Il mito della serotonina nella clinica della depressione

-1- Quando la scienza fa difetto

Si fanno troppe chiacchiere, e' stato giustamente detto, a proposito della serotonina e poca neuroscienza. Come delle spiegazioni semplicistiche e riduzionistiche possono avere preso campo, anche presso illustri clinici, e' presto detto.

A problematiche complesse corrispondono cause altrettanto complesse di per se scoraggianti, tali da indurre in tentazione chi se ne occupa spesso in maniera frustrante. Le industrie e le case farmaceutiche hanno cosi' cavalcato l'onda di questa “scoperta” sensazionale pubblicizzando in tutto il globo i vantaggi della terapia farmacologica serotoninergica in grado finalmente di liberare milioni di persone dal peso di una sindrome cosi' penosa ed invalidante. Si sono potute cosi' liberare, in quattro e quattr' otto, dai sensi di colpa schiere di persone sofferenti che incauti psicoterapeuti avevano loro fatto colpevolmente emergere, ed inoltre, una moltitudine di medici psichiatri e' stata sollevata, potendo ora disporre di un adeguato armamentario farmaceutico, dell' atavico complesso di inferiorità' nei confronti dei colleghi specializzati nelle altre discipline mediche ritenute più' scientificamente fondate.

Tutto cio' dimostra come una teoria risibile della mente come quella che sottostà ad un semplice deficit monoamminico possa avere grande successo, quando, oltre a muovere enormi interessi economici, vada in contro a bisogni psicologici primari quali il recupero ed il risanamento delle ferite narcisistiche che la depressione infligge a chi ne e' colpito, ed a chi se ne occupa con l'intento di curarla od alleviarla, familiari compresi.

E' inutile poi aggiungere che tutto questo ha scoraggiato tante persone, che avrebbero potuto farlo, ad intraprendere un percorso psicoterapico ritenuto perciò' superato ed inadeguato, d'attuarsi semmai in un secondo tempo per stimolare il recupero del paziente ormai “guarito”. Inoltre a causa di una loro presunta non pericolosità' gli SSRI, cioè' gli inibitori specifici della ricaptazione della serotonina, sono prescrivibili in tutto il globo anche dai medici generici i quali, non essendo in grado di fare una diagnosi accurata in materia , e mancando del resto del tempo necessario, non hanno lesinato nel prescriverli, oltre che per se stessi, anche a tutti coloro che ne facessero richiesta o che lamentassero vaghi disturbi dell'umore.

In questi ultimi anni pero, in seguito a studi di revisione sulle sperimentazioni precedenti tese forzosamente a dimostrare l'efficacia degli SSRI, si e' scoperto che le case farmaceutiche ne avevano occultato i risultati negativi. I dati sulla potenziale pericolosità' degli antidepressivi sono stati insabbiati, come quelli che ne evidenziavano un'efficacia simile a quella dei placebo. Nonostante cio' le aziende produttrici di pillole, invece di fare marcia indietro, hanno al contrario cercato di evidenziare l'efficacia degli SSRI consigliandone ed estendendone l' utilizzazione anche ad altre patologie quali l' ansia sociale, le sindromi disforiche premestruali, i disturbi alimentari e quelli ossessivo-compulsivi.

Ora, se e' fuori discussione che nelle depressioni vi siano delle alterazioni chimiche nel funzionamento di alcuni circuiti celebrali, ciò non comporta che queste ne siano la causa prima, né tanto meno che la serotonina abbia un ruolo unico centrale nello squilibrio generale che si determina. Elevate quantità' di neuromodulatori nel cervello non rendono più' felici. Dosi extra di serotonina non arrecano alcun beneficio, né se si abbassa il livello di serotonina in persone normali si provoca la depressione.

D'altronde va anche ricordato che il DSM dell' American Psychiatric Association non elenca la serotonina come causa esplicita di alcun disturbo mentale.
Il cervello non può' essere considerato alla stregua degli altri organi. Esso e' peculiare, non funziona con soltanto molecole chimiche, impulsi nervosi, ma anche con pensieri, immagini, ricordi, sensazioni emozionali, ecc., eventi mentali cioè' che sono in grado di modificare le stesse sinapsi, le strutture organizzative dei circuiti, e quindi infine la biochimica cerebrale.
Infine il cervello e' in stretto contatto con il resto del corpo che influenza ,ma anche da cui e' influenzato.

L'attivita' fisica ad esempio sembra avere notevoli ripercussioni, tra l'altro, sulla chimica del cervello e si pensa addirittura che nelle persone anziane abbia un potere antidepressivo superiore al probabile effetto placebo degli inibitori della ricaptazione della serotonina. Questi effetti di tipo antidepressivo, se vogliamo generici e non duraturi ,potrebbero essere dovuti, tra l'altro, all' incremento di sostanze quali l' Igf-1 ,che stimola la produzione del BDNF, un fattore di crescita nervoso e all' anandamide ,che si lega ai recettori cannabinoidi presenti nel cervello, soprattutto sui neuroni dopaminergici dell' ATV (area tegmentale ventrale) , la cui attivita' risulta fortemente compromessa o indebolita ,a seconda dei casi, nelle sindromi depressive. L' anandamide agisce qui in maniera indiretta bloccando l'attivita' inibitoria del GABA sui neuroni glutammatergici che stimolano appunto il centro dopaminergico dell ' ATV.
(Un effetto analogo, tra l'altro, viene ottenuto con gli stessi meccanismi dall'eroina che agisce sui suoi recettori oppioidi mu del medesimo centro).

Possiamo a questo punto anche accennare, a titolo di esempio, ad una sostanza naturale attivante del sistema nervoso (ma ce ne sono diverse) conosciuta fin dall' antichita' e cioe' l' iperico.
I risultati ottenuti utilizzando estratti di iperico non sono inferiori, se non addirittura superiori, a quelli che si ottengono apparentemente con gli SSRI. Sembra che l' ipericina sia in grado di inibire la metabolizzazione di numerosi neurotrasmettitori.

Come si vede da quanto accennato, effetti antidepressivi parziali possono essere ottenuti in vari modi, ma non costituiscono certo un rimedio definitivo e duraturo del disturbo depressivo che tra l'altro tende a ripresentarsi regolarmente, come sanno tanti medici quando i loro pazienti sono costretti ad interrompere per vari motivi la terapia farmacologica.


-2- Caratteristiche funzionali della serotonina

La serotonina viene sintetizzata dall' aminoacido triptofàno contenuto in diversi cibi proteici. Il suo assorbimento nel cervello e' invece favorito dall'insulina e quindi dall'assunzione di carboidrati che la stimolano. Essa si trova dappertutto, nelle piante, negli animali inferiori, e svolge funzioni diverse a seconda della specie. Ad esempio in certi animali inferiori ha un ruolo fondamentale nell'apprendimento, ruolo analogo che e' stato assunto dalla dopamina poi negli animali superiori, uomo compreso.

Questi cambiamenti di funzione sono comuni, come accaduto anche ad un derivato della serotonina, la melatonina, comparsa inizialmente nelle terra per difendere le prime forme di vita dall' aggressione dell' ossigeno, come antiossidante cioe', per poi assumere in seguito altre proprieta' che ben conosciamo.
Nel nostro corpo la serotonina e' ubiquitaria e viene sintetizzata addirittura per il 90% dalle cellule EC ( enterocromaffini ) del tratto gastrointestinale. Solo il rimanente viene sintetizzato dai neuroni serotoninergici localizzati nei nuclei dorsale e mediano del rafe nel tronco encefalico.

Nell'intestino la serotonina contribuisce a creare riflessi motori e secretori nel tubo digerente, e' un importante regolatore quindi di varie funzioni gastrointestinali. Nell' apparato respiratorio ha un'azione poco rilevante sulla muscolatura liscia dei bronchi. Nel sistema cardiovascolare possiede un'azione costrittiva sulle arterie influenzando la pressione arteriosa. Nelle arterie intracraniche cerebrali una tale costrizione, quando e' accentuata, puo' portare ad attacchi di emicrania. Una parte di serotonina sintetizzata dalle cellule EC si riversa nel sangue dove contribuisce a favorire l'aggregazione piastrinica.

Nel sistema nervoso i corpi cellulari contenenti serotonina si raggruppano a formare i cosiddetti nuclei del rafe, quello mediano e quello dorsale. Questi innervano in modo specifico, ma a volte si sovrappongono, regioni quali l'ippocampo, l' amigdala, il corpo striato, il nucleo accumbens, la corteccia prefrontale e vari nuclei dell' ipotalamo e del talamo.

In generale il sistema serotoninergico produce effetti di fondo inibitori, ma a volte anche eccitatori, come quello sul nucleo paraventricolare dell' ipotalamo che rappresenta la porta dello stress.
Un'aumento della trasmissione nel sistema serotoninergico riduce l'assunzione di cibo, l' attivita' motoria, l'interesse per la sessualita'. Inibendo i neuroni del nucleo basale del prosencefalo la serotonina induce sonno; rinforzando il sistema GABA nell' amigdala smorza le risposte emozionali, mentre nell'ipotalamo ha effetti inibitori sulla temperatura corporea e sulla sensibilita' al dolore. A livello ipotalamico infatti la serotonina induce l'aumento di concentrazione della Beta endorfina. A livello mesencefalico media l'effetto analgesico degli oppiacei esogeni ed endogeni. Anche a livello spinale la serotonina sembra avere ruoli di inibizione del dolore, intrinseci, di stimolo, e da cotrasmettitore con la sostanza P.

Nella corteccia prefrontale, se pur con un ruolo inferiore rispetto ad altri modulatori, un deficit di trasmissione della serotonina sembra promuovere atteggiamenti di inflessibilita' cognitiva. La serotonina quindi favorirebbe l'inibizione di scariche neuronali impulsive che si riverberano nelle regioni limbiche. E' un modulatore che puo' incrementare la riflessione, la sospensione del giudizio, e la messa in atto di comportamenti avventati.

In definitiva da quanto accennato la serotonina pare a avere in generale sulla mente un effetto tranquillizzante , equilibratore. E' stata definita la forza di polizia della mente. In effetti, se la trasmissione e' debole vi e' subbuglio nella mente e se in eccesso repressione, soffocamento.

Da molti e' stata definita la molecola del buon umore ,ma da quanto sinora accennato non sembra una tale opinione essere supportata dai fatti. E' vero che il sistema serotoninergico a un input eccitatorio su quello dopaminergico dell' ATV ,ma una tale modulazione e' mediata anche da altre sostanze. Il fumo, ad esempio agisce in modo analogo sull' ATV eccitando i recettori nicotinici dell' acetilcolina. Gli effetti, che pur esistono, sono pero' moderati, non mi sembra che la nicotina alteri in modo sostanziale l'umore del fumatore provocando uno stato di esaltazione e di euforia.

In chi assume sostanze quali l' ecstasy, che incrementano la trasmissione serotoninergica, l'effetto principale mi sembra che sia un drastico abbassamento dell'ansia sociale e quindi uno stato di sollievo, di capacita' di interagire, una esaltazione dovuta pero' ad un'amplificazione dell' io che si sente piu' libero , meno oppresso e s vincolato rispetto alle regole e alle convenzioni sociali.

Da quanto sinora detto pare che la serotonina abbia a livello cerebrale funzioni sostanzialmente inibitorie ed equilibratrici che hanno poco a che fare con la sintomatologia depressiva che tutti conosciamo.

Sicuramente non ne e' la causa, anche se non puo' non essere coinvolta in uno squilibrio generale che riguarda numerosi aspetti biochimici e strutturali del cervello.


-3- Stress e depressione

In un' ottica stimolo-dipendente, quale quella che si puo' estrapolare esaminando le varie teorie che cercano di dare una spiegazione plausibile alla depressione, le cause non possono che essere ricercate o fuori o dentro di noi. Si tratta di una visuale in cui la persona viene vista come oggetto passivo bersagliato da stimoli dai quali finisce a poco a poco per essere sopraffatto.
Gli stimoli esterni sono di solito rappresentati da eventi dolorosi della vita, da situazioni di stress che a lungo andare minano la autostima dell' individuo che finira' per sentirsi sempre piu' impotente di fronte alla realtà. Si prospetta quindi un progressivo processo di logoramento che si risolverebbe in una depressione di tipo reattivo.

Il modello pero' che e' andato piu' di moda in questi ultimi decenni e' quello della depressione endogena: qui gli stimoli interni sono rappresentati dai geni o da fattori costituzionali i quali si tradurrebbero con il tempo in squilibri biochimici capaci di alterare in senso negativo il vissuto della persona.

Una teoria piu' complessa, che potrebbe essere maggiormente convincente, cerca di integrare in un unico processo dinamico depressione reattiva ed endogena.
Inizialmente tutte le forme depressive sarebbero di tipo reattivo ma a lungo andare la depressione assumerebbe una natura sempre piu' organica per un processo di sensibilizzazione del cervello. Cosi' qualsiasi stimolo, anche il piu' insignificante ,sarebbe in grado di far scatenare una crisi depressiva, immediatamente od anche a scoppio ritardato.

Sui dubbi e la mancanza di scientificita' a proposito della teoria serotoninergica riguardante la depressione abbiamo gia' parlato. L'altra teoria discutibile di tipo stimolo-dipendente e' quella dello stress come fattore depressogeno. Questo verrebbe considerato la porta della depressione in un'ottica reattiva e del resto la depressione stessa verrebbe a coincidere o porterebbe poi ad uno stato cronico di stress. Tutto cio' puo' essere plausibile, ma proviamo a chiarire alcuni concetti che abitualmente vengono dati come acquisiti. Si dice che lo stress e' depressogeno, ma in che senso? Anche nella teoria dell' impotenza appresa si dà per scontato che un individuo si trovi ad affrontare ripetutamente situazioni scarsamente o per nulla gestibili.

Insomma quando si parla di stress ci si riferisce spesso allo stress negativo, quello che ci pone in una grave crisi esistenziale da cui vorremmo allontanarci se fosse possibile. Lo stress che ci capita tra capo e collo, magari quando meno ce lo aspettiamo, una trappola da cui facciamo fatica ad un uscire e che mette cosi' in crisi a poco a poco un' omeostasi psichica gia' precaria. L' inesorabilita' dello stress umano nella nostra societa' ci porrebbe infine tutti piu' o meno a rischio.

Proviamo ora a vedere le cose in un'ottica meno stimolo-dipendente. In realta' ci sembra evidente che al contrario lo stress sia indispensabile per il benessere anche del nostro cervello, e questo sin dai primi anni di vita. Il nostro organismo e attrezzato per affrontarlo: ci sono sistemi che al momento opportuno vengono disattivati quali quello digerente, della sessualita' ed altri invece iperattivati quali quelli cardiovascolare e muscolare. Allo scopo vengono secreti in particolare ormoni quali l' adrenalina o i glicocorticoidi e neuromodulatori quali noradrenalina e la dopamina.
Anche determinate aree cerebrali si sensibilizzano allo scopo di aumentare la vigilanza ,l' acuita' percettiva ,la prontezza di riflessi, l'apprendimento.
La parte piu' evoluta del nostro cervello e cioe' la corteccia prefrontale di destra ,e' specificatamente attrezzata per affrontare situazioni di novita' che ci pongono in difficolta', in allarme, ma che nel contempo ci stimolano a trovare specifiche soluzioni per risolvere il problema ed acquisire quindi nuove conoscenze ed abilita'.

Le connessioni nervose noradrenergiche sono piu' numerose nella corteccia prefrontale destra, e la noradrenalina induce, come risulta da esperimenti di laboratorio, comportamenti esplorativi negli animali a cui e' stata iniettata. Per affrontare la realta' in situazioni di stress occorre fare appello a tutte le risorse.

Nella corteccia prefrontale destra le connessioni con le altre aree cerebrali distali sono ben sviluppate tramite neuroni ( le cellule fusiformi ) dalle lunghe fibre mieliniche mentre a sinistra prevalgono neuroni composti da fibre brevi amieliniche. Tutto questo suggerisce che la corteccia prefrontale destra e' meglio attrezzata per affrontare situazioni di emergenza in quanto puo' fare appello alle risorse computazionali delle altre aree corticali specializzate lontane. La corteccia sinistra contiene invece i modelli strategici tramite cui noi perseguiamo i vari obbiettivi, in definitiva i modelli prescrittivi atti a risolvere classi di problemi gia' affrontati ma che possiamo perfezionare analiticamente.

Quando pero' ci troviamo di fronte a situazioni nuove, diverse dal solito in cui ci sentiamo esposti, poco esperti o abili, e che ci mettono in crisi, allora e' la corteccia prefrontale destra ad attivarsi maggiormente alla ricerca di nuove strategie, di nuovi modelli prescrittivi. Naturalmente le due parti del cervello comunicano tra di loro e collaborano. Non sempre pero', come risulta da indagini sperimentali, le persone sanno usare e sfruttare ambedue gli emisferi contemporaneamente nell' affrontare situazioni problematiche.

Nei soggetti depressi la corteccia prefrontale destra e' spessa iperattiva: cio' potrebbe indicare una modalita' nell'affrontare la realta' in cui prevale il senso di impotenza. Molti stimoli hanno acquistato una valenza negativa. Ci si trova sovente in uno stato di stress cronico. L' ipoattivita' frontale destra e' invece tipica delle persone che definiamo fredde e insensibili, che apparentemente sembrano non aver paura di niente. Sono soggetti che purtroppo per attivarsi hanno bisogno di correre rischi, affrontare situazioni pericolose, vanno a caccia di novita', cercano lo stress all'ennesima potenza. Non cadano in una depressione cronica sin tanto che riescono a perseguire una vita avventurosa e piena di imprevisti. Appartengono a questa categoria molti individui che praticano sport estremi ,a rischio di gravi eventuali incidenti.

Per un buon funzionamento dei circuiti frontali e' necessario un addestramento adeguato. E' indispensabile che fin dall'infanzia si affrontino esperienze di stress tarate secondo il livello di capacita' e di maturita' raggiunta di ognuno.
Bisognerebbe abituarsi a percepire lo stress come fonte di stimolo piu' che di minaccia. Invece nell'attuale societa' il protezionismo genitoriale finisce per essere causa di insospettabili danni per le future generazioni.

A questo punto, se lo stress e' , o dovrebbe essere, fonte di vitalita' e di crescita, come mai in pratica appare cosi' intrigantemente ed indissolubilmente legato alla depressione? Perche' nel discorso dobbiamo farci entrare l'elemento deficitario e spesso assente che invece nel bene e nel male rappresenta il protagonista principale. Tra lo stimolo e la risposta c'e' di mezzo l' io , l'elemento cioe' che valuta, decide, inquadra le situazioni, contestualizza, corregge, esercita l'auto controllo, anticipa, ecc. E queste doti non sono date, ma si acquisiscono con l'esperienza durante le varie fasi dello sviluppo. Se i circuiti prefrontali non vengono rinforzati adeguatamente, semplicemente non ci sono e l' io che ha sede proprio nella corteccia prefrontale resta immaturo.

Alla base della depressione vi e' la fragilita' dell' io che diviene un' entita' pronta ad essere disgregata a poco a poco dalle alterne vicende della vita.
Le persone con un nucleo dell' io piu' stabile tendono ad affrontare lo stress in maniera piu' positiva e costruttiva, e quando lo devono subire ne vengono fuori con piu' facilita'. Cio' dipende dal fatto che la corteccia prefrontale destra valuta maggiormente le difficolta' e le novita' come opportunita' e come fonte di conoscenza e maturazione.

Completamente diversa e' l'ottica con cui il soggetto fragile affronta lo stress, in quanto l'alterazione regressiva dei circuiti neuronali prefrontali con il tempo tende a progredire facendo inaridire la capacita' di interessarsi genuinamente, e non per calcolo, alle cose in generale e quindi ad apprendere. L'approccio nei confronti del mondo diventa cosi' superficiale ed in molti solo eventi e situazioni anomale sono in grado di attrarre e quindi attivare il sistema dopaminergico, deputato appunto a modulare i circuiti prefrontali in senso eccitatorio. Un' iperfrontalita' dell'emisfero destro,in altri, puo' anche pero' indurre ad aggrapparsi alla routine, a vedere di malocchio ogni possibilita' di cambiamento poiche' ci si sente impotenti nei confronti di un mondo pieno di pericoli. La fragilita' dell' io inoltre, non va vista solo nel suo aspetto puramente cognitivo astratto ma anche in quello emotivo. Essa si traduce in un vissuto negativo pieno di angosce disperazione senso di vuoto che non abbandona mai il soggetto e rappresenta il sottofondo della sua vita.

Una tale realta' emozionale autodistruttiva, come e' immaginabile, non puo' essere tollerata e deve essere percio' rimossa e negata. Sono pochi , se pur esistono, quelli che si accettano completamente, nella loro fragilita' e indegnita', pertanto si finisce per impegnarsi con tutte le proprie forze in strategie difensive miranti a creare un io fittizio in grado di recuperare l'autostima perduta.

E' da qui che nasce la spinta esagerata verso il successo, l' ipercompetizione, il perfezionismo coatto, il bisogno di esibire performance in continuazione allo scopo di compensare la mancanza di un flusso continuo di autostima. Ma in questo modo si finisce per dipendere totalmente da rinforzi esterni, in quanto l' io e' una pura immagine che tende a disintegrarsi e crollare ad ogni avversita' che metta in discussione la propria autostima. Ed e' qui che ci ricolleghiamo alle complesse dinamiche dello stress. Si sa' , tra l'altro, che nell'uomo la maggiore parte degli stress negativi riguardano minacce alla autostima. Mentre per gli individui che possiedono un io piu' strutturato lo stress e' anche un fattore di attivazione e di rinforzo intrinseco che agisce sullo sfondo di un umore di base positivo, o comunque non del tutto negativo ,per quelli che hanno invece un io fragile la situazione si presente in maniera diversa. Esso diventa una necessita intrinseca per esorcizzare il profondo malessere da cui vogliono fuggire.

In questi ultimi, anche la risposta ormonale allo stress sembra diversa dai primi. L'evento stressante induce infatti picchi di cortisolo piu' elevati, inoltre adrenalina e cortisolo tendono a permanere piu' a lungo in circolo. E il cortisolo ,si sa, a livello cerebrale se inizialmente ha un'azione stimolante a lungo andare finisce per destabilizzare la funzionalita' della corteccia prefrontale e dell' ippocampo. In quest'ultimo, che ha numerosi recettori per il cortisolo con funzione inibitoria, ne viene indotta la morte cellulare nell'area CA3 e ne vede soppressa la neurogenesi nel giro dentato.

Nella corteccia prefrontale si verifica un'alterazione funzionale che si traduce in un peggioramento della memoria di lavoro. Da ricordare, poi, che il cortisolo ha una azione inibitoria indiretta sul sistema serotoninergico, in quanto attiva un enzima , la triptofano ossigenasi che diminuisce alla fine la disponibilita' di questo aminoacido. Inoltre riduce la sensibilita' dei recettori della serotonina nella corteccia prefrontale.

Se si vuole dunque cancellare la negativita' di un umore di base depressogeno legato alla fragilita' dell'io, bisogna mantenere alti i livelli di autostima mediante l'ausilio di rinforzi esterni. Questo io fittizio traballante e' come un aguzzino in quanto pretende sempre nuove performance in grado di soddisfarlo, e siccome vige anche nel nostro caso la regola dell'assuefazione, e' necessario che l'individuo si impegni sempre di piu'. Lo stress non e' ormai un impegno naturale con finalita' di sviluppo e teso a fortificare la persona con prove piu' o meno dure,bensi' una necessita' per impedire che l'autostima scenda sotto il livello di guardia.

Tutto cio' che rinforza dall'esterno l'autostima finisce per stimolare il centro dopaminergico dell' ATV e quindi serve a mantenere alta l'eccitazione con finalita' antidepressiva. Ma lo stress e' un arma a doppio taglio. Per soddisfare le esigenze di un io insaziabile ci si impegna in maniera eccessiva e ci si caccia in situazioni che se all'inizio apparentemente sembrano poter procacciare i rinforzi positivi tanto desiderati, risultano alla fine come delle trappole fonti di frustrazione e logoramento.

L' esposizione a fattori di stress piu' o meno gravi, a lungo andare, comportando un'attivazione fisiologica esagerata, favorisce scompensi che alterano la funzionalita' di vari distretti corporei a livello del sistema immunitario, cardiovascolare, gastrointestinale, ecc. Va comunque fatto notare che anche se gli stressor sono negativi, essi hanno un ruolo fondamentale nelle dinamiche mentali di chi ne va a caccia e ne abusa.

Di recente, interessantissimi esperimenti a riguardo, hanno evidenziato che nell 'ATV esistono due circuiti paralleli: uno sensibile alle emozioni positive, ed uno a quelle negative o comunque “salienti”, dolore compreso. Il che significa che anche le esperienze negative sono in grado di attivarlo e che probabilmente si raggiunge il massimo effetto quando sono tutti e due i circuiti contemporaneamente ad essere stimolati. Cio' darebbe, tra l'altro, una giustificazione ed una base fisiologica ai comportamenti sadomasochisti.

Un' eccessiva stimolazione dei circuiti dopaminergici e noradrenergici ( la noradrenalina ha un ruolo fondamentale nello stress) porta lentamente ad una deplezione di questi, compreso il sistema serotoninergico che ha un input eccitatorio modulatorio sul locus coeruleus ( il centro noradrenergico sito nel tronco encefalico), di modo che il logoramento di questo si ripercuote su quello della serotonina. Ecco almeno un modo con cui si puo' arrivare ad un deficit di questa molecola.

Arrivati a questo punto si rischia di superare la soglia, il set-point oltre il quale si finisce per cadere in una sindrome depressiva che potrebbe anche essere la prima di una lunga serie. Ma se il soggetto ora non puo' fare appello ad eventuali risorse in grado di risollevarlo interrompendo, anche se momentaneamente, il circolo vizioso distruttivo di una vita stressdipendente, c'e' il rischio che ci si infili nel tunnel delle dipendenze. Queste infatti, pur non potendo almeno in maniera duratura risollevare un'autostima sempre piu' minacciata sono almeno in grado di riattivare i circuiti dopaminergici e noradrenergici procacciando degli stati di eccitazione artificiali, spesso anche molto intensi ,capaci di contrastare apparentemente la depressione incombente.

L'aspetto piu' intrigante dei comportamenti additivi mi e' parso sempre l'apparente contradditorieta' dei vissuti che coinvolgono chi ne diventa schiavo. Emozioni positive e negative, benessere e malessere, euforia e cupezza sono tutti aspetti che si intersecano e che con il tempo lasciano sempre piu' spazio a quello che potrebbe sembrare apparentemente il piacere del male, dell' autodistruttivita'. In altra sede avevo descritto sull'argomento meccanismi analoghi a quelli sopra citati e che ora paiono piu' convincenti e supportati grazie all' avanzare della ricerca in campo neurologico.

In ultimo vorrei aggiungere brevemente un'altra argomentazione che potrebbe contribuire a gettare ulteriori ombre sull'ipotesi monoamminica serotoninergica.
La serotonina fa parte dei principali sistemi modulatori assieme all' acetilcolina, la noradrenalina e la dopamina. Ora questi ,come suggerisce anche il nome fanno parte di circuiti che possiamo definire secondari , i quali agiscono e quindi influenzano i circuiti primari governati dal punto di vista chimico dal glutammato e dal GABA. Le diramazioni dei sistemi modulatori che si ripartono da alcuni centri del tronco encefalico si distribuiscono in varie aree dell'encefalo in maniera generalizzata. Si potrebbe allora pensare che abbiano un effetto alquanto generico. In realta' non e' cosi' poiche' agiscono soltanto in quei circuiti primari che sono al momento attivi , e quindi finiscono per avere un effetto molto specifico.

Pur essendo la loro azione importante ed indispensabile ha pero' dei chiari limiti. Agiscono pertanto su cio' che c'e' e non su cio' che non c'e'. I nostri stati mentali sono determinati dai circuiti e quindi dalla loro organizzazione sinaptica all'interno e tra di essi e non dalle molecole chimiche.

Del resto i vari neuromodulatori producono tutti lo stesso effetto , e cioe' impulsi nervosi che sono tutti uguali e possono variare solo nella loro frequenza.
I disturbi mentali sono una conseguenza della disorganizzazione che porta alla disgregazione, dei pattern di trasmissione di questi stessi circuiti primari. A sua volta una tale condizione e' riconducibile all'inadeguatezza di esperienze soprattutto infantili che hanno negato all' io di crescere in sintonia con le proprie potenzialita' intrinseche. I circuiti neuromodulanti, pur essendo indispensabili per regolare l'attivita' di quelli primari, non ne possono cambiare l'organizzazione, che dipende solo dall'esperienza. Inoltre e' la disorganizzazione di questi a probabilmente sregolare l'equilibrio dei circuiti neuromodulanti. Pertanto un'approssimativa riregolazione tramite farmaci di eventuali deficit monoamminici non e' in grado di modificare alcunche'.

Lo si vede chiaramente ad esempio anche nel morbo di Alzheimer ,dove si e' tentato tramite farmaci di colmare il deficit colinergico nel nucleo basale del prosencefalo senza ottenere risultati significativi, con l'aggravante di indurre nei pazienti effetti collaterali negativi.

A base della depressione vi sarebbe quindi un'autostima fittizia che nasconde un io fragile incapace di crescere. Come quest' io e' il risultato di esperienze regressive che hanno indotto un'alterazione dei circuiti, e quindi delle connessioni sinaptiche che li compongono, cosi' tali circuiti potrebbero essere ricablati da esperienze costruttive in grado di riorganizzare quelle stesse connessioni.
Da questo punto di vista la psicoterapia rappresenterebbe in teoria l'arma piu' efficace per indurre modificazioni a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, solo che una tale prospettiva non fosse pero' inficiata e ghettizzata da proposte alternative che la societa' offre ed incoraggia.

Estrapolando da quanto fin ora discusso ci pare di vedere nel disturbo depressivo un iter che segue le alterne vicende di un io traballante e che puo' condurre in alcuni casi a quelle forme classiche di patologia come la depressione maggiore o la distimia cronica generalmente prese a modello per la netta sintomatologia che le contraddistinguono. A noi ci pare invece che non si dia abbastanza importanza ed attenzione a quelle forme depressive e mascherate ricorrenti che si possono definire sindromi ombra, riguardanti una moltitudine di persone e che hanno un andamento altalenante e apparentemente subclinico.

La sintomatologia depressiva allora affiorerebbe con maggiore o minore virulenza dai meandri di un io angosciato e disperato ,ogni qualvolta ci si venga a trovare a corto di adeguati rinforzi esterni in grado di attivare il sistema dopaminergico dell' ATV, ma non solo quello.

Episodi che possono durare secondi come anche giornate intere e che vengono, non appena si viene a recuperare l'umore, sminuiti o addirittura relegati nel dimenticatoio. Allora quello che e' stato rilevato mediante la PET in soggetti cosiddetti normali nel lobo prefrontale sinistro ( quello che di solito viene accoppiato ad una emotivita' positiva), e cioe' un certo livello di iperattivita', verrebbe magari a rappresentare lo sforzo teso a controbilanciare la disregolazione funzionale e le anomalie dell'emisfero destro. Questo sforzo pero', come tale, non riesce a conferire una stabilita' di umore costante ed in certi momenti cede il passo all' ipofrontalita' della corteccia prefrontale sinistra che e' tipica della depressione.


Conclusioni

Riassumendo in poche parole quanto formulato in questa sede, pare che, come del resto e' noto, depressione e stress siano intimamente collegati tra di loro ,ma in modo piu' complesso ed intrigato di quanto si possa pensare, ed inoltre quest' ultimo non ne sarebbe la causa prima. In quanto alla serotonina, certamente ha un ruolo in questa sindrome come di sicuro altri non meno importanti neuromodulatori. Del resto, vale l'equazione che a determinati squilibri mentali non possono non corrispondere alla lunga altrettanti squilibri neurochimici e questi da effetto possono diventare concause.

Ma sicuramente la serotonina non puo' aspirare al ruolo “magico” che tanti pseudo ricercatori, tanti medici entusiasti e soprattutto le industrie farmaceutiche, le hanno precipitosamente ed insistentemente affibbiato.

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