Ossessione per lo studio

Giovanni

Salve, sono uno studente iscritto al II anno del corso di studi "Medicina e Chirurgia". Brevemente: dopo due anni trascorsi a frequentare un altro corso di studi, decido - nel 2017 - di tentare il test di accesso al CdS "Medicina e Chirurgia", test che supero brillantemente, classificandomi peraltro tra i primi 1200 (su circa 65000 partecipanti). Ottobre 2017 coincide anche con la prima volta via da casa: nonostante potessi pensare diversamente, mi abituo da subito alla vita da studente fuori-sede, le lezioni sono molto interessanti e credo di poter fare davvero bene. Breve passo indietro: la precedente esperienza universitaria mi ha portato solo ottimi risultati (avevo una media del 29.35), per cui do inizio al nuovo percorso conscio delle mie capacità e desideroso di fare bene anche in un CdS complesso quale quello di Medicina. Primi mesi, prime difficoltà: non riesco da subito a comprendere che dovrei studiare meno di quanto effettivamente faccio e che potrei limitarmi a quanto spiegato dai professori a lezione. Così, approfondimento su approfondimento, concludo gli esami del primo semestre in Aprile (sessione straordinaria) con ottimi risultati. Durante il secondo semestre del primo anno, le difficoltà si moltiplicano: inizio a sentire una pressione maggiore, in vista di uno degli esami che - a detta di tutti - figurano tra i più difficili del corso, e per una complessità intrinseca della disciplina, e per qualche peculiarità di troppo dei professori. Intanto, in maggio torno a casa, credo di aver sofferto questo ritorno: vivere in famiglia inizia a stressarmi, in quanto mia madre e mio fratello litigano di continuo, non dandomi la possibilità di concentrarmi per come effettivamente vorrei. Nonostante i miei non mi abbiano mai fatto mancare nulla, ho realizzato (dopo aver intrapreso il percorso da fuori-sede) che forse sono stati sempre troppo oppressivi. Per fare un esempio: a 16-17-18 anni, se dicevo "Mamma, sto uscendo!", lei rispondeva sempre con il solito "E dove vai?", come a dire "E chi te la fa fare? Perchè non rimani a casa?", quasi come se per poter uscire necessitassi di dichiarazione scritta dal presidente della Repubblica; secondo esempio: esprimo la mia volontà di rimanere a studiare nella città in cui frequento l'università e i miei genitori in coro:"Perchè, a casa cosa ti manca? Fai come vuoi, ma sappi che è una scusa quella per cui non riesci a concentrarti qui". Io sono un soggetto che tende a farsi forti sensi di colpa e secondo me, in questi casi, i miei genitori - anche inconsapevolmente - giocano su questa mia debolezza. Dunque, torno a casa (maggio 2018). Il risultato? Non riesco ad ultimare nessuna delle due materie e termino l'anno avendone sostenute 2 su 4. Il periodo maggio-settembre 2018 reca però con sè il germe di un qualcosa di più importante: in agosto-settembre, inizio a sentire una certa apatia (non ho letteralmente voglia di fare nulla, sono depresso, ma non riesco nemmeno a sfogarmi piangendo), un distacco dallo studio. Esco sempre meno, faccio sempre più fatica a concentrarmi, memorizzare, in una sola parola a studiare. Tra mille difficoltà ed una depressione incalzante, termino gli esami del primo anno in aprile 2019, portando la mia media a 28.75. E' un bel risultato, che guarda caso conseguo proprio dopo aver studiato nella città in cui ha sede la mia università, quindi lontano da casa e dai fumi negativi che la contraddistinguono. Trascorre un mese di aprile 2019 molto positivo, mi sembra di essermi ripreso. Maggio 2019: commetto lo stesso errore, quello di rientrare a casa. Luglio 2019: ho saltato una intera sessione di esami e mi ritrovo depresso senza più un minimo di voglia di studiare. A ciò si aggiunga che, ormai da mesi, ho difficoltà nel prendere sonno, mi sento sempre stanco durante la giornata, sono apatico e la notte - prima di addormentarmi - il mio cervello si lancia in una maratona di pensieri ossessivi sul tempo che ho perduto sinora e sulle difficoltà che avrò nel recuperare con gli esami. In tutto ciò, i miei genitori sembrano vivere in una realtà parallela, sebbene io abbia fatto capire ed anche palesato loro le mie difficoltà nello studiare a casa.

Sono in una bolla e sento di essere arrivato al capolinea: non voglio impazzire, il mio cervello chiede tregua e non so come fare. Vi chiedo aiuto!

1 risposta degli esperti per questa domanda

Gentile ragazzo, già da solo e arrivato a cogliere delle coincidenze o dei rapporti causa-effetto che coinvolgono la sua famiglia e il suo luogo di origine. Pertanto, a meno che non ci siano problemi economici che rendano difficile la sua permanenza fuori-sede, è  probabile che il problema si risolva migliorando il rapporto e la comunicazione con la sua famiglia, perchè ciò porterebbe dei cambiamenti.

Il rapporto si migliora attraverso la comunicazione e per far ciò deve giovarsi dell'aiuto di uno psicologo psicoterapeuta, nel senso che questa figura è la più indicata per aiutarla.

Le segnalo il mio articolo  https://www.psicologi-italia.it/disturbi-e-terapie/psicoterapia-della-gestalt/articoli/MigliorarelerelazioniinterpersonaliconlaTerapiadellaGestalt.html

in cui si danno cenni del modo in cui lo psicologo può operare e può aiutarla con l'approccio gestaltico.

cordiali saluti

Dott.ssa Valentina Sciubba

Dott.ssa Valentina Sciubba

Roma

La Dott.ssa Valentina Sciubba offre supporto psicologico anche online