Il romanticismo perverso

IL ROMANTICISMO PERVERSO

Una giovane donna, Bea, si sta preparando alla professione di commercialista, è spigliata e vivace nei rapporti interpersonali ma nasconde un’area segreta: nella sua vita ricca di incontri sociali e di amicizie maschili e femminili, non permette a nessuno di entrare nella sua intimità, il suo vero ed autentico riferimento affettivo rimane la famiglia di origine che vive in un paesino del sud.

E’ una “principessa triste” chiusa nella sua torre d’avorio e che per maggiore sicurezza, ha anche ritirato la scaletta per scendere al piano degli altri. Si immagina come una bella farfallina che fugge via o, quando è depressa, si vede come una sgraziata falena che nessuno vorrebbe avvicinare.

Bea è cresciuta in un ambiente prevalentemente femminile composto dalla madre, nonna, zie, amiche. Il padre -sempre più depresso con il passare del tempo- le è molto affezionato ma si è allontanato con l’inizio dell’adolescenza della figlia; a partire da quel momento si è ingrandita la distanza tra di loro senza però impedire a Bea di avvertire l’amore silenzioso ed incondizionato di un padre disposto ad assecondarla in ogni suo desiderio.

La madre -una donna molto tesa ed ansiosa- ha assunto il ruolo di vigilare sul raggiungimento di ambiziosi risultati accademici e lavorativi della ragazza e per questo la sostiene nelle diverse esperienze di studio ed è anche disposta a tollerarne la lontananza.

Bea è orgogliosa di rispondere all’immagine della giovane autonoma ed indipendente, sempre pronta a viaggiare ed a nuove avventure ma allo stesso tempo, avverte l’urgenza della pressione ansiosa materna e soprattutto non è sicura di condividere i desideri che la madre avrebbe voluto realizzare per se stessa, ossia una vita più vivace e ricca di stimoli, rispetto a quella che ha vissuto e vive nel suo paesino d’origine.

All’immagine della Bea disinvolta e sempre allegra, “scialla” per usure una sua espressione, abituata a vivere da sola in una grande città, si alterna una Bea spaventata dalla possibilità di un rapporto affettivo significativo con un ragazzo. Questo conflitto non impedisce alla paziente di concedersi incontri sporadici di breve durata e scarso significato affettivo che la rassicurano sulla sua femminilità ma che in un certo senso, sono utilizzati per rinforzare l’immagine negativa degli uomini-predatori che devono essere preventivamente usati ed abbandonati. Si instaura così un circolo vizioso che diventa fonte di ansia e di preoccupazione, al punto da motivare la paziente ad iniziare una psicoterapia psicodinamica.


Bea porta nella terapia la sua disperazione che comprende la paura della solitudine, il timore di non essere apprezzata come donna, la preoccupazione di essere sbagliata o malata e di essere portatrice di ipotetici e fantasiosi difetti fisici molto lontani dalla realtà di giovane e bella ragazza. Una sua fantasia ad occhi aperti è quella di essere sola in un giardino dove sono raccolti i busti di tutte le persone che le piacciono, in modo che li possa avere tutti riuniti e vicini.

In questa fantasia è evidente la tonalità narcisistica e anche l’aspetto autistico, l’unico personaggio attivo e vitale è la stessa paziente, tutti gli altri sono rappresentazioni pietrificate e passive. Bea non coglie quanto sia disperante questa fantasia che la condanna a non essere toccata dal calore affettivo, tutto per garantirsi di non soffrire e di allontanare il confronto ed i limite dell’esterno.

Questo tipo di fantasticherie organizzate, strutturate, rigide e ripetitive costituiscono un “rifugio della mente”, ossia una struttura difensiva della personalità, definita così dallo psicoanalista Stainer che richiama il concetto di barriere autistiche nei pazienti nevrotici, della Tastin. Si tratta di un mondo parallelo fantasticato che offre soddisfazioni narcisistiche, sicurezza, rifugio e riparo dalla complessità, dai limiti, dall’ambivalenza che contraddistinguono i rapporti interpersonali, il sollievo assicurato dal rifugio è però costoso, in quanto è ottenuto al prezzo dell’isolamento e del ritiro. Nel caso della paziente, questa modalità difensiva è riservata solo alle relazioni con gli uomini, lasciando libere tutte le altre funzioni.

La fantasticheria romantica infelice, un tipo di rifugio scelto spesso dalle donne, costituisce un sistema ripetitivo e auto referente, atemporale, rigido e strutturato, al punto di allontanare la persona dal fare quelle esperienze affettive e relazionali necessarie per la crescita e sviluppo, l’incontro con l’altro è barattato con l’identificazione proiettiva e l’idealizzazione.

Il ricorrere ai rifugi della mente, è molto frequente, anche nei soggetti normali quando l’angoscia diventa intollerabile, così come per i pazienti borderline e psicotici ma in questi casi più gravi, la modalità difensiva domina la personalità, diventando invasiva ed invalidante e costante mentre le persone più integrate, rinunciano a questa difesa quando viene superata la crisi.

I pazienti che ricorrono in modo massiccio a questa modalità difensiva, a prescindere dalla sintomatologia, sono considerati dagli psicoanalisti R. Schafer e da F. De Masi, dei pazienti difficili in quanto ricorrono a grandi compromessi con il loro senso di realtà. Per conservare un po’ di sicurezza si lasciano andare ad una resa incondizionata proprio a quell’organizzazione che si sono creati nel loro mondo interno.

Nella terapia pongono una difficoltà specifica poiché tendono a vivere gli interventi del terapeuta minacciosi per il loro senso di sicurezza e limitante della loro possibilità di ottenere gratificazioni, il rischio costante è quello della reazione terapeutica negativa che può portare ad abbandonare la terapia proprio nel momento in cui si iniziano ad avviare i cambiamenti positivi.

Il lavoro terapeutico deve quindi giocarsi su un’attenta analisi del transfert e del controtransfert, mantenendo una costante attenzione sul modo in cui il paziente affronta il profondo terrore di sentirsi piccolo ed impotente. E’ necessario molto tatto nel confrontare Bea con i costi psichici della sua fantasticheria, per molto tempo la paziente si rifiuta di riconoscere la costruzione difensiva della torre d’avorio, la considera una modalità “normale” che non deve essere discussa.

La fantasticheria è tanto radicata da non essere riconosciuta come tale, ma piuttosto considerata un elemento così presente da non essere quasi percepito, una sorta di automatismo che rimane sullo sfondo. Bea deve ancora affrontare il lutto originario come lo descrive Racamier, ossia non è ancora definita e separata come persona rispetto il nucleo della sua famiglia d’origine.

Rifugiandosi nelle fantasie romantiche, la paziente evita di confrontarsi con nuovi affetti che inevitabilmente la costringerebbero ad assumere un’identità adulta e quindi più delineata e limitata. La psicoterapia si gioca proprio sulla scoperta e tollerabilità dei limiti e delle inevitabili frustrazioni che questi comportano. La paziente dopo una serie di tentativi ancora immaturi, si assume il rischio di approfondire la conoscenza con un ragazzo coetaneo con cui inizia la sua prima relazione importante per la quale si impegna anche in scelte che condizionano l’organizzazione della sua vita.

E’ un’esperienza emotiva molto forte ed intensa che la spaventa e allo stesso tempo l’affascina, per la prima volta si sente legata ad una persona che non fa parte della sua famiglia. Bea prova un grande marasma angoscioso, da una parte teme di essere tradita ed abbandonata dal fidanzato secondo il copione delle sue fantasticheria autistica, dall’altra parte si sente in colpa verso i genitori che teme di tradire e di dimenticare a favore di una persona estranea.

I timori di Bea, non hanno nessuna corrispondenza con eventi esterni, il fidanzato si rivela essere una persona attenta e premurosa che i genitori accolgono favorevolmente, ma è come se Bea dovesse cercare dei persecutori esterni che possano contenere la sua aggressività e rabbia per il fatto di sentirsi dipendente da qualcuno che non può controllare. L’essere uscita dal suo rifugio segreto, la costringe a confrontarsi con la complessità e ambivalenza delle relazioni oggettuali, l’unica possibilità di sviluppo stabile passa nell’elaborazione del lutto originario e nel riconoscimento ed accettazione dell’impossibilità di controllare l’altro ed il tempo che passa, quindi tollerare il cambiamento e l’inevitabilità dell’alternanza delle diverse fasi della vita.

Antinori Maria Grazia Psicologa, psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico. antinorimariagrazia@virgilio.it www.arpit.it

Bibliografia
De Masi F. Lavorare con i pazienti difficili. Bollati Boringhieri ,2012.
Racamier P.C. (1995) Incesto ed Incestuale. Franco Angeli Editore, 1995.
Steiner J.(1993) I rifugi della mente. Bollati Boringhieri, 1996
Tastin F.( 1986) Barriere autistiche nei pazienti nevrotici (1990)

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