Le Bugie Hanno Le Gambe Corte

Non mi dice mai la verità”

Mi nasconde i voti (brutti) che prende a scuola”

Non si fida di me?”

Ma questo è normale o è un segno di patologia?”

Tutti noi genitori ci confrontiamo presto o tardi con le bugie dette dai nostri figli.

LE TAPPE EVOLUTIVE DELLA BUGIA

Dire le bugie rappresenta una normale tappa dell’evoluzione cognitiva e relazionale del bambino.

Il bambino piccolo non sa dire le bugie; nei primissimi anni il bambino non è in grado di distinguere la causa dall’effetto, né il passato dal presente e dal futuro, non è ancora in grado di distinguere la fantasia dalla realtà, e anima gli oggetti come fossero persone vere (Laniado, 2001).

Verso i 2 anni impara a dire “NO” spesso detto per evitare un castigo o affermare la propria indipendenza. Il bambino utilizza la bugia come fosse una bacchetta magica con cui cerca di far scomparire una cosa spiacevole, e per scoprire di avere una propria identità.

A 4 anni, ma spesso anche prima, il bambino impara a “dire bugie” come mezzo deliberato di inganno. Questa competenza segna una tappa evolutiva e cognitiva fondamentale: il bambino capisce che non sempre i punti di vista delle persone coincidono, e che le persone agiscono perché mosse da desideri e intenzioni. La bugia passa quindi ad un livello superiore: non è più solo fuga nella fantasia ma diventa un dissimulare una intenzione.

A 6 anni il bambino sa mentire sulle proprie intenzioni e sui propri stati d’animo. Comprende di poter ingannare un adulto, ma appena viene istruito sulla malvagità della menzogna diventa moralista e intransigente: ciò che non è aderente alla realtà è completamente falso e quindi da condannare (Laniado, 2001). Ogni affermazione falsa è una bugia a prescindere dalle intenzioni, e chi la pronuncia è un bugiardo.

Solo verso gli 8 - 10 anni questa visione comincia a cambiare: il ragazzo diventa più abile, impara a dissimulare, ad assumere una espressione credibile, mantiene un sufficiente controllo e non cade in contraddizione grossolana. La bugia smette di essere malvagia; se sia giusto o no mentire dipende dalla situazione.

In preadolescenza è ben chiaro nella mente del ragazzo che mentire non sia giusto ma questa non è una sua priorità. Lo sviluppo di competenze di pensiero più complesso e l’affinarsi delle capacità di rappresentarsi lo stato emotivo delle altre persone consentono all’adolescente di saper distorcere le informazioni cognitive (creando una “falsa cognitività”) e le informazioni emotive (“falsa affettività”).

 

CON LA BUGIA DICO MOLTO DI ME E DELLE MIE RELAZIONI SIGNIFICATIVE

Se con l’evoluzione cognitiva il bambino diventa più capace di controllare la bugia ma sappiamo però che non tutti sono ugualmente abili e che non sempre le bugie sono tutte uguali.

La bugia è uno strumento di comunicazione: comunica qualcosa delle intenzioni del ragazzo ma comunica qualcosa anche della relazione che ha con il mondo degli adulti.

Per comprendere questo ci viene in soccorso la Teoria dell’Attaccamento. L’attaccamento è un sistema motivazionale innato che porta l’essere umano a cercare la vicinanza degli adulti o di consimili in situazioni di pericolo o stress; struttura in modelli operativi interni le aspettative riguardo a sé al mondo e alla relazione con gli altri.

 

La Letteratura ci conferma che esistono dei modelli di relazione sicuri i cui, a fronte delle risposte ambientali sintoniche, il bambino sviluppa fiducia in sé, nelle sue capacità e nella possibilità di essere compreso e ascoltato dall’altro. Questo ovviamente non si traduce in una totale assenza della bugia, ma in una possibilità di recuperare la fiducia dell’altro, poiché il bambino si aspetta che l’altro capisca le sue intenzioni e bisogni e sappia comprenderlo e aiutarlo a gestire la situazione.

Situazione: Mario ha preso un brutto voto. “Mamma ho preso 6”, ma dopo poco tempo, “mamma scusa, prima ti ho detto una bugia. In realtà ho preso 5 ma avevo paura a dirtelo”

 

I bambini e gli adolescenti sicuri maneggiano le emozioni sapendole regolare, integrandole con le informazioni cognitive e con le informazioni relative al proprio passato, riuscendo a gestire queste capacità a vantaggio delle relazioni e della gestione competente dei conflitti. Questo permette loro di creare una valida alleanza con le figure di riferimento e di saper affrontare con il loro aiuto le situazioni di pericolo o di stress.

 

Esistono poi modelli di relazione insicuri laddove, a fronte di risposte dell’adulto non sempre in sintonia con i suoi bisogni, il bambino sviluppa l’aspettativa di non essere sempre capito dall’adulto e non mostra sempre fiducia che questo possa intervenire aiutandolo a gestire e regolare le sue emozioni. Ecco che quindi la bugia assume un ruolo protettivo: evitare la brutta sensazione di non essere capito, le conseguenze negative legate da una intensa risposta emotiva, la paura di essere giudicato negativamente.

 

Il bambino insicuro evitante si mostra capace di mantenere un controllo cognitivo sulla bugia. Ha imparato a tenere “alla temperatura minima” le sue emozioni poiché nel suo ambiente probabilmente le risposte emotive intense non sempre sono comprese degli adulti, anzi spesso sono disincentivate; la bugia, che risulta cognitivamente ben costruita, serve al bambino per badare da solo alle sue emozioni ed evitare un castigo o un giudizio negativo del genitore.

 

Situazione: Mario ha preso un brutto voto. “Mamma ho preso 7” ma al contempo pianifica di correggere il voto sul diario e simula la firma della mamma che pone sulla verifica che consegna alla maestra.

Divenuto adolescente impara con capacità a distanziare tutti gli affetti negativi (rabbia, paura, tristezza, vulnerabilità) che considera pericolosi, può spesso modificare questi stati emotivi o inibire protesta e rabbia, giungendo a mantenere una falsa affettività. Può quindi spesso mostrarsi non dispiaciuto se scoperto in flagrante oppure eccessivamente accondiscendente nei confronti dell’adulto.

 

Il bambino insicuro ansioso tende, invece, ad andare facilmente “sulle alte temperature emotive”; di solito manifesta intensa emozioni, si mostra molto spaventato o molto arrabbiato. Ha imparato che nel suo ambiente le manifestazioni eclatanti aiutano l’adulto a rispondere ai suoi bisogni e lo tengono “agganciato” a sé. La bugia in questo caso non è ben costruita, ma spesso detta “di impulso”, sulla spinta di una emozione intensa. È facile che compia errori grossolani, e che la bugia venga facilmente scoperta. La risposta del genitore spesso è di rabbia ma anche di preoccupazione.

Situazione: Mario ha preso un brutto voto. “Mamma ho preso 7” e nasconde la verifica sotto il cuscino del letto in camera; la mamma il giorno dopo rifà il letto e scopre la verifica.

 

Divenuto adolescente, impara a distorcere le informazioni cognitive, utilizzando una “falsa cognitività” che lo aiuta maggiormente a dissimulare e a tenere nascoste informazioni importanti. In situazioni di percepito pericolo può combinare questa falsa cognitività con l’espressione di intense emozioni, limitando la sua capacità di valutare effettivamente gli effetti del proprio comportamento.

 

COME RISPONDERE ALLE BUGIE DEI NOSTRI FIGLI

Il primo passo è quindi chiedersi: “che cosa vuole comunicarmi mio figlio con questa bugia?” e “perché questa bugia ora?”.

Chiederci questo ci apre una finestra di opportunità: la bugia è il segnale che il bambino è in balia di intense emozioni. Questo rappresenta sia per il bambino la possibilità di imparare a chiedere aiuto, sia per il genitore la possibilità di fornire al bambino un aiuto per imparare a gestire meglio le sue emozioni.

Il secondo passo è rappresentato dallo spegnere la propria reattività e passare ad una dimensione di ricettività: spegnere la rabbia e la frustrazione per la menzogna, spegnere la paura per una fiducia compromessa.

Aprirsi invece all’ascolto: che emozioni sta provando il bambino? Quali intenzioni lo muovono? Studi dimostrano che la ricettività aiuta il bambino a regolare le sue emozioni e apre alla possibilità che l’adulto possa fornire suggerimenti e istruzioni per il futuro. La reattività, al contrario, porta il bambino a chiudersi e ad essere a sua volta reattivo, impedendogli così di ricevere un utile insegnamento.

Il terzo passo sta nel validare le sue emozioni, ma non il comportamento disfunzionale. Ovvero nel legittimare ciò che il bambino sente (“sei deluso perché l’interrogazione è andata male”, “hai avuto paura che mi arrabbiassi perché il vaso è rotto”), sentendosi capito e non giudicato, aiutandolo a dare attenzione alle sue emozioni e a saperle identificare.

Successivamente coinvolgerlo nel trovare modi differenti per gestire in futuro situazioni simili (“Ho capito perché hai fatto questo; sai però che non va bene dire le bugie. La prossima volta cosa potresti fare di diverso?”) in modo da ampliare il suo bagaglio di comportamenti e le sue possibilità di azione futura.

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