Normalità e Patologia oggi

Normalità o Patologia oggi                                 

L’aspetto dicotomico è specificato in modo inequivocabile sul DSM V -TR (Manuale sui Disturbi Salute Mentale quinta edizione uscita nel 2022) e qui si evidenzia in un’ottica chiara la presenza o assenza di sintomi. Ormai un sintomo c’è o non c’è, vengono sommati i sintomi, e la sindrome viene descritta con i suoi limiti. Le categorizzazioni fisiologiche, come per esempio la reciproca e sana dipendenza del bambino dalla madre o la dipendenza transferale del paziente dall’analista e controtrasferale in quanto costruttiva dell’analista dal paziente e tante altre dipendenze come quella del gioco d’azzardo o dello shopping compulsivo. In effetti, la dipendenza è fisiologica quando ha in sé aspetti evolutivi verso l’autonomia, mentre è patologica quando tende alla ripetizione, più precisamente al mantenimento dell’automatismo che la comanda. Per sfuggire a questi vissuti si cerca la normalità intesa come frequenza in senso statistico, cioè il normale è più frequente e nell’ambito della salute mentale il “normale” corrisponde al “sano”. Purtroppo, l’uso normale di videogiochi, di televisione, di telefono, di giochi di guerra e di ogni tipo, di anfetaminici in discoteca, di sesso “a buon mercato”, di cocaina a basso dosaggio e di cannabinoidi tra gli adolescenti sono comportamenti che diventano sempre più frequenti. Questi fenomeni quasi definiti “normali” sono in aumento con le patologie manifeste quali le dipendenze da psicofarmaci, dalle droghe classiche, dall’alcool, nonché dal cibo, dal gioco d’azzardo sparso un po’ ovunque, dal sesso, da Internet, dalla televisione che trasmette programmi, film, fiction 24 ore al giorno. Dette patologie entrano poi in comorbidità con altre patologie tra cui i disturbi depressivi, d’ansia e i disturbi psicotici che entrano sempre più in correlazione con i disturbi di personalità.      

Un terapeuta di fronte a questa realtà avverte un senso di inadeguatezza rispetto ai bisogni non appagabili del paziente, e in lui alla fine compare il “vuoto relazionale” in cui nel rapporto col paziente emerge la mancanza di empatia, cioè l’indifferenza. Si prova ad adeguarsi ai vari ruoli, ma si resta incapaci di vivere le differenze degli altri attraverso l’empatia, quella tanto spiegata e amata da Carl Rogers. Attraverso una visione globale si tende all’uniformità verso le regole esteriori e l’alexitemia - cioè l’incapacità di riconoscere le proprie emozioni e la mancanza di empatia ( mettersi proprio nei panni dell’altro) - sono gli elementi che spiccano. Nei soggetti con depressione narcisistica, caratterizzata da sintomi depressivi derivanti da un calo dell’autostima, con sentimenti di inadeguatezza e di vergogna, si inserisce il senso di colpa che sostituisce la vergogna in cui la relazione con l’altro è solo funzionale al proprio soddisfacimento e all’evitamento della vergogna stessa. La possibilità di pensare, cioè elaborare emozioni e di formare legami viene ridotta o sostituita da qualche cosa di segno opposto al pensiero. I modelli del pensiero si acquisiscono, ma non vengono elaborati, sono modi di fare costanti, quelli che Winnicott definì “falso Sé”.

Si diventa così consumatori di oggetti che già contengono in se stessi modelli della mente, forme di organizzazioni dei rapporti umani e della vita, orientamento di valori. Questi pensieri- oggetto o pensieri-merci risultano problemi già risolti, quasi protocolli di interventi standardizzati, veri pacchetti di diagnosi e terapie, piuttosto che interpretazioni fatte e poi finite. L’uomo è addestrato ad essere sempre dipendente da relazioni sociali standardizzate con ruoli stereotipati e pertanto, si resta esposti a stati di inadeguatezza, vuoto esistenziale, inutilità, e infine all’angoscia. Le nostre personalità sono prodotte da questi messaggi. Oggi, credo che la personalità vada considerata come una struttura che assorbe dall’ambiente ed é in continuo divenire. Il terapeuta di questi tempi, che vive la generazione zeta, deve avere la consapevolezza profonda di abitare lo stesso mondo dei pazienti, cioè la percezione delle antiche, nuove, nuovissime e soprattutto future dipendenze.

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