Crisi, depressione, psicosi post partum

Il puerperio, cioè il periodo immediatamente successivo al parto, è generalmente vissuto dalle madri come un’esperienza felice e gratificante.

Tuttavia, in una discreta percentuale di casi (incidenza: 30-80%), il periodo puerperale può essere perturbato da una sintomatologia ansiosa e depressiva, di intensità variabile a seconda della personalità, della storia familiare della donna e del contesto sociale in cui essa è inserita.

Tale sintomatologia, comune e transitoria, spesso compare già durante gli ultimi mesi di gravidanza e persiste, indicativamente, fino alle prime due/quattro settimane dopo il parto, ripresentandosi, talora e in modo più attenuato, intorno alla ventiquattresima settimana, in occasione dello svezzamento del bambino.

I sintomi più frequenti della crisi post partum sono appunto ansia, agitazione, irritabilità, spossatezza, insonnia o sonnolenza, inappetenza, o viceversa eccessiva fame, ma soprattutto umore depresso, con crisi di pianto improvvise e apparentemente immotivate, o umore instabile, associato a sentimenti contrastanti ed ambivalenti, come ad esempio, euforia e malinconia o tristezza.

Le ragioni, di carattere fisiologico e psicologico, che concorrono a delineare questo quadro sono, ovviamente, molteplici e profonde.

L’esperienza coinvolgente ma faticosa del travaglio e del parto (a cui è connessa l’angoscia, sempre presente, di generare un figlio con problemi di diversa natura), le possibili complicanze ostetriche (vissute frequentemente come un fallimento personale) ed una certa ipersensibilità fisiologica, connessa alle fluttuazioni ormonali sono solo alcuni dei fattori di rischio di una crisi puerperale.

Dal punto di vista psicologico, il parto infatti segna la prima importante separazione tra madre e figlio, tra due organismi che fino a quel momento avevano vissuto uniti, fusi, in un rapporto di totale dipendenza e di intimo contatto. Il momento del parto rappresenta quindi non solo un’acquisizione (il bambino) ma simboleggia anche la perdita di una parte importante di sé, senza la quale la donna può sentirsi svuotata.

Inoltre la madre, che durante la gravidanza aveva lentamente dovuto incorporare il feto come parte del proprio schema corporeo e che aveva dovuto gestire l’ansia di vedersi sformata o brutta, dopo il parto si vedrà obbligata a modificare, nuovamente, la propria immagine corporea.

Corpo che, a seguito del periodo espulsivo, può essere percepito dalla donna come danneggiato e che, dopo il parto, stenta talora a ritrovare la propria forma. Tutto ciò può ostacolare la ripresa di una regolare attività sessuale, aspetto che, congiuntamente ad altri, contribuisce a mantenere l’armonia coniugale. 

Poi, una volta nato il bambino, la madre, che fino a quel momento era stata oggetto di affettuose attenzioni, premure e festeggiamenti da parte di parenti ed amici, può vivere come una ferita narcisistica, il fatto che l’ambiente circostante non risponda più in modo adeguato alle sue aspettative e alle sue fantasie di accoglimento.

Al rientro a casa, inoltre, gli obblighi domestici tornano in primo piano, alimentando nella donna la preoccupazione di non riuscire a conciliare le mansioni abituali con l’impegno e la responsabilità che l’accudimento di un figlio comporta.

Un altro importante fattore che, nella donna, può suscitare angosce profonde, senso di inadeguatezza e sconforto, è l’avvio della relazione con il bambino. Infatti, subito dopo il parto e nei giorni immediatamente successivi ad esso, la madre deve affrontare nuovi compiti e confrontarsi con le impellenti e perentorie esigenze del figlio, spesso difficili da interpretare.

Figlio che, per quanto desiderato e voluto, può apparire agli occhi della donna, almeno in un primo momento, come uno sconosciuto, come un estraneo che la “tiranneggia”, limitando la sua libertà personale ed il recupero di una normale vita sociale.

Ai fini di un buon adattamento madre-bambino, la madre è poi obbligata ad abbandonare o ridimensionare le fantasie, coltivate durante la gravidanza, relative al temperamento e alla “personalità” del figlio, in funzione del riconoscimento della realtà di quest’ultimo.

E quanto più il bambino “immaginato” o “fantasticato” si allontana da quello reale tanto più intense sono le emozioni disturbanti esperite dalla donna, cioè la confusione e la delusione.

Il processo di riconoscimento reciproco, di cui la madre è promotrice, si caratterizza quindi come un processo graduale e lento che la vede impegnata ad attingere a tutte le sue risorse.

Infine, è essenziale sottolineare che anche il compito dell’allattamento e dell’addormentamento del bambino sono potenzialmente in grado di scatenare una forte quota d’ansia nelle donne.

In sintesi, diventare madre è un processo complesso e faticoso che obbliga la stessa ad operare un ri-adattamento interno ed esterno, ad integrare il nuovo ruolo acquisito, spesso tanto agognato, con quello più conosciuto e “familiare” di moglie e donna.

 

Conseguentemente, al fine di una risoluzione positiva e rapida della crisi post partum, crisi che non dovrebbe comunque mai essere sottovalutata (poiché può sfociare in una depressione post partum o, molto più raramente, in una psicosi post partum), è di fondamentale importanza che la madre riceva un adeguato sostegno emotivo e pratico, in primo luogo, dal marito e, in seconda istanza, da parenti e amici.

Il senso di sconforto e sfiducia, sperimentati dalla donna nelle settimane successive al parto, possono infatti essere alleviati grazie ad un atteggiamento d’ascolto partecipe, comprensivo e paziente da parte del coniuge.

Quest’ultimo può inoltre fornire un aiuto sostanziale alla moglie, spesso oppressa dalle molteplici richieste del neonato, dimostrandosi collaborativo nell’accudimento del figlio e nell’assolvimento di alcuni lavori domestici.

Anche il supporto di parenti ed amici può risultare decisivo; essi, offrendo una presenza discreta, non invasiva, sollevando la donna, alla stregua del marito, dalle incombenze di casa in modo che essa possa ritagliarsi dei piccoli spazi personali, possono mitigare il senso di abbandono, di solitudine e la stanchezza esperiti dalla madre.

Infine è importante menzionare il ruolo significativo, di accompagnamento alla maternità e alla nascita, giocato da tutti gli operatori dei servizi territoriali e dei presidi ospedalieri che, a diverso titolo, si adoperano da sempre perché la donna viva in modo più sereno e consapevole le suddette esperienze.

 

DEPRESSIONE POST-PARTUM (incidenza: 10-20%)
È questa la vera forma depressiva del dopo parto. Inizia tra il secondo e il terzo mese dal parto e può mantenersi inalterata per circa 6/7 mesi se non si interviene, il 3-6% di queste va incontro ad una vera e propria psicosi puerperale.
Secondo la American Psychiatric Association, la depressione postnatale è caratterizzata dalla presenza di 5 o più dei seguenti sintomi, perduranti per almeno due settimane:

  • basso tono dell'umore
  • perdita di interesse
  • aumento o diminuzione dell'appetito
  • insonnia o ipersonnia
  • rallentamento o agitazione psicomotori
  • spossatezza o sensazione di perdita delle forze
  • senso di colpevolezza o indegnità
  • diminuzione della concentrazione
  • pensieri suicidari

Vi può essere riluttanza a "confessare" questi sintomi, per vergogna, senso di fallimento, o ancora per timore di essere giudicate inadeguate alla cura del proprio bambino. Altre volte si preferisce attribuire i propri cambiamenti d'umore alla stanchezza e alle difficoltà di relazione, piuttosto che ammettere di essere depresse.

Esistono dei fattori di rischio per la depressione post-natale:

  • la storia personale di depressione
  • la scarsità o mancanza di sostegno sociale
  • le difficoltà di rapporto con il partner
  • eventi stressanti recenti
  • il baby blues
  • la presenza di psicopatologia nella storia familiare
  • la gravidanza non pianificata
  • l'avere 2 o più figli
  • la disoccupazione, etc..


PSICOSI PUERPERALE (incidenza intorno al 0,2%)
È più grave della depressione post-partum, ci troviamo di fronte ad un disturbo psichiatrico. E' un disturbo che colpisce 1-2 donne su 1000.
I sintomi più frequenti sono:

  • insonnia
  • stato confusionale
  • agitazione psicomotoria
  • gravi oscillazioni del tono dell'umore
  • comportamenti eccentrici
  • deliri ossia idee che non hanno nessuna attinenza con i dati della realtà (ad es. convinzione che il bambino sia malato, che abbia poteri speciali…)
  • allucinazioni cioè percezioni di cose o eventi inesistenti ma ritenuti reali che spesso coinvolgono i sensi della vista e dell’udito (ad es. voci che ordinano alla madre come comportarsi o che commentano negativamente i comportamenti della madre).

Fattori di rischio sono la storia personale o familiare di schizofrenia o di psicosi maniaco-depressiva. Anche le donne con precedente psicosi puerperale sono ad alto rischio di recidiva nelle successive gravidanze.
La comparsa può essere drammatica, con inizio subito dopo il parto o entro 48-72 ore. Nella maggior parte dei casi i sintomi si sviluppano entro due settimane dal parto.
La mamma colpita da psicosi puerperale è totalmente incapace di affrontare la vita quotidiana e soprattutto non è in grado di prendersi cura del proprio bambino.
È necessario l’intervento di uno psichiatra che inizi immediatamente le terapie psico-farmacologiche appropriate e di uno psicoterapeuta.

 

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