I figli che affrontano la separazione dei genitori

I figli che affrontano la separazione dei genitori

Per valutare l’effetto, positivo o negativo, del divorzio sui figli bisogna considerare se l’evento separativo riduce o incrementa la percentuale di stress cui essi sono esposti. Oltre a elementi come il decadimento delle condizioni economiche, le relazioni con i fratelli, con i pari e con la scuola, il disagio psichico di uno dei due genitori e, in particolare, del genitore affidatario, pare che il fattore maggiormente rilevante ai fini di un migliore o peggiore adattamento psicologico dei figli sia la presenza di dinamiche conflittuali tra coniugi anche dopo il divorzio (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2009; Emery, 2008). I comportamenti messi in atto dai figli quando il conflitto perdura avrebbero lo scopo di accrescere il loro senso di sicurezza emotiva che risulta minato e di regolare il conflitto tra i genitori, anche con modalità disfunzionali e controevolutive per i figli stessi.

Viene descritto in letteratura un “fisiologico” persistere di conflittualità a separazione avvenuta con contenuti diversi rispetto ai tempi del matrimonio. Tali contenuti sono quelli normalmente presi in esame in sede di mediazione familiare e riguardano le questioni economiche, i tempi di frequentazione e di visita, le modalità educative dei figli e la vita affettiva di ciascun ex coniuge, ossia l’eventuale presenza di nuovi partner.

Superati i primi mesi, ci si attenderebbe una diminuzione dell’aggressività. Quando ciò non si verifica, le motivazioni sarebbero da ricercare nelle caratteristiche della conflittualità prima della separazione (temi del conflitto e modalità relazionali di ciascun ex partner), e nella mancata elaborazione psicologica della separazione stessa da parte degli ex partner (Buchanan, Heiges, 2001).

Sono state anche individuate delle caratteristiche che renderebbero il conflitto più stressante per i figli: il grado di aggressività esibita, il modo in cui viene gestito, ossia se si giunge o meno a una risoluzione, la durata (Emery, 2008). Un conflitto connotato da alta aggressività può creare nei figli la percezione di una grave minaccia incombente; quando persiste nel tempo diventa indicatore del fatto che non è stato possibile agli ex coniugi giungere ad una negoziazione e ad una buona soluzione. Ciò manterrebbe i figli in uno stato di allerta cronica, associata a stress e a sentimenti di paura.

Secondo alcuni autori ci sarebbero degli effetti diversi a seconda delle modalità in cui il conflitto è espresso: uno stile apertamente aggressivo sarebbe più frequentemente associato a forme di disagio di tipo esternalizzante (ad esempio: comportamenti antisociali e devianti), mentre il “conflitto coperto”, passivo-manipolativo, a forme di disagio di tipo internalizzante (ansia, depressione, disturbi psicosomatici)

L’incapacità da parte dei partner di trovare soluzioni costruttive risulta spesso correlato a una medesima incapacità nei figli. I figli mancherebbero, cioè, di un modello costruttivo di gestione dei conflitti relazionali, non avendolo potuto sperimentare e apprendere all’interno del contesto familiare. I ragazzi non imparano, cioè, a stare nel conflitto, gestendolo e trovando soluzioni, ma introiettano modalità aggressive, passivo-aggressive, o sviluppano una innaturale capacità di “sopportarlo”, con ripercussioni sulla capacità di percepire il proprio malessere.

I temi del conflitto parentale possono inoltre favorire nei figli il consolidarsi di credenze distorte, come l’attribuzione a sé di caratteristiche negative e della responsabilità del malessere dei genitori.

La mancanza di modelli costruttivi e lo sviluppo di credenze distorte rispetto al proprio sé risultano frequentemente associati a persistenti sentimenti di colpa, mentre l’assistere a un uso disinibito dell’aggressività può far nascere nei figli una credenza di legittimità del comportamento aggressivo (Bandura, 2012; Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2009).

L’esposizione ripetuta a situazioni conflittuali comporta nei figli uno stato di iperarousal, ossia uno stato di sovraeccitazione costante, una scarsa capacità di adeguata valutazione della portata emozionale e del significato di uno stimolo e una minore capacità di autoregolazione. Questa vulnerabilità può restare latente per anni, fino a che non è attivata da situazioni di stress, nelle quali i figli di famiglie separate conflittuali mostrerebbero tratti di ipervigilanza. Laddove, nella medesima situazioni, persone scarsamente ansiose tendono a rivolgere la loro attenzione lontano dagli stimoli negativi, i figli di genitori conflittuali sarebbero meno dotati di questo meccanismo protettivo di elaborazione delle informazioni, mostrando un bias di ipervigilanza e un eccessivo coinvolgimento anche attentivo nei confronti degli stimoli stressanti (Luecken, Appelhans, 2005).

Gli studi che hanno analizzato il rapporto tra conflitto coniugale, età dei figli e adattamento dei minori, mostrano che questi ultimi risentono del clima negativo a qualsiasi età, ma manifestano problematiche specifiche.

Bambini di età prescolare mostrano sintomi di tipo emotivo o somatico come un aumento dell’angoscia al momento della separazione dal genitore (soprattutto se affidatario), risvegli notturni, regressioni evolutive, atteggiamenti aggressivi verso i coetanei e una tendenza ad ammalarsi più spesso. Nell’età della scuola elementare l’elemento centrale è ancora emotivo: non più l’angoscia, ma la tristezza, come se i figli chiedessero ai genitori il permesso di sperimentare ed esprimere il dolore. Possono sentire la mancanza del genitore che è uscito di casa, con, a volte, atteggiamenti di aggressività verso il genitore presso cui risiedono.

Nella preadolescenza, i ragazzi tendono a idolatrare il genitore non affidatario e a esprimere la loro rabbia verso quello con cui convivono. Il dolore della separazione e la persistenza del conflitto, comporta un carico non solo emotivo, ma anche cognitivo per i figli che si traduce in un atteggiamento distratto a scuola e nella difficoltà negli apprendimenti: la mente è molto impegnata a gestire pensieri “altri” e non riesce ad occuparsi delle richieste scolastiche (Mattucci, 2010).

I figli adolescenti hanno una maggiore capacità di elaborazione cognitiva ed emotiva, rispetto a bambini di età inferiore. Possono dunque darsi delle spiegazioni di quanto sta accadendo, di quanto sia per loro minaccioso e di quali risorse dispongano per farvi fronte. Ciò, se da un lato permette loro di gestire un vissuto di impotenza, a differenza di quanto succede a bambini più piccoli, contemporaneamente fa anche sì che i figli adolescenti si coinvolgano più facilmente nel conflitto coniugale (Grych, Cardoza-Fernandes, 2001). Figli adolescenti tendono non solo a litigare più frequentemente con il genitore affidatario, ma anche ad implicarsi in conflitti di lealtà, facendo ricadere la responsabilità della separazione su un genitore e alleandosi con l’altro (Mattucci, 2010). La ricerca di spiegazioni può portare a identificare anche altri falsi motivi, come una personale responsabilità. Che la responsabilità della separazione venga attribuita a se stessi o ad uno solo dei genitori, tali spiegazioni portano a delle attribuzioni di significato disfunzionali che influenzano l’adattamento a lungo termine dei figli.

Per quanto riguarda le differenze di genere, possono essere fatte delle considerazioni analoghe: l’impatto del conflitto interparentale è negativo sia sulle femmine che sui maschi, ma con delle specificità. Maschi e femmine sperimentano livelli di stress comparabili che si manifestano in modi e in stadi evolutivi diversi: i figli maschi sembrano essere più a rischio durante la preadolescenza, mentre le figlie durante l’adolescenza. Spesso i figli modellano le loro reazioni su quelle del genitore dello stesso sesso, in modo tale che, laddove la reazione di quel genitore sia più distruttiva e disfunzionale, ciò rappresenterebbe un fattore di rischio per il figlio dello stesso sesso. Maschi e femmine sarebbero, inoltre, più sensibili a caratteristiche diverse del conflitto coniugale.

I figli maschi sarebbero particolarmente attenti al livello di minaccia percepito nella relazione tra i genitori e ciò rappresenterebbe per loro un fattore di rischio, dal momento che la percezione di maggiore conflittualità aumenta la probabilità che essi mettano in atto comportamenti esternalizzanti, ossia aggressivi. Ciò, a sua volta, può intensificare l’ostilità di uno o di entrambi i genitori non solo nella relazione tra ex coniugi, ma anche nella relazione con il figlio (Cummings, Davies, 1994). E’ noto che gli effetti peggiori sui figli si hanno quando i comportamenti coniugali e genitoriali sono entrambi disfunzionali, quando non è solo fallita la coppia, ma i genitori non riescono a incarnare una funzione adulta costruttiva e amorevole.

Secondo alcuni studi, inoltre, i genitori sarebbero più propensi a mostrare affettività e calore alle figlie e queste imparerebbero più dei maschi a sollecitare tali sentimenti dai loro genitori. I genitori potrebbero dunque essere meno solleciti e tolleranti con i figli maschi.

Le ragazze tenderebbero a sviluppare più facilmente sintomi di tipo internalizzante, come ansia e depressione. Alcune ipotesi di ricerca collegherebbero tali esiti alle differenti attribuzioni di significato di maschi e femmine rispetto al conflitto coniugale e alle differenti attese sociali nei confronti del ruolo femminile e maschile. Le figlie sono più a rischio quando percepiscono se stesse come responsabili del conflitto tra i genitori (Cummings, Davies, 1994), con delle implicazioni forti relativamente al loro livello di “invischiamento” emotivo nelle dinamiche disfunzionali della coppia coniugale (Davies, Lindsay, 2004). Le attese sociali di ruolo indirizzerebbero, inoltre, i ragazzi a sviluppare, a questa età, interessi individuali e ad essere indipendenti e autonomi, mentre dalle ragazze ci si aspetterebbe maggiormente che si preoccupino del benessere altrui. Tali attese rappresenterebbero un fattore di rischio per le ragazze, aumentando la probabilità che esse siano invischiate nelle dinamiche familiari e più reattive al conflitto interparentale.

In sintesi, sembra che l’esposizione al conflitto parentale abbia un’influenza negativa sui figli, indipendentemente dalla struttura familiare (ossia sia in famiglie separate che intatte) e soprattutto nella misura in cui esso si cronicizza. I figli che affrontano il divorzio dei genitori potrebbero essere più a rischio in quanto risentirebbero di un effetto cumulativo: un clima familiare negativo in corso di matrimonio, la separazione dei genitori con le tematiche sopraesposte che aprono ad altri conflitti tipici, la persistente conflittualità anche dopo la separazione. Diverse ricerche mostrano che indici di sofferenza psicologica, come una maggiore propensione al comportamento aggressivo o alla depressione e all’ansia erano presenti prima che il divorzio avesse luogo (Emery, 2008). Il punto centrale

A lungo termine sembra essere maggiormente a rischio la sfera delle relazioni intime per una trasposizione di modelli relazionali negativi dalla relazione d’attaccamento al legame con futuri partner. Inoltre, l’esposizione al fallimento distruttivo della relazione di coppia dei propri genitori può portare i figli ad avere meno disponibilità ad impegnarsi in relazioni intime di cui è percepita la possibile precarietà e in cui ci si può nuovamente sentire vulnerabili.

 

Bibliografia

Andolfi M., Mascellani A., (2010) Storie di adolescenza. Esperienze di terapia familiare, Raffaello Cortina Editore

Bandura A., (2012), Adolescenti e autoefficacia. Il ruolo delle credenze personali nello sviluppo individuale, Erickson

Buchanan C.M., Heiges K.L. (2001) When the conflict continues after the marriage ends: Effects of post-divorce conflict on children, in Grych J, Fincham F. (a cura di), Interparental conflict and child development; Theory, research and application, Cambridge University Press

Cummings E.M., Davies M.T: (1994) Children and marital conflict, New York Guilford, in Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera (2009)

Davies P.T., Lindsay L.L: (2004) Interparental conflict and adolescent adjustement: Why does gender moderate early adolescent vulnerability? Journal of Family Psychology, 12, pp. 163-177, cit. in Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera (2009)

Dubè M. et al. (2004) Climat familial et réseau d’amis chez les adolescents, in Enfance, n. 2, pp. 187-203

Emery R. (2008), La verità sui figli e il divorzio: gestire le emozioni per crescere insieme, Franco Angeli

Francescato D. (1994) Figli sereni di amori smarriti, Mondadori

Luecken L.J., Appelhans B. (2005) Information-processing in young adults from bereaved and divorce families, Journal of Abnormal Psychology, n. 14, pp. 309-313, cit. in Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera (2009)

Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A. (2009), I figli che affrontano la separazione dei genitori, in Psicologia Clinica dello Sviluppo, a. XIII, n. 1, pp. 3-39

Mattucci A. (2010) “Appunti dalle lezioni – Scuola di Mediazione familiare: I anno”

commenta questa pubblicazione

Sii il primo a commentare questo articolo...

Clicca qui per inserire un commento