto che nessuna emozione è sbagliata, ma che, proprio come la piantina che ne nascerà, è importante averne cura.

Poiché inoltre le emozioni guidano le nostre azioni è possibile aiutare i bambini anche a sviluppare la capacità di scegliere cosa fare con esse, dato che ognuna ha un valore e molteplici modi per essere espressa. Con l’aiuto dell’adulto è possibile quindi mimare l’emozione, danzarla, disegnarla o scolpirla con il corpo, in forme diverse, trovando e inventando nuove maniere per darvi forma e voce; in questo modo è possibile favorire la consapevolezza delle diverse modalità di espressione e padroneggiarle senza temere che esse ci sovrastino.

I genitori dovranno essere tuttavia preparati a dover affrontare anche l’espressione di emozioni negative, da cui sempre si vorrebbero proteggere i propri figli, nell’utopica illusione di poterli tenere lontani da quelle che sono le frustrazioni e i dolori della vita, stare essi stessi nella frustrazione che non è possibile salvaguardarli da tutto, ma che è necessario dar loro la fiducia nella propria capacità di stare a contatto e gestire ciò che sentono, assicurandogli comunque  appoggio e presenza;  dobbiamo inoltre  costantemente tenere a mente nel relazionarci con quelli che sono i bambini, col loro mondo che spesso non sembra a nostra misura, che questi vissuti sono quelli che li rendono vivi, profondamente connessi alla realtà di cui fanno parte, e non alienati da essa in quelli che sono, ad esempio, virtuali mondi paralleli. Le emozioni che sperimentano, anche le più disturbanti, sono quelle che li rendono belli, sani, e la cui espressione apre loro la prospettiva di rispettarsi e di ascoltarsi, e a noi adulti la possibilità di crescere un po’ con loro.

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