Quando arriva la mia ora d'aria

Quando arriva la mia ora d’aria? Cos’è la violenza di genere e come possiamo vivere relazioni liberate da questo fenomeno

“le donne sono ovviamente persone di sesso femminile;  prima ancora di essere mogli, madri, sorelle; e quindi,  nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato”, diceva Stefania Noce nel suo articolo “ha ancora senso essere femministe?”  pubblicato nel giornalino liceale la Bussola (2008) (reperibile in www.mujerpalabra.net)

L’ironia (brutta ironia) della sorte vuole che proprio lei, che fin dai tempi del liceo si batteva per una vera parità tra uomini e donne, sia morta di autodertiminazione, per mano del suo ex che non  accettava la loro separazione.

Questo ci deve far riflettere, soprattutto quando riteniamo che ormai la libertà interiore e esteriore delle donne sia un dato acquisito: un bambino si sente libero quando nel giorno del compleanno gli permettono di andare sui pattini, cosa che chiedeva da tempo; così la situazione femminile appare oggi, a ben vedere, come quella di un adolescente che ha ottenuto delle libertà, ma rimane appunto un adolescente, cioè sotto tutela. Un detenuto non scambia l’ora d’aria per la libertà…

Questa gestalt confusiva, cioè visione oscurata, è alla base del fatto che noi oggi, “donne libere” ancora cediamo il fianco alla violenza intrafamiliare, o sul lavoro, che non è solo violenza sessuale o fisica, ma anche violenza in qualità di limitazione della nostra libertà. Ciò e ’stato riconosciuto da varie ricerche, compresa quella dell’ Istat (2006). Infatti l’ Istat da una parte e la provincia di Roma dall’altra hanno individuato tutto un insieme di indicatori che segnalano la violenza psicologica degli uomini sulle donne

Per l’istat (2006) IL 36,9 % DELLE DONNE CHE ATTUALMENTE VIVONO IN COPPIA hanno subito violenza

solo psicologica dal partner. Tra queste ultime il 46,7% ha subito forme di isolamento (limitazioni nel

rapporto con la famiglia di origine o gli amici, impedimento o tentativo di impedimento di lavorare o

studiare), il 40,7% forme di controllo (il partner le ha imposto come vestirsi o pettinarsi o l’ha seguita

e spiata o si è arrabbiato nel caso abbia parlato con un altro uomo), il 30,7% forme di violenza

economica (impedimento di conoscere il reddito familiare, di usare il proprio denaro e il costante

controllo su quanto e come spende). Le donne sono state oggetto di violenza nel senso della

svalorizzazione di sé nel 23,8% dei casi (situazioni di umiliazioni, offese e denigrazioni anche in

pubblico, critiche per l’aspetto esteriore e per come si occupa della casa e dei figli). Infine le

intimidazioni sono state usate nel 7,8% dei casi; si è trattato di veri e propri ricatti, minacce di

distruggere oggetti di proprietà della donna, di fare del male ai figli, alle persone care o agli animali,

nonché la minaccia di suicidio.

Tutto ciò succede perché alcuni uomini sono stati educati ad esercitare il controllo e sono quindi inclini a ricorrere a delle forme di intimidazione, isolamento e maltrattamento emotivo. Tale tipologia di rapporto è alla base sia dei danni psicologici e di autostima della donna, sia di esiti di violenza fisica e sessuale. In effetti  le ricerche sulla violenza fisica e sessuale, come quelle di Lenore Walzer, psicologa e avvocatessa di donne maltrattate, evidenziano che prima di arrivare a queste due ultime forme di violenza (maltrattamento fisico e violenza sessuale), ci siano varie fasi che delineano un alternarsi di tensione e distensione nella coppia, con un andamento a spirale, che però avvolge la donna anche nelle fasi in cui il compagno sia gentile e magari “pentito” con lei.

La fase tranquilla, che viene detta luna di miele serve al compagno, il quale mostra un falso pentimento, per testare la docilità e disponibilità della donna a una nuova interazione violenta, che lo rassicuri sul mantenimento del controllo sulla stessa. Da parte della donna invece, in questa fase, c’è o la speranza e il tentativo di cambiare il proprio uomo o la paura di ricadere in episodi di violenza. Quindi per tutte noi donne, sia che siamo minacciate da un partner fattualmente violento o che siamo in una relazione sentimentale o di altro tipo che non ci riconosce i nostri spazi e possibilità, è necessario non cadere nell’errore della normalizzazione  (la maggior parte delle donne intervistate dall’Istat non considera la violenza di genere un reato). Questo atteggiamento consiste nel fatto che

la nostra psiche tende  a fare dell’adeguamento alle richieste del partner e della nostra cerchia familiare più stretta una parte di noi, un essenza della nostra personalità, quasi un sine qua non per essere donne. Ma appunto una donna non è donna solo di fronte all’altro sesso ma è un essere umano di sesso femminile, con una propria personalità, propri interessi, proprie capacità anche extralavorative da sviluppare.

Tutti questi elementi non si possono sviluppare se non c’è una presa di coscienza della propria identità di genere; cioè di essere individui,  di essere donne a prescindere dalle attribuzioni (giudizi, modi di vedere) degli altri. Per fare ciò è necessario uscire con l’immaginazione dagli atteggiamenti abituali che abbiamo verso le nostre relazioni significative, e ideare un modo altro di rapportarsi. A questo scopo è utile il lavoro di gruppo, in cui si possono confrontare le proprie storie di vita con quelle delle altre, trovare sostegno e progettare una nuova identità di sè, che dia spazio a quello che noi stesse infondo sappiamo di noi.

Perchè fare tutta questa fatica? Ma basta citare Carl Gustav jung psicologo del profondo, che sosteneva che la personalità di un adulto  maturo non fosse nè femminile nè maschile, ma un equilibrio armonico di tutte e due gli aspetti e che il compito della crescita (intesa anche come affermazione dell’adulto nella vita, come trovare senso alla vita) fosse quello di individualizzarsi armonizzando queste parti. Sempre secondo Jung questo preverrebbe la nevrosi e  la depressione. E di depressione si ammalano tante donne che subiscono violenza in famiglia…

Ma questa non è una condanna, dalla depressione è possibile uscirne con un lavoro su di sé. Con esso infatti,  appoggiandosi eventualmente al supporto il gruppo e di un professionista psicologo esperto, si può riprogettare la propria personalità cambiando, visioni di sé e obiettivi di vita, iniziando un percorso di autostima e empowerment. L’empowerment dagli anni ’70 è stato un concetto molto usato in vari ambiti e che proviene anche dal movimento di emancipazione delle donne. Per esso intendiamo la parola inglese che può essere tradotta in italiano con "conferire poteri", "mettere in grado di”.  

Bisogna però pensare a un potere inteso come capacità personale, forza, energia, autopotenziamento, incremento delle proprie possibilità, il «potere di» fare, di essere. Questo «potere di» è contemporaneamente improntato all'emancipazione dell'altro, alla solidarietà e all'interdipendenza con l'altro, è immediatamente un «potere con» l'altro. E’ insomma qualcosa che noi donne conosciamo da sempre e che possiamo insegnare anche agli altri anche ai nostri amici, colleghi compagni fratelli maschi col fine di aprirsi a  nuove possibilità, e far scoprire anche all’altra nostra metà del cielo altre possibilità di relazione. Quindi auguro a tutte di trovare la strada per esprimere se stesse profondamente e così di riflesso incoraggiare pure l’altro sesso a farlo, abbandonando oppressione e false sicurezze. Un saluto a tutte e a tutti a presto

Roberta Vespignani psicologa clinica, esperto in psicologia giuridica, psicoterapueta in formazione

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