Televisione e Bambini → Immagini violente

Esiste un corposo numero di indagini, svolte in mezzo secolo circa e condotte con diverse metodologie, che hanno cercato di indagare se e quanto la violenza, rappresentata nelle sue diverse forme sullo schermo, possa influenzare, soprattutto in età infantile o adolescenziale, il comportamento e lo sviluppo sociale, approfondendo il discorso sul rischio di incentivazione di comportamenti violenti e aggressivi. Sono conseguentemente nati numerosi dibattiti, caratterizzati spesso da disinformazione sulle ricerche e giudizi inficiati da preconcetti, con il risultato di una minimizzazione, se non addirittura della negazione, della possibilità di questi effetti o di un’attribuzione in misura rilevante alla televisione dell’aumento della violenza e della criminalità nei paesi occidentali.

Ricerche svolte in laboratorio e sul campo, talvolta con metodi longitudinali e transculturali (Huesmann e Eron, 1986) e le meta-analisi che hanno sintetizzato i risultati (Paik e Comstock, 1994), hanno ottenuto risultati che farebbero effettivamente pensare che esistono effetti significativi della violenza sullo schermo sul comportamento aggressivo e su altri aspetti del funzionamento psicologico, anche se ciò può non essere sempre vero, è necessario cioè differenziare per circostanze e soggetti (UCLA, 1996; National Television Violence Study, 1997 e 1998; Singer e Singer, 2001).

Tenendo conto della maggiore attenzione della ricerca in ambito sociologico a fattori ben più incisivi sulla violenza, come la povertà, il basso livello culturale e l’emarginazione sociale, le conclusioni di cui sopra sono state spesso minimizzate.

È comunque emersa l’esigenza di un cambiamento e di approfondimento di queste ricerche, sia a livello teorico (Smith e Donnerstein, 1998), sia per ciò che riguarda una più adeguata spiegazione che vada al di là di una semplicistica concezione di causalità lineare, quella che va dai messaggi schermo allo spettatore: “Per quanto anche nel passato si siano sottolineate le relazioni di causalità reciproca (il soggetto tendenzialmente più aggressivo è più portato a cercare programmi con contenuti violenti, e questi programmi rinforzano la propensione a comportamenti violenti), aumenta la consapevolezza che anche questo problema deve essere inserito in una prospettiva di sistemi complessi e dinamici” (D. Varin, 2000).

Questo significa che, nell’avvicinarsi al difficile territorio dei possibili effetti della violenza sullo schermo, risulta necessario prendere in considerazione una serie di altre variabili interagenti, come ad esempio le condizioni ecologico-sociali rilevanti ai fini delle modalità della fruizione televisiva (Piromallo Gambardella, Donsì, Minichiello e Petrillo, 2000).

Se il contesto socio-culturale risulta sostanziale, altrettanto lo è l’ecologia della famiglia che potrebbe condizionare alcune modalità della fruizione televisiva (Casetti, 1995): le madri lavorano sempre più frequentemente fuori casa a tempo pieno, con la conseguenza che i bambini passano spesso otto ore al giorno nel gruppo dei compagni di scuola, che diventa pressochè il principale contesto di socializzazione. “In tal modo alcuni bambini possono guardare poco la televisione, ma se nel gruppo dei compagni sono diffusi modelli di comportamento trasgressivo e aggressivo favoriti da un uso indiscriminato della televisione, le probabilità di assimilare questi modelli aumentano, specie per certi soggetti. Effetti di questo genere possono essere mediati, ancor prima del gruppo dei compagni, dai fratelli maggiori e dai genitori fruitori di programmi televisivi violenti. Nelle situazioni socioculturali di povertà ed emarginazione, dove più spesso nell’esperienza famigliare la violenza esplicita o implicita è un mezzo abituale per affermare la propria persona e la propria volontà, la fruizione indiscriminata di programmi ad elevato contenuto di violenza da parte dei bambini può confermare e rinforzare modelli già presenti” (D. Varin, 2000).

È importante comunque riconsiderare i risultati di cinquant’anni di ricerche alla luce di un cambiato contesto storico-sociale e, soprattutto, alla luce di diversi modi dello sviluppo infantile e adolescenziale, con l’acquisizione di capacità e caratteristiche del funzionamento mentale che possono essere state influenzate dalla televisione, e che possono aver modificato alcuni aspetti dell’elaborazione dei materiali televisivi.

È necessario prendere in considerazione soprattutto il sistema culturale globale, dove valori quali forza, trasgressione e violenza caratterizzano la quotidianità, sistema di cui la televisione non fa che ampliare gli effetti, soprattutto sul pubblico infantile. A questo proposito, la psicologia culturale di Jerome Bruner (1986, 1990) risulta di particolare rilevanza teorica per comprendere come agisce il contesto culturale nell’influenzare la costruzione della mente nell’infanzia e nell’adolescenza.

Attualmente è anche aumentata la possibilità di approfondire gli effetti dei media nella dimensione neurobiologica.

Un problema rilevante a questo proposito è costituito dall’ipotesi che un elevato consumo di forme di comunicazione e di messaggi che sollecitano una forte attivazione emotiva elementare (come immagini violente o eccitanti, musiche assordanti e ritmi martellanti), possono ridurre l’attività dei circuiti emotivo-cognitivi più modulati e, abbassando il livello dei processi di elaborazione cognitiva, possono influenzare il funzionamento del cervello durevolmente.

Studi in tale direzione sono stati svolti soprattutto nell’ambito della fruizione musicale.

La dimensione biologica riguarda anche il problema fondamentale delle differenze individuali. Per quanto riguarda la televisione, è stato dimostrato, per esempio, che fattori di ordine genetico possono avere un certo peso nel determinare le differenze interindividuali nella propensione a consumare più o meno televisione, propensione che presenta un elevato indice di ereditabilità (Plomin et al.; 1990). Così la tendenza a trovare nella televisione o nei videogiochi un mezzo di evasione dalla realtà, per quanto più facilmente conseguente da esperienze negative di ordine relazionale, può essere anch’essa favorita da alcune disposizioni temperamentali, in particolare quando la fruizione è legata ad una ricerca di stimoli eccitanti.

Gli studi sui tratti temperamentali suggeriscono che le differenze di ordine biologico nelle disposizioni denominate “sensation-seeking”, possono spingere alcuni individui più di altri a cercare nella televisione, e in alcuni programmi televisivi in particolare, un mezzo per mantenere un elevato livello di eccitazione.

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