comunicazione e persuasione

“Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone
che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.”
(Malcom X)


I messaggi pubblicitari e quelli della propaganda politica si ispirano a concetti simili a questo, il cui concetto è costruito con elementi apparentemente antitetici. Chi potrebbe amare gli oppressori ed odiare i più sfortunati? Eppure è così, ed il messaggio, seppure cronologicamente lontano dai nostri giorni, è molto attuale. Riflettendo, tuttavia, la situazione sociale. Un messaggio convincente e non solo per la sua particolare attinenza alla realtà.
L’efficacia persuasiva del messaggio dipende da un processo simbolico in cui l’emittente cerca di convincere il destinatario a modificare i suoi pensieri o comportamenti, tramite la trasmissione di un messaggio che ha luogo in un clima di libera scelta (Perloff, 2003). Paradossalmente la ‘libera scelta’ è condizionata da aspetti intrinseci alle teorie psicologiche della comunicazione.
La teoria più famosa è quella di Gustave Le Bon, ripresa da Freud per la trattazione della “Psicologia delle masse ed analisi dell’Io” (1921), ed utilizzata nella comunicazione politica, che sostiene come i processi di propaganda e persuasione si basino su relazioni comunicative suggestive ed ipnotiche tra l’emittente (leader carismatico) e i destinatari che ricevono il messaggio passivamente, come si confà nei contesti collettivi delle folle. In nome di una pulsione sociale – group mind – istinto gregario, si verifica «un annullamento della personalità cosciente, il predominio della personalità inconscia, un orientamento determinato dalla suggestione, la tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite, tali sono i principali caratteri dell’individuo in una massa.

Egli non è più se stesso, ma un automa, incapace di essere guidato dalla propria volontà. (…) è un gregge docile che non può vivere senza un padrone». La massa «è influenzabile, incredula e acritica. Pensa per immagini che si richiamano vicendevolmente per associazione come, nel singolo, si adeguano le une alle altre negli stati di libera fantasticheria e che non vengono valutati da alcuna istanza ragionevole circa il loro accordo con la realtà. I sentimenti della massa sono sempre semplicissimi e molto esagerati. La massa non conosce quindi né dubbi né incertezze (…) la massa ha bisogno di illusioni». E ancora «Chi desidera agire su di essa, non ha bisogno di coerenza logica fra i propri argomenti; deve dipingere nei colori più violenti, esagerare e ripetere sempre la stessa cosa.» (pag.71-73)
Allo stesso modo, il primo manuale sulla psicologia della pubblicità (1932) utilizzava teorie comportamentiste per spiegare che la comunicazione efficace è basata su stimoli ripetitivi.
Repetita iuvant, dicevano i latini.


La teoria cognitivista si richiama alla teoria della dissonanza cognitiva di Festinger (1960): in pubblicità non possono essere trasmessi messaggi troppo dissonanti rispetto alle opinioni dei consumatori, perché la mente tende ad evitare i conflitti tra aspetti diversi dell’informazione, annullando o riducendo la dissonanza per favorire una coerenza interna. Es. una pubblicità sul fumo (o sull’alcol) per quanto gratificabile rispetto ai propri bisogni, conduce a comportamenti nocivi per la salute. Il consumatore, consapevole di quest’ultimo aspetto, tenderà ad avallare il primo (gratificazione orale) sulla base di varie giustificazioni tra loro consonanti, che limano il conflitto interno esistente.
Inoltre, modificando le parti della relazione, si può ottenere un messaggio convincente (Shannon e Weaver 1949). La fonte deve essere credibile, competente e simpatica puntando all’effetto della familiarità. E’ questo il caso della presenza dei testimonial nelle pubblicità (il calciatore Totti nello spot del gioco del lotto; il calciatore Del Piero nello spot dell’acqua Uliveto). Le argomentazioni del messaggio, infine, devono basarsi su bisogni cognitivi, oltre a quelli di natura emotiva, magari facendo leva sulla paura se occorre (i cosiddetti “appelli alla paura” con effetto boomerang). Infine, il ruolo del ricevente, fino agli anni ’60 considerato plasmabile e passivo, che grazie alla psicologia cognitivista diventa artefice delle proprie scelte, può essere influenzabile a seconda della sua suggestionabilità, il livello autostima, l’attitudine all’acquiescenza (pressione normativa che spinge il soggetto ad adeguarsi alle regole del contesto per evitare la censura sociale).
L’arte di saper convincere non è dunque un affar semplice, lo sanno bene i facilitatori della comunicazione che lavorano dietro le quinte dei partiti politici o della costruzione di uno spot. Tale arte si accentua con la società di massa che ha posto l’esigenza di una forma di persuasione generalizzata: la propaganda, ovvero l’insieme di metodi usati per conseguire il consenso attraverso manipolazioni psicologiche. E’ l’espressione del potere che cerca di affermarsi attraverso la conquista dell’opinione pubblica.
Sia Mussolini che Hitler furono fruitori attenti e ne trassero ispirazione al fine di creare una nuova civiltà politica, condizionando i più giovani con i nuovi principii politici e sociali. Fu inevitabile allora raggiungere il controllo della società.
Potremmo dire che la pubblicità sia figlia della propaganda politica.
Dopo l’avvento della televisione, i mass media negli ultimi decenni hanno acquistato un enorme ruolo nel dirigere il nostro pensiero, procurandosi un potere incontestabile. La pubblicità commerciale o politica è, quindi, il mezzo più utilizzato che applica le strategie persuasive per raggiungere il suo unico scopo: influenzare e modificare i nostri atteggiamenti, suggestionando lo spettatore. Dirigendolo spesso ad uniformarsi alla massa, appunto.

 

 

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