Mangiare per vivere o vivere per mangiare?

Che il cibo rappresenti uno dei più grandi piaceri della vita è risaputo . Ogni popolo e cultura lo testimonia  con le proprie specifiche  svariate  ricette e modalità di utilizzare combinare e mischiare gli alimenti a propria disposizione.  Mediante l’alimentazione vengono veicolati molti significati che esulano dal mero sostentamento e che sottolineano in particolare l’appartenenza ad un determinato gruppo, sia esso nazione, regione,  città  o famiglia e viene così evidenziato  anche il livello di benessere e civiltà raggiunte da una comunità attraverso  abitudini, riti e più o meno sofisticati modi di presentare e servire  le  pietanze. Il fatto che il cibarsi abbia anche  valenza relazionale  è testimoniato dalla abitudine generalizzata di condividere il pasto in famiglia, tra amici e conoscenti e dal farne spesso motivo di gradevole convivialità. Mangiare infatti ha  un effetto calmante e normalmente tende a ben  disporre verso il prossimo, fino ad assumere una  connotazione ancor più piacevole nel rapporto amoroso, laddove è frequente il giocoso preliminare  dell’imboccare l’amato/a,  o l’uso di un linguaggio che richiama un desiderio di fusione completa tramite la simbolica appropriazione orale dell’Altro/a, ad esempio attraverso la comune espressione: “ti mangerei di baci”, frase che guarda caso, viene utilizzata spesso nei confronti dei neonati o dei bambini piccoli  in uno dei tanti modi con cui  le madri manifestano il loro amore e la loro tenerezza. Ed è proprio da lì, dai primi momenti di rapporto con la prima fonte di nutrimento , sostegno e cura, che il cibo si lega indissolubilmente alla qualità dell’amore con cui è  porto.  Per mezzo del  nutrimento  vengono trasmessi al bambino/a messaggi legati all’affetto, al sentimento, all’accettazione e alla preziosità della sua vita, della sua sopravvivenza e  presenza nel mondo, e il momento della poppata per i neonati o dei pasti nei più grandicelli, lascia passare  una serie di codici legati alla comprensione dei reciproci gusti ,  ritmi, stati d’animo, al piacere del concedere e del donarsi, dell’accettare  o del rifiutare, in un alternarsi di scambi verbali ed extraverbali che costituiscono basi nello sviluppo della capacità di porsi in relazione con se stessi e con il mondo. Se si osserva una madre nutrire il proprio “cucciolo”, ci si potrà rendere conto di quale sia la modalità comportamentale da essa adottata nel portare al bambino/a il cibo. Seppure con le dovute cautele, legate alle circostanze mutevoli della quotidianità, uno stile normalmente si imporrà sull’altro, e allo stesso tempo una risposta del piccolo/a sarà più frequente di un’altra. Così, chi cresca nella piacevole abitudine di vedere associati i pasti al calore affettivo e ad una buona qualità relazionale ed empatica o al contrario, sia abituato ad una modalità efficace ma fredda  o frettolosa e distratta legata all’atto del preparare e del gestire quei momenti, avrà e coltiverà reazioni ed emozioni di diversa natura in merito a quest’aspetto della vita. Parimenti, la tendenza  a sopperire con eccessive quantità di dolciumi  o vivande allo scarso desiderio o possibilità di interagire  con la propria prole da parte dei genitori , potrà divenire nel tempo fonte di pericolosi fraintendimenti emotivi e offuscare così nei bambini, la capacità di riconoscere i propri veri bisogni e di esternarli . Così , le basi del rapporto col cibo in età adulta trovano spesso le condizioni del loro esprimersi, nelle prime esperienze infantili e non è un caso che molti disagi legati a questo ambito siano percepiti e diagnosticati genericamente come disturbi” nervosi”.

E’ noto infatti come le delusioni affettive ,  particolari momenti di stress e/o più o meno lievi stati depressivi,  possano influire sulla qualità dell’appetito modificandolo in eccesso ( spingendo a mangiare troppo e facendo aumentare così di peso) o in difetto (inducendo a cibarsi troppo poco). Ciò è da considerarsi assolutamente normale fino a che l’una o l’altra condizione non porti ad aumenti o diminuzioni ponderali eccessive, indicando  la necessità di intervenire per modificare le cause  alla base del disagio. Il sovrappeso, o al contrario una naturale tendenza alla esilità, possono dipendere altresì  da molti fattori legati alla genetica, alla famigliarità, a questioni metaboliche e ormonali ,alla sedentarietà (celebre a questo proposito è la frase che nel film “il Postino”, Philippe Noiret  alias il grande poeta Pablo Neruda, recita rivolto ad un Massimo Troisi che impersona appunto il Postino del luogo, il quale vorrebbe seguire le orme dell’artista :” meglio fare il postino, cammini di più e non ingrassi , i poeti sono tutti obesi”)  e ultima ma non meno importante, ad una tendenziale costituzione morfologica che rappresenterà per sempre uno dei tratti distintivi di ogni persona. La natura, così ,creativamente, contrasta le mode che impongono stereotipi tipologici, incuranti della varietà e della mutevolezza di fogge della bellezza e della avvenenza. Negli ultimi decenni, soprattutto in occidente si è andato imponendo un modello di donna spesso profondamente contrastante con la naturale abbondanza delle forme che caratterizza la femminilità adulta in molti luoghi del mondo. Modelle e attrici famose  testimoniano col loro successo in svariati campi dell’esistenza, cosa  occorra  per essere “vincenti”. La magrezza innanzitutto, che spesso soprattutto nelle indossatrici,assume connotati inquietanti. Gambe e braccia con minimi accenni ad una muscolatura  adeguatamente tonica e visi  troppo grandi e incavati per corpi di “bambine” che paiono cresciute solo in altezza. Infatti agli stilisti servono manichini  non donne vere ,  ribadendo implicitamente, come sia la persona che osserva il” manichino” a doversi adattare al vestito e non il vestito alla persona. Che proprio le/gli adolescenti siano vittime di questi omologanti messaggi non deve destare stupore in quanto la loro è proprio l’epoca in cui si incrociano bisogni e difficili compiti evolutivi, che comportano un alto livello di energia e  impegno psichico. Contrastanti e ambivalenti desideri  normalmente si alternano in quest’epoca della vita, e ,alla insopportabilità  reattiva verso il precedente mondo infantile e gli affetti famigliari che ne erano ineludibile corollario, si alternano spinte regressive che vorrebbero riportare ad un periodo passato che, seppure non necessariamente felice, era rappresentativo di una maggiore stabilità e certezza di compiti , interessi , fisicità e impulsi. Normalmente, è l’adesione ad un gruppo di pari che funge da catalizzatore del distacco, ma esso impone l’accoglimento  di nuove norme , nuovi codici per sentirsi accettati o rifiutati, essere “trendy”o “inadeguati senz’appello”. Eccoli lì quindi gli insicuri modaioli, disposti a tutto pur di essere graditi/e, corteggiati/e e possibilmente amati/e, e, tanto più saranno incerti/e della loro identità e spaventati, tanto più impegno metteranno per aderire ai modelli imposti dalla moda del gruppo.  Conformisti sfegatati travestiti da originali e indipendenti anticonvenzionalisti. In realtà, solo viaggiatori alla ricerca di un nuovo mondo e modo di vivere. E’ In questo clima di incertezza, di vulnerabilità, di passaggio da una dipendenza all’altra, prima di raggiungere il traguardo di una più definita personalità, che è più probabile avvenga l’infelice incontro tra problematiche psichico/ affettive passate e mai superate  e i diktat imposti dagli stili in voga. Le gravi patologie alimentari quali la bulimia e l’anoressia paiono essere nate  e aumentate in larga misura , nelle società del benessere in un crescendo che va dal dopoguerra ad oggi con pochi illustri antecedenti nei secoli passati e solo per quanto riguarda l’anoressia, testimoniati dalle varie esperienze di santi o sante, asceti o ascete per i/le quali la mortificazione della carne in tutti i sensi, compreso quella legata al piacere/necessità di nutrirsi, costituivano” conditio sine qua non” ,per raggiungere un alto livello di spiritualità e favorire l’incontro con energie sacre disincarnate e sperimentare quindi il congiungimento con il divino. Patologie queste , che nulla hanno a che fare con la generica paura di ingrassare delle cosiddette “buone forchette” che alla peggio, può portare e quindi indurre a sperimentare le diete più fantasiose col fine di perdere qualche chilogrammo. Questi sono i casi in cui difficilmente un intervento cognitivo/ rieducativo//dietologico per quanto accurato,  può consentire di risolvere durevolmente un dramma che affonda le proprie radici in un lontano passato, quando amore e cibo , odio e cibo, idea del sesso e cibo, potevano essere tra loro inestricabilmente legati, tanto da produrre associazioni inconsce, foriere di germi immaginativi disfunzionali e distruttivi. In questi casi l’indagine del profondo e la psicoterapia analitica, si sono rivelate e si rivelano spesso le modalità più adeguate per contrastare e  risolvere disturbi così complessi e seri. Quindi, i problemi alimentari, così come qualsiasi problema relativo alla sfera psicologico/emotivo/affettiva /relazionale, possono essere affrontati su un piano terapeutico, a diversi livelli di profondità,da un approccio più soft, nei casi relativi a contingenze difficili, dolorose , stressanti , solo legate a destabilizzazioni comportamentali attuali, o con interventi più complessi , laddove la stessa complessità delle vicende interiori ed esteriori della persona che chiede aiuto, lo esiga.

 

 

 

 

Legenda:

 

Anoressia:

 

A) Rifiuto a mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale per l’età e la statura, per es : perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’ 85% rispetto a quanto previsto

 

B) Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è in SOTTOPESO

 

C) Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso e la forma del corpo o eccessiva influenza del peso sui livelli di autostima o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso

 

Bulimia nervosa:

 

  1. Ricorrenti abbuffate. Una abbuffata è caratterizzata da:

1) Mangiare in un definito periodo di tempo (ad es.2ore) una certa quantità di cibo molto maggiore di quanto la maggior parte delle persone mangerebbe in quel lasso di tempo e in circostanze simili

 

2) Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio, di non riuscire a smettere di mangiare  

 

B) Ricorrenti condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici,digiuno e esercizio fisico eccessivo

 

C) Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe almeno due volte la settimana, per tre mesi minimo

 

D) I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporeo

 

 

 

 

PER APPROFONDIMENTI:

 

Hilde  Bruch:Patologia del comportamento alimentare. Obesità, anoressia mentale e personalità.

 

 

Hilde Bruch:La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale

 

DSM-IV-TR---Criteri diagnostici

 

Fabiola De Clercq: Tutto il pane del mondo

 

Fabiola De Clercq: Donne invisibili

 

Camille De Peretti: Magra da morire

 

Willy Pasini:Il cibo e l’amore

 

Massimo Recalcati:L’Ultima cena: anoressia e bulimia

 

 

  

         

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