La Gelosia

La Gelosia.
 

Nel paragrafo “Frammenti di una metafora” Perrotti introduce il concetto di gelosia unendolo a quello di metafora. Afferma: “Che la metafora abbia una grande importanza per la vita psichica in generale e per l’andamento di un’analisi terapeutica è una constatazione fatta da me nel corso di vari anni.”. Continua inserendo la gelosia: “Vi contribuì in un certo modo ‘l’esperimento sulla gelosia’. Anni fa cominciai a pensare che la mente soffre di dolore acuto, di noia, di ripetitività, quando è costretta a funzionare secondo un solo codice espressivo.”.

La gelosia, per l’appunto.

Il passaggio dell’articolo che prenderemo in esame pone il problema della tecnica dell’interpretazione della gelosia: la finalità sarebbe quella di individuare una strategia tale che dal tecnicismo si sperimenti una consapevolezza interna del difficile vissuto della gelosia in modo di permettere una maggiore ampiezza alla sua pensabilità e dicibilità. In quella che dovrebbe trasformarsi in una ricerca di senso dentro di sé e successivamente in una interpretazione influenzata dall’emozioni del paziente, rielaborate, metaforizzate. Interpretate per l’appunto nel lavoro ultimo, quello di restituire una “testimonianza vivente”. Quindi un codice comunicativo “tecnico” sarebbe men che mai utile nella comunicazione con paziente “geloso”. Penso che questo derivi dalla natura primitiva della volontà di possesso geloso, che se vissuta, è molto lontana da una possibilità di razionalizzazione. Potrebbe tuttavia essere anche intesa, ma porterebbe il discorso ad un tale livello di razionalizzazione difensiva da mandare in stallo il rapporto terapeutico dato in quel momento.

Nel prosieguo dello scritto Perrotti a titolo esemplificativo cita tre momenti della gelosia che lui individua in “quello del dubbio”, “quello dell’amore” e “quello del cupo dolore” che mi è parso anche utile contestualizzare temporalmente in un semplice “prima, durante, dopo” e rinominare meno semplicemente come i momenti del 1) “Desiderio”, 2) “Inglobamento”, 3) “Punizione”.


La Gelosia. Desiderio (2di6)
1) “Desiderio”:

Di un oggetto, nel senso stretto, che possa dare forma al proprio vuoto. Non parlerei di riempimento, quanto di rimodellare il vuoto, come di riformulare il pensiero sempre e comunque in assenza di un contenuto psichico “tangibile”, in un’ombra cinese. Basti riflettere sui risultati nel reale delle forti gelosie che alla conquista dell’oggetto non placano le derive patologiche. Anzi. Subentra il sospetto paranoico, c’è una continua ricerca dello scontro delirante per tentare di riportare sempre a zero la pretesa di partecipazione vitale dell’altro alla relazione (richiederebbe uno spostamento libidico inaccettabile per il geloso). Anche fisicamente all’occorrenza. Inizialmente abbiamo il desiderio nel quale il soggetto viene oggettivato in un aurea divina. La creazione di tale oggetto perfetto e degno passa per una quantificazione del bilanciamento psichico che dovrà sostenere: l’angelo sarà più magnifico al bisogno di un inferno quanto più abominevole. Al momento dell’aggancio subentrerà il momento dell’…


La Gelosia. Inglobamento (3di6).
2) “Inglobamento”:

 L’angelo viene messo in gabbia, gli vengono tagliate le ali, ma fuori da sé. Viene spolpato, ingoiato, digerito. E quindi espulso. La sua funzione era quella di irradiare un immagine di sé, in un narcisismo che non riesce a specchiarsi nella propria deformità, perfetta. Come dicevo il vuoto rimane tale, cambia la sua forma, per un lasso di tempo determinato, si abbellisce, condivide, pensa, ma in realtà è una manovra parassitaria. Qui avviene la caduta della prima maschera del geloso: quella che si nutre della fantasmatica immagine compensatrice creata nell’altro, sull’altro. Che soccomberà certamente vista l’impossibilità del confronto. Alla quale vorrà anche soccombere visto il particolare legame. Quindi inaridirà. Il geloso avrà un vuoto interiore e una mancanza di pensiero “belli” da mostrare finché potrà cibarsi dell’altro. Questo tipo di rapporto, patologico ed estremizzato per convenienza divulgativa, si reggerà su un periodico rifornimento di rassicurazioni narcisistiche all’altro. Altro fortemente bisognoso di un ritorno di immagine narcisistica molto forte: la fortissima gelosia viene razionalmente spiegata come il metro di un fortissimo amore. E solo in un legame tanto forte, tanto da mostrare la corda della patologia, si sente riconosciuto, e ancora, nutre il suo bisogno di essere speciale, copertura di una miserabile necessità di essere visti e tenuti a sé. Ma anche i legami gelosi per quanto collusivi prima o poi possono dissolversi. Come dicevo prima, al cadere della prima maschera.

Saremmo arrivati quindi al momento della…


La Gelosia. Punizione (4di6).
3) “Punizione”:

Quella dove il geloso si strazia della perdita, passa il proprio tempo reale ma soprattutto psichico a pensare all’oggetto perduto. Sembrerebbe. Ma, per l’esattezza, ad una visione più attenta, più meticolosa, quello che sembra un pensare è una ricostruzione e quello che sembra un oggetto perduto è un una bella immagine di sé sfuggita. Il geloso, dei litigi e dei momenti cupi precedenti la rottura del rapporto, non ricorda niente, non vuole, non può. Al passare del tempo l’oggetto riacquista la sua magnificenza, e tutte le sue doti vengono nuovamente riconosciute dopo un periodo di fagocitante annichilimento. Ci sono tre momenti che possono aiutare a spiegare questa fase: 1) dei sensi di colpa, 2) del ricaricarsi, 3) della viscosità della libido. I sensi di colpa non dipendono, da quanto si penserebbe ingenuamente, dal rinsavimento del soggetto geloso conscio dei suoi errori. Ebbene no. Vorrei porre l’attenzione su un momento sfuggente della relazione “gelosa”: il limbo tra il momento “dell’amore” e “del cupo dolore”. Nei tre momenti della relazione citati sopra manca il momento della…

La Gelosia. Distruzione dell’Oggetto (5di6)
4) “Distruzione dell’oggetto”:

Ma in ordine. Non solo è conscio dei suoi comportamenti, ma ne ha bisogno. I sensi di colpa nascono dal limbo. Qui avviene la caduta della seconda maschera: è il momento dell’espressione, della presa di coscienza, anche se vaga, confusa, di tutta la propria cannibalesca aggressività. Odia. L’odio, una parola che in se non vuol dire tanto ma che uso per comodità, visto la grande quantità di significati eterogenei che contiene. Ha fame. Esce il mostro che è in lui. In questo momento possono verificarsi fenomeni di stalking in tutte le sue forme, tramite un annichilimento dell’altro tale da togliergli la terra da sotto i piedi, oppure in una derealizzazione psicotica colpevolizzante. Strategia finalizzata al recupero dell’oggetto che si percepisce ancora proprio, ma ferito e quindi attaccabile frontalmente. Non tramite strategie come quando lo si percepisce integro, quindi manipolato ed aggirato in un atteggiamento adulatorio e parassitario, che si realizza ultimato quando ormai il legame è dato. Questo dato momento è una vampata di odio psicotico verso l’ennesima bella immagine di sé, in realtà lontana, fuggita, traditrice e fondamentalmente altra da sé. È un momento nel quale l’incantesimo narcisistico ha un momento di defaillance come quando la maledizione ha inizio alla mezzanotte e si scopre il volto del mostro. Ma il nuovo giorno è alle porte. La scarica è stata, il geloso è esausto. Ha bisogno di ricaricarsi, tutto quello che adesso è fuori di sè deve tornare, deve essere recuperato. E pian piano tutto torna al proprio, precario, posto. E si ricomincia. Come? Con ancestrali e quindi infantili sensi di colpa. Ecco dove traggono forza, dall’odio profondo. Naturalmente è esaminato e valutato come se fosse una modalità esclusivamente patogena data la sua eccezionale problematica quantitativa che nello scenario mostra. I sensi di colpa fungono a una duplice depistante funzione : quella di riabilitarsi verso se stessi e verso l’altro che a seconda del livello patogeno del legame e nelle condizioni giuste potrebbe arrivare a ripensare nevroticamente la relazione, fino a considerazioni tipiche: “in fondo mi voleva solo bene, mi amava”. Altra parola che non significa niente perché significa troppo (o meglio troppe cose, stati). Altri appetiti. Qui abbiamo il momento del rigenerarsi della carica. In ambedue i soggetti sebbene con strategie diverse si guarda a quello che è accaduto. Il geloso ormai punitosi abbastanza è tornato in sé, ha scaricato tutto il suo odio primordiale e furente. Quindi riavvia le vecchie strategie avviluppatrici rispetto ormai ad un soggetto che percepisce di nuovo integro, non affrontabile frontalmente. E di nuovo fantastico, fantasticato. In una fantasia nostalgica anch’essa proveniente da molto lontano, lontano nel tempo. Qui entra in gioco il terzo fattore: la viscosità della libido che dona comunque qualità alle altre due fasi. Qui appare chiarissimo come sia difficile spostare un quantitativo importante di energia libidica investita nevroticamente. E lo possiamo notare palesemente in due fasi distinte del rapporto del geloso: nel tentativo arcaico di un contatto, tramutatosi in una necessità di possesso e nella sua doppia rievocazione, ovvero nel momento della prima relazione e nei tentativi successivi di ripristinarla in una incontrollabile spinta della coazione a ripetere sul modello appunto della relazione primaria. Lo spostamento di un quantitativo di libido collocata nevroticamente può avvenire senza investire grandi quantità energetiche quando naturalmente l’oggetto è affine alla nevrosi di base. Nel geloso infatti le maglie dell’inganno incominciano a sfaldarsi nel caso in cui l’altro tenti uno spostamento relazionale dalla fase dell’inglobamento: da qui nascono le forti reazioni difensive del geloso. La libido deve rimanere dov’è. L’”intreccio pulsionale” adleriano è utile per comprendere realisticamente la moltitudine di sfumature che poi tali rapporti vengono ad assumere.

Concluderei con una concettualizzazione della relazione gelosa di tipo fisica – meccanica. Brevemente e quindi fallace, ma scusatemi.

Il gioco di proiezioni, idealizzazioni, investimenti si colloca realisticamente sopra un meccanismo più elementare. Un meccanismo inseribile ad un livello di funzionamento base, per l’appunto “Elementale”.


La Gelosia. Newton (6di6)
Newton, principio di azione – reazione:

Se su un corpo agisce una forza, allora esiste un altro corpo su cui agisce una forza uguale e contraria. Ovvero, ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria. Quindi le mutue azioni fra due corpi sono sempre uguali e dirette in senso contrario. Più precisamente: quando un corpo A esercita una forza su un corpo B, anche B esercita una forza su A; le due forze hanno stesso modulo (intensità), stessa direzione, ma versi opposti.

Traslando a noi, ad uno sforzo energetico, un investimento, una produzione e quindi un consumo di energia deve corrispondere un cambiamento della realtà in relazione alla percezione dell’agente produttore dello sforzo. Il cambiamento della realtà sia psichica che fisica, avverrà sempre. Il problema è nella sua percezione, nella capacità di percepire. Alla mancata restituzione dell’energia investita secondo la qualità desiderata ci sarà un tentativo di recupero della stessa. A seconda della posizione occupata su di un continuum psicopatologico ci saranno tentativi di recupero diversi: gelosia per l’appunto, invidia, difesa dell’onore, vendetta, l’orgoglio, fino a strategie più sane come la sublimazione su altri “oggetti”.

La gelosia si connota nella punizione dell’altro con la sottrazione dell’energia datagli: il problema della persecutorietà della punizione risiede nella persecutorietà intrinseca nella prima energia donata all’altro, già inquinata, e dalla pretesa di un recupero crediti che passa dalla dimensione dello psichico a quella della riappropiazione fisica del credito supposto: il geloso da quello che può, l’altro non riesce a tornargli il desiderato, non è possibile anche se è tutto quello che possiede, ma a questo punto decide di appropriarsi dell’oggetto non potendo avere le sue emozioni idealizzate a suo uso e consumo compensatorio. Quella che era la dote diventa lo strumento di tortura.

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