Counseling genitoriale e Psicologia positiva

L’ascolto attivo e le dinamiche genitoriali

Porsi in ascolto significa preparare il terreno al dialogo. Viene comunemente definito ascolto attivo, nell’ambito del counseling, un atto volontario che valica le parole, un processo che cerca di comprendere ciò che l’altro soggetto vuole comunicarci. 

Il counseling è la scoperta verso il proprio modo di essere. È l’incontro tra due o più persone dove tutto ruota attorno al concetto di relazione. La qualità umana della relazione costituisce il fondamento efficace di tale incontro, che si traduce in uno scambio di persone; ciascuna porta la propria storia unica, condita da sollecitazioni emozionali e momenti di autentica autorivelazione. 

Lo psicologo statunitense Carl Rogers ritiene prioritario il concetto di empatia, che permette al counselor di avvicinarsi alla soggettività della persona con la quale si relaziona. Senza sconfinare nell’identificazione, il counselor sarà chiamato ad immergersi nell’altrui point of view. L’ascolto permette di comprendere ‘come’ vive la situazione il cliente con il quale occorre sviluppare una relazione a doppio coinema. L’unità affettiva primordiale, definita coinema, è sia paterna che materna, e quest’ultima nasce dalla fenomenologia husserliana e dalla psicologia umanistica di Rogers e Gordon.

Nel coinema materno si sviluppano i principi dell’ascolto attivo, che rifuggono la matrice direttiva non giudicante, ponendo l’interazione sul piano prettamente accogliente e ricettiva. Nel coinema paterno, che sorge dall’esistenzialismo heideggeriano, dall’analisi transazionale, dalla Gestalt e dall’approccio sistemico, esso si qualifica come confronto attivo, svelamento, riprogrammazione e avvio all’azione, come orientamento e possibilità di prendere una decisione, come suggerimento e stimolo a fare nuove esperienze. Pertanto il coinema paterno agisce più a livello esperienziale: se il cliente sta sperimentando la paura per qualcosa, ciò potrebbe essere dovuto al coinema.

L’ascolto attivo coinvolge mente e cuore e per applicarsi al meglio coinvolge Concentrazione, Volontà e Impegno, Cultura, Equilibrio e Disponibilità Affettiva.

Interagire con qualcuno significa comunicare messaggi impliciti ed espliciti ma per comprendere l’intimità dell’interlocutore occorre evitare una registrazione passiva di quanto recepito nonché reazioni automatiche, ma comprendere l’implicita e sottesa intenzionalità. 
Un’intenzionalità che l’altro non percepisce ma che i counselor stessi devono scovare, senza adagiarsi nella pigrizia ma ricavandolo dalla curiosità e dall’attitudine a cogliere con tutti i sensi le aspettative dell’altra persona. Il counseling si può sviluppare in diversi ambiti e l’ascolto attivo rappresenta una competenza chiave nell’interazione verbale e non verbale con l’altro.  Nel contesto della psicologia scolastica il counseling si colloca alla perfezione, in quanto veicolo di un ascolto attivo, che permette al genitore d’instaurare un’interazione adeguata con i propri figli. Tuttavia, permangono alcune condizioni volte ad ostacolare l’ascolto, barriere che possono esprimersi attraverso molteplici forme, come quelle olfattive, mentali, verbali e visive. L’ascolto attivo si ramifica e si compone attraverso tre aspetti fondamentali, consistenti nell’ascolto dei contenuti proposti dall’altro, l’ascolto del contesto nel quale tale individuo trascorre la propria quotidianità, e l’ascolto di se stessi nel ‘qui e ora’, una forma di autoconsapevolezza fondamentale per fornire un valido supporto all’altro. Lo schema processuale dell’intervento di counseling ricorda le tre fasi della relazione che concorrono alla formazione di un ascolto attivo. In un contesto di genitorialità, l’ascolto attivo ricopre un ruolo essenziale, perché pone il genitore in una posizione di apertura non giudicante nei confronti dei propri figli. Un esempio emblematico di mancanza di dialogo e di un ascolto attivo riguarda un bambino di 9 anni, che esprimeva malessere perché i genitori non avevano intenzione di soddisfare la sua pretesa di acquistare un iPhone. Una richiesta dettata dal bisogno inconscio di abbondare affetti con regali, oggetti costosi, vivendo nell’illusione che la felicità regni nell’avere piuttosto che nell’essere. Ci circondiamo di bambini e ragazzi che acquisiscono identità sul possesso anziché sul modo di essere.  In un contesto sempre più influenzato da una pessima capacità di costruire un rapporto genitoriale positivo, l’attività di counseling s’incastra con estrema efficacia, in quanto paziente tessitrice di una rete empatica funzionale e fautrice di quell’ascolto attivo che rappresenta un importante tassello nell’adeguata valorizzazione del counseling e degli strumenti ad esso collegati.

Nel counseling scolastico può rientrare anche la formazione destinata agli insegnanti. Il rischio, da parte del docente, è di cadere nella ripetitività degli schemi e nella rigidità metodologica, confrontandosi con generazioni che cambiano anno dopo anno.

Si crea una particolare relazione di aiuto, sostenendo alunni impegnati nell’esperienza di apprendimento, di rapporti e di evoluzione. A tale proposito, si parla spesso di ruolo risolutivo del counselor che, inteso in questa accezione, affronta problematiche varie quali: relazioni affettive, amicali, rapporto con genitori ed insegnanti, rifiuto della scuola, problemi legati ad un basso tasso di autostima e amori adolescenziali. Il counselor che lavora in una scuola è chiamato innanzitutto a rispettare i principi dell’ascolto attivo e dell’empatia.

Il counseling scolastico, si configura, come un approccio agevolante utile anche all’interno della classe qualora in essa emergano tensioni, che pur non coincidendo necessariamente con quelle dei singoli, riguardano, tuttavia, il gruppo di lavoro nella sua interezza. Il counseling psicologico può altresì presentarsi efficace strumento sul fenomeno del disadattamento scolastico dei bambini.

La difficoltà nel riconoscere un problema s’intreccia con la difficoltà nel manifestare il bisogno di supporto, soprattutto quando il contesto è familiare o amichevole.

Secondo Eric Berne “Il Copione” è un piano di vita inconscio che, basandosi su una decisione presa durante l’infanzia e rinforzata dai genitori, giustificato dagli avvenimenti successivi culmina poi in una scelta decisiva e ben caratterizzata. Secondo l’AT le esperienze infantili influenzano il modo di vivere delle persone adulte e quindi il loro destino.

Da adulti, quando mettiamo in scena il nostro copione, senza rendercene conto, noi scegliamo dei comportamenti anche comunicativi e relazionali, che ci fanno avvicinare al tornaconto del nostro copione.

Sintetizzando si può concludere che secondo il modello decisionale proposto dall’AT ciascuno, pur decidendo il proprio destino o copione di vita sin dall’infanzia, può essere in grado di cambiarlo e diventare così artefice del suo benessere, mediante un percorso di autocoscienza che aiuta a superare le remote decisioni infantili.

A questo fine è necessario dunque ricostruire il flusso di coscienza interrotto tra passato e presente e in tal caso il counselor Gestaltico potrà ricostruire un ponte laddove si è verificata un’interruzione del ciclo consapevolezza-eccitazione-contatto dell’individuo.

È utile sottolineare come un trauma infantile possa comportare una reazione denominata parassitaria e contestualmente una sofferenza inutile. Ciò comporta una traduzione radicale, estrema e superflua rispetto alla causa. Un peso insostenibile nel qui e ora rispetto ad un trauma del passato, una reazione sproporzionata legata ad un’interpretazione ingannevole. Lasciare spazio al dolore senza dirigersi verso l’assuefazione, cercando invece di raggiungere quei termini che rilevano gioia, pace, coraggio e speranza. Permettere al benessere di riaffiorare è un processo che i genitori possono attuare in funzione di una relazione meno tesa e volta al giudizio ma all’ascolto e all’empatia. In tal senso il counseling genitoriale svolge una funzione di primaria importanza, permettendo di risolvere i problemi educativi emersi e valutando attentamente le fasi evolutive dei giovani, è possibile intervenire nelle tensioni familiari e inter-generazionali, nelle difficoltà comunicative e nelle crisi di relazione. Il ruolo del counseling genitoriale è di primaria importanza perché funge da supporto e orientamento per i genitori, in una direzione di serenità familiare che coinvolge pienamente i figli, responsabilizzati nel processo di counseling e migliorati in autostima e benessere familiare. Nei confronti dei genitori si sviluppa un lavoro sulla consapevolezza dell’importanza di uno stile di vita che possa essere il più possibile condiviso e che possa aiutarli a comprendere se porsi con permissività o autorità. Spesso le madri rivelano un atteggiamento normativo rispetto ad un maggior permissivismo da parte dei padri e ciò crea nella condotta educativi dei figli, una discrepanza di stili educativi genitoriali.

E la scuola come si pone all’interno di queste dinamiche familiari? Ricerca una collaborazione dai genitori ma non sempre riesce ad individuare i canali più efficaci per rendere partecipi persone diffidenti, che temono di essere giudicate ed accusate, e persone impegnate nella carriera lavorativa, le quali non hanno mai tempo da dedicare alla scuola perché al centro della propria vita c’è la professione. È quindi importante fornire loro aiuto permettendo di realizzare modalità di coinvolgimento genitoriali capaci di migliorare la gestione delle dinamiche relazionali tra scuola e famiglia.

Accompagnare madri e padri ad un’educazione corretta e positiva alla genitorialità è ciò di cui si occupa il counseling genitoriale. Essere genitori consapevoli significa migliorare la comunicazione con se stessi e un percorso di counseling si costruisce efficacemente in funzione di una ricerca di nuove modalità di comportamento, espressione e confronto con i propri figli.

Un percorso di counseling permette al genitore di comprendere che una relazione corretta con il proprio figlio non può prescindere dalle loro differenti fasi evolutive, valutando la loro maturità sia in base all’età che in base alle predisposizioni o condizioni cliniche.

Dai 0 ai 3 anni si affronta e si lavora in particolare sul tipo di attaccamento sviluppato dal bambino, sicuro o insicuro e sulle ansie che spesso la sua gestione comporta ai neo genitori.

In tale fase il bambino deve imparare ad adattarsi ad ambienti diversi e persone estranee al contesto familiare, siano essi adulti che coetanei. Occorre una ricerca d’indipendenza che permetta di entrare in contatto col mondo senza sentirsi abbandonato dal sostegno dei genitori.

Dai 3 ai 14 anni si lavora in particolare sulle dinamiche di ascolto, la gestione delle regole, il riconoscimento del proprio ruolo genitoriale confrontandosi con altri genitori e la fase di separazione e autonomia del proprio figlio.

In questa fase il bambino deve imparare il rispetto delle indicazioni dei genitori, della figura dell’adulto educatore e mutare quegli atteggiamenti non consoni ed improduttivi, quali i capricci, le ripicche e le reazioni negative spesso aggressive in relazione ad un’imposizione.

È in tale fase che ha rilevante importanza il ruolo di educatore del genitore la sua funzione di osservatore, critico e costruttivo, ma anche rassicurante e benevolo.

Oltre i 14 anni i ragazzi raggiungono l’età dello sviluppo sessuale e l’inizio dell’adolescenza con altre problematiche comportali conseguenti allo sviluppo, alla voglia di indipendenza, al desiderio di cercare degli ideali, dei gruppi, degli stili di vita nei quali inserirsi.

In questo periodo inizia anche la fase delle contestazioni, dall’autorità genitoriale per finire con ogni forma rappresentativa di potere e imposizione di regole.

In conclusione ritengo sia importante sottolineare come, dal mio punto di vista, praticare la professione di counselor non significhi soltanto acquisire un titolo ma una continua ricerca che si sviluppa nel corso di tutta la vita, mettendomi in discussione e acquisendo quella consapevolezza quale motore di evoluzione e divenire interiore.

Nella mia pratica professionale da me finora svolta, la relazione di aiuto, che costituisce, a mio avviso, il fulcro attorno al quale ruotano tutti gli altri interventi del modello di Counseling integrato da me prescelto, quasi sempre mi sono posta e m’impegno a vivere l’interscambio con molta pazienza, umiltà ed empatia. Cerco sempre di sperimentare alcuni principi desunti dalla riflessione e dalla pratica più accreditata sulla relazione di aiuto.

Soffermandomi sui capisaldi della mia esperienza in essere e partendo dal postulato che a ogni persona sono richiesti adeguati cambiamenti del proprio sistema di vita a fronte di nuovi eventi, la relazione di aiuto mi ha permesso di far emergere le risorse in ogni persona o gruppo.

Bibliografia:

E’ relativa alla sperimentazione grazie al mio bagaglio professionale dove applico il counseling.

AA.VV., Gestalt Counseling fasi di un momento terapeutico in gruppo, Quaderni Aspic, Roma 1992

BERNE E., A che gioco giochiamo, Bompiani, Milano 1997

NANETTI F., Counseling di gruppo, Aipac, Pesaro 2007

NANETTI F., Il Counseling: modelli a confronto, Quattroventi, Urbino 2003

NANETTI F., Stili relazionali, Aipac, Pesaro 2005

NANETTI F., RIZZARDI M., Capirsi, AIPAC, PESARO 2003

QUATTRINI P., Fenomenologia dell’esperienza, Zephiro, Milano 2007

ROGERS C., I gruppi di incontro, Astrolabio, Roma 1976

SPALLETTA E., QUARANTA C., Counseling scolastico integrato, Sovera, 2004.

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