L'ossessione del cibo e del peso: Tra normalità e patologia

Si riconosce la presenza di un disturbo alimentare da certi comportamenti e tra questi il più evidente è quello dell’ossessione del cibo e del peso. Questa ossessione può manifestarsi col rifiuto del cibo, abbuffandosi, vomitando, facendo una rigida attività fisica o attraverso altri comportamenti che si concentrano nell’assumere, liberarsi o evitare il cibo.

E’ sufficiente sfogliare le riviste per rendersi conto che fare diete e attività fisica, preoccuparsi del cibo, del peso e del proprio aspetto fa parte della nostra società. E’ un fenomeno che ci coinvolge tutti: è raro trovare una donna che non sia o non sia stata preoccupata del proprio peso. Oggi anche gli uomini hanno sempre più cura del proprio corpo: fanno maratone, frequentano palestre, utilizzano prodotti di bellezza, ecc. Questa focalizzazione sul corpo e sul peso è particolarmente diffusa fra le adolescenti, costantemente in competizione per essere le più magre.

Questo significa che tutti soffriamo di disturbi alimentari? No.

Il desiderio di perdere peso e mantenere una certa immagine, che può essere accompagnato da periodi di diete e un’ossessione per l’alimentazione, rientra nella normalità della vita di molti di noi.

Ci troviamo di fronte a un disturbo alimentare quando l’atteggiamento verso il cibo e il peso è portato all’esasperazione e il comportamento alimentare viene utilizzato per risolvere conflitti emotivi e difficoltà che non hanno nulla a che vedere con il cibo e con il peso.

Una persona che soffre di bulimia mangia, non perché ha fisicamente fame, ma per bloccare sentimenti spiacevoli da cui teme di essere sopraffatta. Una ragazza anoressica può arrivare a morire di fame, non perché non abbia appetito, ma perché vuole sentire di avere il controllo sulle sue funzioni corporali. 

Un disturbo alimentare è una soluzione esteriore ad un disagio interiore. Per esempio, se la preoccupazione “sono abbastanza brava?” diventa  “sono abbastanza magra?”, la persona che soffre si crea una sistema esterno su cui basare l’autostima, che le consente di affrontare le sue paure in modo meno doloroso. Ingrassando si ottiene un giudizio negativo sulla propria persona che può essere attribuito al peso, senza esporsi a un livello più profondo. Dimagrendo si ottiene con facilità una sensazione di controllo, di successo, di forza, quando si ha il terrore di non averli in altre aree importanti della propria vita.

In altri termini, un disturbo alimentare è un tentativo per stare meglio o per affrontare una realtà che spaventa. L’autodistruzione è una conseguenza del problema, non la causa. Solo quando si riconosce qual è il bisogno profondo, e si riescono a trovare dei mezzi più sani per ottenere gli stessi obiettivi, è possibile abbandonare quei tentativi che hanno provocato ulteriori danni emotivi e fisici.

Silvia
Silvia ha 19 anni quando decide di accogliere la proposta dei genitori di parlare con una psicologa dei suoi problemi.All’inizio del primo colloquio dice di avere accettato perché i suoi genitori sono preoccupati per lei, per il fatto che è spesso nervosa e ha scatti di rabbia nei loro confronti. Ma rapidamente emerge che è Silvia per prima ad essere allarmata, in particolare sente di aver perso il controllo sui suoi comportamenti alimentari. Riferisce di essere dimagrita molto negli ultimi due anni, passando da 63 kg a 50 kg. Afferma che tutto è iniziato quando il fratello, maggiore di Silvia di quattro anni, era in ospedale, in coma a seguito di un incidente stradale.“Piangevo tutto il tempo e quando mangiavo mi veniva da vomitare”. Facendomi raccontare cos’altro stava capitando in quel periodo emerge che Silvia si sentiva grassa e riteneva che fosse questo il motivo per cui Giorgio, il ragazzo che frequentava, aveva deciso di lasciarla per mettersi con una ragazza più magra. Da allora ha alternato periodi di diete rigide a periodi, come quello attuale, in cui si abbuffa e vomita. Il tentativo di seguire una dieta più equilibrata, fornita da un dietologo, è fallito. E lei si sente un fallimento: impotente, inefficiente, senza più il controllo. Dice che ci sono dei momenti in cui avverte un impulso irrefrenabile a mangiare e allora si abbuffa di gelati, merendine, patatine, ecc. (che oltretutto sono sempre a sua disposizione dato che la famiglia gestisce un negozio di alimentari). E poi si sente così male che non può fare a meno di vomitare.

Insieme ricostruiamo con pazienza le emozioni e i pensieri che accompagnano questi episodi e scopriamo che c’è un legame tra questi comportamenti e quello che accade dentro di lei. Quei comportamenti cessano di essere visti come qualcosa che accade e iniziano ad assumere un significato funzionale più chiaro. A volte il cibo serve a Silvia per manifestare la rabbia che prova in alcune situazioni nei confronti di amici, genitori, insegnanti, e non si permette di esprimere apertamente per il timore di perdere la loro approvazione. Altre volte abbuffarsi e vomitare funzionano come potenti “anestetici emotivi”,  consentendole di non sentire le terribili sensazioni di tristezza, ansia, noia e vuoto che la pervadono e da cui ha paura di venire sopraffatta.

Silvia può così mettere in discussione la sua “teoria dell’impulso”: non è qualcosa di più forte di lei che la costringe a mangiare e vomitare; si tratta piuttosto di un tentativo di far fronte a un disagio profondo, anche se poi la conseguenza è di ritrovarsi ancora più sofferente.

La psicoterapia aiuta gradualmente Silvia a rendersi consapevole di quanta poca stima di sè abbia sempre avuto e di quanta poca fiducia abbia nella possibilità di avere una propria identità, dotata di valore indipendentemente dal giudizio degli altri.

Con impegno e pazienza Silvia impara a riconoscere quali sono i propri bisogni, desideri ed opinioni. Non senza timore prova ad esprimerli più apertamente, pur sapendo che qualcuno potrebbe non essere d’accordo con lei e giudicarla. Quando questo accade, riesce a tollerare il sentimento di disapprovazione: si accorge che se non reagisce immediatamente per scacciare le emozioni negative che ne conseguono, gradualmente quelle emozioni scompaiono.

Avendo affrontato direttamente i problemi psicologici che la facevano soffrire, Silvia non ha più bisogno di abbuffarsi e vomitare e i suoi comportamenti alimentari tornano finalmente alla normalità.

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