La fenice: dal mito al simbolo
Analisi psicodinamica del mito della Fenice
Chiedere una psicoterapia è un’esperienza che può essere difficile e complessa, si tratta dimettersi in gioco in un’area privata e personale che presuppone incontrare uno sconosciuto a cui raccontare le proprie difficoltà, i limiti, le contraddizioni nella speranza di ricevere aiuto, consolazione, sostegno e soprattutto la possibilità di trovare la soluzione a sintomi e a conflitti psichici.
Il primo passo è sapere di avere un problema psicologico, riconoscere che da qualcosa che appartiene a sé deriva una difficoltà che rende difficile vivere con pienezza.
Il secondo passaggio presuppone la ricerca di uno psicoterapeuta scelto da un sito, da un elenco e naturalmente sull’indicazione di qualcuno, i criteri di scelta possono essere vaghi, inconsapevoli magari associati a qualche informazione parziale o motivi contingenti quali la vicinanza.
Dopo una fase d’incubazione si arriva alla telefonata per fissare il primo colloquio che è sempre un momento delicato in cui si incontra per la prima volta la persona dello psicoterapeuta. C’è attesa, tensione, ansia e anche curiosità per l’incontro e anche per le proprie reazioni soprattutto per chi è timido e vergognoso e si sente in difficoltà e spaventato dagli sconosciuti soprattutto se immagina di raccontargli i pensieri più intimi.
Già dalla telefonata il paziente si fa un’idea del terapeuta valutando la voce, il tono, le parole scelte, la cortesia e la disponibilità, sono tutti elementi importanti anche se non compresi sul piano razionale, che agiscono sulla reazione inconscia, rassicurando o spaventando.
Quando finalmente la persona arriva allo studio hanno valore elementi come il luogo, l’organizzazione della stanza e naturalmente la persona dello psicoterapeuta, la sua età, l’aspetto, l’abbigliamento i modi, molte sfaccettature che condizionano e portano a sentirsi più o meno a proprio agio.
Si prende posto in una stanza possibilmente comoda ed accogliente, seduti comodamente ad una giusta distanza e si inizia a parlare, in genere è il terapeuta che invita l’ospite a raccontare il motivo che lo porta a chiedere il colloquio, domanda di apertura a cui la persona può rispondere nei modi più diversi, magari raccontando dei sintomi o della propria storia o del contesto familiare o lavorativo in cui prova un disagio. Il contenuto scelto è abbastanza neutro, si può parlare di un qualsiasi aspetto di sé, quello che conta è la modalità, il modo di esprimersi, in una parola lo stile attraverso cui si interpreta e si percepisce se stessi e la relazione con la realtà esterna. E’ anche molto importante il modo di rivolgersi allo psicoterapeuta che in quel momento è ancora uno sconosciuto, se è incluso o meno nel racconto, se ci si preoccupa di esprimersi in un modo che gli consenta di comprendere, se gli si concede il tempo di parlare, se lo si ascolta e come si risponde ai suoi interventi o al suo silenzio.
La fase di apertura del colloquio pone le basi su come proseguirà l’incontro se la persona si sentirà accolta, ascoltata e rispettata, se la percezione è quella del terapeuta come qualcuno che è là per scoprire e ascoltare con intensità e partecipazione anche le contraddizioni e il non detto con le parole ma espresso ugualmente con l’atteggiamento, il corpo, il clima emotivo. A volte bastano pochi interventi del terapeuta, una domanda fatta al momento giusto, per aprire a nuovi scenari ed osservare qualcosa da un nuovo punto di vista.
Ugualmente importante è la semplicità e chiarezza con cui il terapeuta illustrerà il suo modo di lavorare, gli orari, le assenze, l’onorario e tutti i particolari che definiscono il modo di incontrarsi che impegnerà entrambi i partecipanti.
Anche la conclusione del colloquio è un momento significativo, il paziente deve avere la consapevolezza che è avvenuto qualcosa d’importante che porta con sé qualcosa che non aveva o si è liberato di qualche ansia o paura maturando la speranza di aver fatto un incontro significativo.
Il primo colloquio è un momento prezioso in cui il paziente e l’analista si scoprono e si possono reciprocamente scegliere per iniziare il percorso terapeutico che è un’avventura e una scoperta che avviene in un contesto protetto e sicuro, il setting, che segue regole che garantiscono il miglior andamento possibile della terapia psicodinamica.
Maria Grazia Antinori
Psicoterapeuta
antinorimariagrazia@virgilio.it
www.arpit.it
BIBLIOGRAFIA
Ogden H. Thomas Il limite primogenio dell’esperienza. Astrolabio, 1992.
Ogden H Thomas. Reverie e interpretazione. Astrolabio, 1999.
Semi A. La tecnica del colloquio clinico. Raffaello Cortina, 1985.
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