Il Coraggio ai tempi del Coronavirus

In piena epidemia mondiale, tra le varie considerazioni sugli effetti più diretti, benché non immediati, del Coronavirus, quali la tutela della propria e altrui salute (è sempre bene ribadirlo), la preoccupazione per i propri cari, l'accanimento contro coloro che non rispettano le norme, la crisi economica che ne conseguirà e tutti i timori e i dubbi che sono ad esso connessi, c'è un problema di dubbia soluzione, che riaffiora abbastanza frequentemente: gli effetti dello stare a casa.
Benché sia concordato, nonché disposto ufficialmente, che l'isolamento sia l'arma più valida in questo momento per contrastare il contagio, non possiamo nascondere ai nostri occhi e alle nostre menti, che questa costrizione spaventa, in alcuni casi, per le sue possibili conseguenze.

A quasi 4 settimane dalla quarantena iniziano ad apparire notizie di tragedie consumatesi dentro le mura domestiche, tra mogli e mariti, madri e figli, situazioni che certo, portavano in grembo già i semi di una qualche disfunzionalità psichica piuttosto che relazionale, ma non è solo questo a preoccupare. La situazione di solitudine in cui si trova la maggior parte dell'italiano medio, autonomo, individualista, teso ad avere pieno possesso delle sue competenze, ora deve reggere il peso della mancanza di una condivisione (se non di tipo virtuale) che possa restituirgli un senso di valore. Ecco che nasce quella che troppo comunemente viene chiamata “depressione”: un tono dell'umore basso, dovuto dallo sfuggire del senso del “darsi da fare” che fin qui ci ha tenuti attivi, capaci di agire sul nostro operato, vivi! Se non c'è nessuno a darci un feedback di ciò che facciamo, se non posso vedere il mio essere vivo di fronte ad uno specchio che mi rimandi l'immagine e il senso di ciò che sto facendo allora, a che cosa servo?

E se all'interno di quelle quattro mura domestiche c'è non un individuo singolo, ma una famiglia con tanto di prole, la situazione certo non migliora. La frustrazione, il senso di apatia, possono innescare un meccanismo di rimpallo che avrà l'effetto di moltiplicarsi da un elemento all'altro, anziché attenuarsi. I bambini, si è detto più volte, sono, come di consueto, gli ultimi a pagarne lo scotto più amaro, in quanto privi di una sovrastruttura in grado di far fronte ad una situazione così complessa.
La soluzione a questa drastica situazione è probabilmente quella che viene proposta dal Prof. Galimberti e che viene qui riproposta in queste righe così drammatiche: non si può nascondere la difficoltà, l'incertezza e l'imprevedibilità, fanno parte della vita, vanno affrontate, tenute in considerazione e, in tempi come questi, vanno cercate le risorse di cui abbiamo ancora possesso.

Ai bambini, così come ai lettori, agli individui in generale, ma soprattutto a noi stessi, non va nascosta la verità dei fatti, la complessità di una situazione così difficile da superare è oggettiva. Sono anni che noi psicologi dell'età evolutiva tentiamo di sostenere i genitori più apprensivi, considerando che tutelare i propri figli dal male del mondo non significa raccontargli che il male non li potrà mai toccare. Significa dargli gli strumenti per diventare coraggiosi, per poter dire, come stanno dicendo i nostri medici oggi, che “si, abbiamo paura”, anche i grandi hanno paura, ma non per questo ci fermiamo, non per questo smettiamo di credere nelle nostre capacità, la capacità di concentrarci, di effettuare un calcolo di azioni e conseguenze e, sulla base di queste, agire per affrontare questo male.
Questo è il vero significato del termine CORAGGIO: agire di fronte ad un pericolo, anche se fa paura.
Chi può dire di avere paura, può dire anche di aver bisogno di aiuto.
Siamo tutti soli ma non lo è nessuno.

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