Psicologia Umanistica

Negli anni ’50 si diffuse negli Stati Uniti, forse sulla scia dell’influenza degli insegnamenti portati in quel continente da Alfred Adler negli anni ’20-‘30, una nuova corrente della psicologia, avente alla base un nuovo punto di partenza, quello dell’uomo al centro del processo, con tutto il suo potenziale positivo. All’epoca erano imperanti essenzialmente due approcci: la psicoanalisi e il comportamentismo, centrati sul modello pulsionale, il primo, e su quello sperimentale-meccanicistico, il secondo. Si profilava l’urgenza di costituire, in opposizione alle due correnti menzionate, una Terza Forza nella psicologia e si avvertiva dunque l’esigenza di guardare all’uomo e al suo comportamento non più come dettati solo da pulsioni e da meccanismi di stimolo/risposta alle sollecitazioni dell’ambiente, ma come animato da spinte all’autorealizzazione e all’espressione del suo pieno potenziale.

L’iniziatore di questo movimento, la cosiddetta psicologia umanistica, fu probabilmente Carl Rogers, il quale pose l’accento sul mettere al centro del processo di cambiamento il cliente: non più paziente dunque, proprio per valorizzarne le capacità espressive e di autoguarigione, in un clima positivo di accettazione incondizionata, con una terapia non direttiva fondata sull’empatia. Cambiò di conseguenza anche il setting; non più il tavolo del medico né il distaccato lettino psicoanalitico, bensì la posizione vis-à-vis, di confronto tra due individualità con un pari livello di umanità, pur se con ruoli differenti in quel momento: il terapeuta/agevolatore e il paziente/cliente. Un altro grande esponente della corrente umanistica fu Fritz Perls, cui si attribuisce la paternità della Psicoterapia della Gestalt, il quale pose l’accento anche sul tema del contatto e di una gestione sapiente dei confini, come forme di facilitazione alla consapevolezza e al cambiamento. Inoltre, introdusse e mise in pratica il concetto di simpatia (complementare, e non opposto, a quello di empatia), dando luogo ad una maggiore partecipazione, autenticità e talvolta direttività nel setting terapeutico. Altri grandi esponenti della psicologia umanistica possono essere considerati Moreno, Lowen, Fromm, i quali diedero l’avvio a diversi, importanti approcci.

Tuttavia, la personalità più rilevante in questo contesto, a mio avviso, è stata senz’altro Abraham Maslow, il quale non praticò primariamente la psicoterapia, ma si dedicò essenzialmente a studi e ricerche antropologiche e sul comportamento dei primati, nonché all’insegnamento accademico, e intuì la struttura gerarchica delle motivazioni nell’essere umano, individuando l’origine della psicopatologia nella mancata e reiterata non soddisfazione dei bisogni emergenti durante il corso dello sviluppo. Pertanto, aprì anche alla clinica una possibilità di lettura più ampia del disagio umano, visto non più con atteggiamento oggettivistico o limitato all’interpretazione del sintomo, ma collocando altresì quest’ultimo nella storia evolutiva dell’individuo in ordine al rapporto con i propri bisogni. Egli fu il primo a parlare della psicopatologia della norma, quel disagio sperimentato dalle persone che hanno raggiunto un buon adattamento ma non riescono ad andare oltre. Così come si può soffrire per non aver raggiunto l’adattamento alla società e ai ruoli, si può soffrire altrettanto, se non di più, quando questa fase è stata raggiunta ma non si riesce ad accedere all’autorealizzazione, il che significa poter superare la logica, la morale e la vita convenzionali, per seguire le proprie aspirazioni e la realizzazione del proprio potenziale nascosto. A tale proposito, egli pose fra le ipotesi del nuovo punto di vista l’esistenza, in ogni essere umano, di una natura interiore essenziale, fondata biologicamente, intrinseca, che non muta.

Secondo Maslow, se consentiamo a questa natura interiore buona di governare la nostra vita, ci svilupperemo verso la salute, la fecondità e la felicità; ma se questo nucleo essenziale della persona viene negato o represso, allora la persona si ammala. Inoltre, poiché la natura interiore è debole, delicata e sottile, facilmente l’abitudine, la pressione culturale, gli atteggiamenti errati nei suoi confronti la sopraffanno. Ed essa verrà così repressa; ciononostante, premerà sempre per realizzarsi. Risulta allora fondamentale superare l’adattamento, in quanto esso, se posto come stile di vita della persona, contribuisce a reprimere sempre di più la natura interiore, impedendole di esprimere le sue potenzialità. Maslow, parlando di motivazioni, distingue tra motivazione carenziale e motivazione di accrescimento, intendendo con la prima quel movimento che tende a riempire i vuoti carenziali e con la seconda il movimento che tende all’accrescimento.

La motivazione di accrescimento riguarda soprattutto le persone sane, le quali hanno soddisfatto a sufficienza le proprie necessità fondamentali di sicurezza, appartenenza, amore, rispetto e stima di sé, e dunque risultano motivate primariamente da tendenze all’autorealizzazione. Le persone sane hanno una percezione della realtà superiore alla media, maggiore accettazione di sé, degli altri e della natura, maggiore spontaneità e autonomia, struttura del carattere più democratica, accentuata capacità creativa. I bisogni carenziali possono essere soddisfatti solo da altre persone; ciò implica una considerevole dipendenza dall’ambiente; all’opposto, gli individui che si autorealizzano sono assai meno dipendenti, assai più autonomi e autodiretti. Ben lungi dall’aver bisogno degli altri, le persone motivate dall’accrescimento possono in realtà sentirsene disturbate. In esse si trova normalmente autodisciplina, che non si trova nella media delle persone; per loro il dovere e il piacere sono la medesima cosa, così come il lavoro e il gioco, l’interesse per sé stessi e l’altruismo, l’individualismo e il disinteresse.

Al cuore della rinuncia all’autorealizzazione, secondo Maslow, è la difficoltà dell’essere umano motivato in modo carenziale di abbandonare i bisogni di sicurezza, appartenenza e identificazione, in nome dell’autorealizzazione; perciò, la psicopatologia della norma risulta essere una fissazione ad uno stadio in cui si preferisce rinunciare all’espressione di sé perché si pensa che farlo coinciderebbe con la perdita di sicurezze (economiche, affettive, ecc.). Il lavoro di Maslow ha esplicitato una concezione dell’essere umano in costante evoluzione, che può andare ben oltre la cosiddetta età evolutiva e l’adattamento. Egli avvertì l’urgenza di una psicologia che considerasse lo sviluppo umano al di là di quello convenzionale, incentrata sul cosmo anziché sui bisogni e sull’interesse umano, che oltrepassasse anche il bisogno dell’autorealizzazione, per accedere all’autotrascendenza, e che includesse nel suo paradigma anche la spiritualità e i portati delle tradizioni sapienziali di tutti i tempi e luoghi. Pose così le basi per la Quarta Forza della psicologia, la psicologia transpersonale, attualmente diffusa sia negli Stati Uniti che in Europa, in diverse correnti e orientamenti.


Riferimenti bibliografici


Giusti E., Montanari C., Montanarella G., Manuale di psicoterapia integrata, Franco Angeli, Milano 1995.

Maslow A. H., Verso una psicologia dell'essere, Astrolabio, Roma 1971.

commenta questa pubblicazione

Sii il primo a commentare questo articolo...

Clicca qui per inserire un commento