Esperienza del Presente

La Psicoterapia della Gestalt
Il concetto di nevrosi nella PdG
L’esperienza del contatto
Contatto e resistenze (applicazione di una tecnica nel setting)


La formula del “qui-ed-ora” nasce nell’ambito della corrente fenomenologica, che ha condizionato, oltre che la PdG, tutte le altre psicoterapie umanistiche. Però, sicuramente, la PdG è quella che maggiormente ha basato la sua epistemologia e la sua prassi su tale concetto, improntandovi tutte le tecniche e la metodologia di lavoro. L’esperienza svolta nel presente, se illuminata dalla consapevolezza, è l’unica che può favorire il cambiamento, cioè il passaggio stabile ad uno stadio psichico più salutare, l’unica che può indirizzare l’individuo verso l’autorealizzazione, e l’autorealizzazione è lo scopo di ogni persona, secondo la psicoterapia umanistica: “l’autorealizzazione è possibile solo se la ‘consapevolezza del tempo e dello spazio’ penetra ogni angolo della nostra esistenza; fondamentalmente essa è il senso dell’attualità, l’apprezzamento dell’identità della realtà e del presente” (Perls, 1995, 219).

Il passato e il futuro non hanno valore in sé in quanto, in realtà, essi esistono solo come funzioni del presente. Il passato rivive nel presente riveduto e rivalutato in base alle conoscenze attuali di un individuo; il futuro, non ancora accaduto, esiste solamente sotto forma di ipotesi fatte nel presente. Possiamo immaginare, in una visione lineare del tempo, il tempo stesso rappresentato su una linea retta, dove il presente è una variabile che si può muovere verso sinistra (ma questa è solo una convenzione), verso il passato cioè, e in questo modo attua la funzione del RICORDARE, oppure si può muovere verso il futuro, verso destra, e in tal modo attua la funzione del PROGRAMMARE. In effetti, ammesso che il tempo si possa rappresentare in modo lineare, per ogni istante dato esiste solo la funzione presente, che si può muovere in direzione di un tempo più o meno “passato” o più o meno “futuro”; è rarissimo il caso in cui la funzione presente sia tutta concentrata nell’istante presente: “il presente è il punto-zero, sempre mutevole dei due opposti passato e futuro. Una personalità ben equilibrata è capace di tenere in conto il passato e il futuro senza abbandonare il punto-zero del presente, senza considerare passato e futuro come realtà. Tutti noi guardiamo sia avanti che indietro, ma chi è incapace di affrontare un presente spiacevole e vive principalmente nel passato o nel futuro, chiuso in un pensiero storico o futuristico, non è adattato alla realtà” (Perls, 1995, 105). Tutte queste considerazioni non devono però indurci a credere che ciò che abbia valore sia solo il presente, inteso come coinvolgimento nelle esperienze presenti in senso letterale. In realtà, le dimensioni del passato e del futuro formano “i confini psicologici dell’esperienza presente e un contesto psicologico dove la figura che è presente abbia uno sfondo adeguato” (Polster & Polster, 1986, 7).

esperienza nel presente

“Yontef attira l’attenzione su quattro zone dello spazio-tempo. La zona temporale del noto qui-ed-ora si riferisce all’intero campo dell’ambiente della persona in ogni particolare momento, comprendendo fantasie e progetti sul futuro e memorie ed esperienze del passato, rivissute nella freschezza dell’ ‘ora’. Lo spazio di vita della persona costituisce la zona del là-ed-ora, che comprende l’esistenza corrente della persona – la sua vita reale – sia all’interno della relazione del counseling sia al di fuori di esso. La terza zona è quella del qui-ed-allora, il contesto terapeutico, che si riferisce in particolare alla centralità della relazione terapeutica, alla sua continuità e alla sua storia come pure ad altri contesti che influenzano questa relazione, ad esempio le agenzie di orientamento psicologico. La quarta zona è quella del là-ed-allora, la storia della vita del paziente, senza la quale non si può apprezzare il modo in cui una persona si è sviluppata nel corso del tempo” (Clarkson, 1992, 43).

Il “saper cogliere l’istante”, cioè l’immediatezza dell’esperienza, è un sintomo di salute; l’esperienza terapeutica è “un esercizio di vita libero da regole nel presente […] Poiché la vita nevrotica è fondamentalmente anacronistica, ogni ritorno all’esperienza presente è in sé parte dell’antidoto alla nevrosi” (Polster & Polster, 1986, 11). L’importanza dell’esperienza nel presente diviene evidente nella prassi psicoterapeutica se si considera che “solo nel presente i sistemi sensorio e motorio dell’individuo possono funzionare ed è nella prospettiva di queste funzioni che l’esperienza presente può essere palpabile e viva” (Polster & Polster, 1986, 7). Infatti, il completamento dell’esperienza, ciò che viene identificato come la chiusura di una gestalt, si attua soltanto quando sopraggiunge la scarica motoria, la quale sola è in grado di liberare la persona dai legami disfunzionali e dal passato che si ripresenta in modo stantio. Ora, la scarica motoria e la realtà sensoriale sono disponibili solo nel presente.

Proprio perché attribuisce un grande valore all’esperienza nel presente, la PdG non è interessata agli aspetti interpretativi della relazione terapeutica. Il transfert viene considerato come facente parte della relazione tra due persone, in particolare fra psicoterapeuta e paziente, e non solo come riattualizzazione di relazioni passate significative: “l’interpretazione del transfert allontana l’individuo dalla ricchezza delle sue esperienze di vita, annullando la potente forza dell’azione e del sentimento presenti e sostituendo con il «c’era una volta» l’«adesso»” (Polster & Polster, 1986, 6). Oltretutto, assegnare un significato alle esperienze è pericoloso, perché “si potrebbe dare una forma a ciò che è ancora in processo e indurre comportamenti subordinati al significato, stabilendo soltanto un’altra base per un comportamento stereotipato” (Polster & Polster, 1986, 14). La PdG, in aperto contrasto con la Psicoanalisi, non si focalizza solo sul passato, ma anche sugli altri “tempi” e costituisce pertanto una psicoterapia delle possibilità, oltreché dell’adattamento: “con un carattere retrospettivo, l’analista può sprecare anni nel cercare la luna nel pozzo. Essendo convinto che scavare il passato è una panacea per la nevrosi, collabora soprattutto con la resistenza del paziente ad affrontare il presente. Scavare costantemente nel passato presenta un altro svantaggio, quello di trascurare di prendere in considerazione l’opposto, il futuro, lasciando da parte perciò un intero gruppo di nevrosi” (Perls, 1995, 105).

Dal punto di vista della PdG, il nevrotico è una persona che ha un problema continuativo, qui-e-ora, nel presente; “non riesce a tirare avanti nel presente e, a meno che non impari a trattare i problemi man mano che insorgono, non riuscirà a tirare avanti nel futuro. La meta della terapia, quindi, deve essere quella di dargli i mezzi con cui risolvere sia i suoi problemi attuali che quelli che potrebbero insorgere domani o l’anno prossimo. Questo strumento è l’autoappoggio, che può acquisire trattando sé stesso e i suoi problemi con tutti i mezzi a lui disponibili attualmente, proprio adesso” (Perls, 1977, 64). L’incapacità cronica di restare nel presente provoca diversi disagi psichici. La prima polarità riguarda l’incapacità di staccarsi dal passato: “nell’analisi del carattere retrospettivo si trova sempre un sintomo distinto: la soppressione del pianto. Il lutto è una parte del processo di rassegnazione, necessario se uno deve superare l’avvinghiamento al passato. Per riacquistare la capacità di stabilire nuovi contatti, è necessario portare a termine l’elaborazione del lutto. Essa si effettua nel presente: l’importante non è ciò che la persona morta significava per chi la piange, ma ciò che lei significa ancora per lui” (Perls, 1995, 107). La seconda polarità riguarda la tendenza a proiettarsi nel futuro, il cui sintomo tipico è l’angoscia: “la formula dell’angoscia è semplicissima: l’angoscia è la lacuna tra l’ora e il poi. Se siete nel presente, non potete essere angosciati, dato che l’eccitazione fluisce immediatamente nell’attività spontanea, senza soluzione di continuità” (Perls, 1980, 11); “ogni volta che si abbandona la base sicura del presente e si comincia a preoccuparsi del futuro, si fa l’esperienza dell’angoscia” (Perls, 1980, 38). Il disagio, in questo caso, è legato soprattutto all’incapacità di vedere nel futuro il vuoto fertile, la possibilità insita nel futuro: “siamo pieni di aspettative catastrofiche riguardo alle disgrazie che ci possono succedere, o di aspettative anastrofiche riguardo alle fortune che ci capiteranno. E così riempiamo questo intervallo tra l’ora e il poi con polizze d’assicurazione, programmi, lavori fissi e via dicendo. In altre parole, non siamo disposti a vedere il vuoto fertile, la possibilità del futuro” (Perls, 1980, 38).

L’unica terapia per restare nel presente è la concentrazione (Perls definisce la PdG come la «terapia della concentrazione»), che significa ‘andare dritti al centro di una situazione’; essa è collegata all’interesse, che è l’ ‘essere in una situazione’, e all’attenzione, che è l’ ‘aumentare della tensione verso un oggetto’. In definitiva, i tre ingredienti per restare nel presente sono: essere in una situazione, andare dritti al centro e aumentare la tensione, cioè rimanere nella situazione: “la concentrazione perfetta è un armonioso processo di cooperazione conscia e inconscia. Nel senso comune, la concentrazione è una pura e semplice funzione dell’Io, non sostenuta da interesse spontaneo. Essa è identificata con il dovere, la coscienza o gli ideali, ed è caratterizzata da intense contrazioni muscolari, da irritabilità e da un tale sforzo che produce stanchezza e provoca nevrastenia e perfino esaurimenti nervosi” (Perls, 1995, 200). Perls distingue due tipi di concentrazione: quella negativa e quella positiva. “Nella concentrazione negativa l’individuo si costringe ad occuparsi di faccende verso cui non è sufficientemente interessato. Più che sul compito, è concentrato nella difesa contro ogni disturbo (rumori, eccetera). Contrae i muscoli, aggrotta le ciglia, stringe la bocca, serra le mandibole e trattiene il respiro per poter tenere a freno il malumore – un malumore che è pronto a esplodere in ogni momento, contro ogni interferenza. La concentrazione positiva è descritta nel modo migliore dalla parola fascino; qui l’oggetto occupa il primo piano senza nessuno sforzo, il resto del mondo sparisce, il tempo e i dintorni cessano di esistere; non sorge conflitto interno o protesta contro la concentrazione. Questa concentrazione si trova facilmente nei bambini, e spesso negli adulti quando sono impegnati in qualche lavoro interessante o in un hobby” (Perls, 1995, 200).

Vediamo ora come fare per riportare il valore dell’esperienza presente nella prassi e metodologia terapeutica. La PdG è basata sulla sperimentazione nel qui-e-ora, anziché sull’interpretazione: “non chiediamo ai nostri pazienti di parlare dei loro traumi e problemi nell’area lontana del tempo passato e della memoria, bensì di risperimentare i loro problemi e traumi – che costituiscono le loro situazioni insolute nel presente – nel qui-e-ora” (Perls, 1977, 65); “il paziente deve elaborare e assimilare i sentimenti interrotti, per la maggior parte di dolore intenso, ma che possono avere anche elementi di trionfo, di colpa, o altro. Non basta ricordare semplicemente un evento passato, ci si deve ritornare psicodrammaticamente” (Perls, 1977, 67). Inoltre, “in quanto terapia sperimentale, la tecnica gestaltica esige che il paziente sperimenti quanto più di sé stesso, sperimenti al limite della sua capacità nel qui-e-ora. Chiediamo al paziente di diventare consapevole dei suoi gesti, della sua respirazione, delle sue emozioni, della sua voce e delle sue espressioni facciali, nonché dei suoi pensieri pressanti. Sappiamo che quanto più diventa consapevole di sé stesso, tanto più imparerà riguardo al suo sé. Man mano che sperimenta i modi in cui si impedisce di ‘essere’ ora – i modi in cui si interrompe – comincerà anche a sperimentare il sé che ha interrotto” (Perls, 1977, 65). Anche la ‘regola fondamentale’ cambia, rispetto all’approccio psicoanalitico: “il presupposto fondamentale che imponiamo ai nostri pazienti all’inizio della terapia, e che conserviamo, sia in parole sia in spirito, per tutta la sua durata, è contenuto nella semplice frase: ora io sono consapevole. La parola ‘ora’ ci trattiene nel presente e sottolinea il fatto che nessuna esperienza è possibile se non nel presente. L’ ‘io’ viene usato come antidoto a ‘esso’ e sviluppa il senso di responsabilità del paziente nei confronti dei suoi sentimenti, pensieri e sintomi, il ‘sono’ è il suo simbolo esistenziale. La parola ‘consapevole’ dà al paziente il senso delle proprie capacità e abilità, del suo apparato sensoriale, motorio e intellettuale” (Perls, 1977, 66). Le tecniche della PdG sono basate sullo stabilire un continuum di consapevolezza, al fine di divenire consapevoli momento per momento di quel che sta succedendo. Il paziente resisterà nel procedere nel continuum di consapevolezza, e lo farà non appena tale consapevolezza riguarderà qualcosa di spiacevole. Infatti, “poiché il nevrotico trova difficile vivere e sperimentare sé stesso nel presente, troverà difficile lavorare con la tecnica del qui-e-ora. Interromperà la sua partecipazione nel presente con ricordi del passato, e insisterà a parlarne come se fossero realmente passati. Trova meno difficile associare che non concentrarsi” (Perls, 1977, 67).

Da parte sua, il terapeuta della Gestalt deve saper utilizzare la propria capacità di restare nel presente e metterla al servizio del setting terapeutico. Così, la sua maggiore consapevolezza diviene uno strumento attraverso il quale il paziente aumenta la propria.

Riferimenti bibliografici

Clarkson, P. (1992) Gestalt Counseling, Roma, Sovera Multimedia
Perls, F. (1977) L’approccio della Gestalt, Roma, Astrolabio
Perls, F. (1980) La terapia gestaltica parola per parola, Roma, Astrolabio
Perls, F. (1995) L’Io, la fame e l’aggressività, Milano, Franco Angeli
Polster, E., Polster, M. (1986) Terapia della Gestalt integrata, Milano, Giuffrè

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