Diagnosi ADHD: “Significato, sintomi, comportamenti da osservare, fattori protettivi/di rischio e trattamento”

SINTOMI E/O COMPORTAMENTI DA OSSERVARE:

- Difficoltà e/o deficit nelle funzioni esecutive, come attenzione sostenuta, memoria a breve termine, nella pianificazione e nell’autoregolazione.

Iperattività: non riesce a stare fermo, è irrequieto, non riesce a restare seduto per molto tempo, lo si può etichettare come “logorroico”, ecc.

- Disattenzione: commette errori di distrazione, perde gli oggetti, dimentica la equenza nel portare a termine un compito, ha difficoltà nell’attenzione sostenuta, ecc.

- Mancanza di autocontrollo,

- Impulsività: fatica a rispettare il proprio turno, tende a rispondere “subito”, ecc.

- Debole tolleranza all’attesa,

- Reazioni eccessive di fronte ad un rifiuto o ad un “No” da parte degli adulti di riferimento.

- Comportamento immaturo e disinibito (detto anche dirompente),

- Non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici o in altre attività,

- Sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente,

- Non segue le istruzioni e non si porta a termine le richieste,

- Ha difficoltà nell’organizzazione e nella pianificazione (tempo),

- Evita di impegnarsi in compiti che richiedono uno sforzo mentale prolungato,

- Vaga e salta ovunque, in modo eccessivo, in situazioni in cui è fuori luogo,

- Ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo,

- Si interessa, da piccolo, agli oggetti circostanti ma non focalizza la sua attenzione;

- Presenta spesso anche disturbi nel ritmo sonno-veglia ed irrequietezza al momento del risveglio.

L’osservazione delle difficoltà che il bambino trova nella vita quotidiana deve essere fatta a 360°: a scuola, mentre studia, durante le relazioni extrascolastiche, nella socializzazione, in famiglia e nell’ambito sportivo.

Le difficoltà spesso si riscontrano, per la prima volta, con l’ingresso alla scuola materna quando insorgono le prime regole da rispettare.

 

                          Pian piano che il bambino matura e diventa “grande”

                                       i sintomi motori tendono a ridursi

                                            ma possono comparire

                                   scarsa motivazione verso lo studio

                e scarsa "tollerenza per compiti che richiedono attenzione prolungata.

DIAGNOSI ADHD

I criteri diagnostici secondo il DSM 5 sono: la presenza di alcuni sintomi (almeno 6) per le categorie iperattività, disattenzione e impulsività. I sintomi devono essere persistenti per almeno 6 mesi e devono provocare disadattamento e una serie di difficoltà nella vita quotidiana.

Alcuni dei sintomi presenti nel DSM 5 devono già essere presenti prima dei 7 anni di età.

Le difficoltà percepite ed osservate devono inficiare almeno 2 contesti di vita.

La compromissione nel funzionamento sociale, scolastico e/o lavorativo deve essere clinicamente significativa.

La diagnosi di ADHD deve escludere Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, Schizofrenia, Disturbo Psicotico e mentale. Il quoziente intellettivo, inoltre, deve rientrare nella norma.

Spesso è associato con Disturbo Specifico degli Apprendimenti, dell’umore, d’ansia ed oppositivo provocatorio.

ORIGINE

È un disturbo neurobiologico e del comportamento, caratterizzato da una difficoltà ad autoregolare il proprio comportamento e le proprie emozioni. Oltre all’aspetto genetico, in letteratura, si citano anche cause ambientali (es. il tipo di educazione ricevuta o il tipo di attaccamento/accudimento) ed organiche come la riduzione del volume dell’encefalo, il numero dei neurotrasmettitori, e quindi il rallentamento di alcune informazioni verso il cervello.

Un bambino ADHD, non ha deficit cognitivi ma solo difficoltà nell’autocontrollo e nella capacità di pianificazione.

FATTORI DI RISCHIO

Alcuni tratti del temperamento del bambino, a volte già presenti nei primi anni di vita, come comportamenti aggressivi verso gli adulti di riferimento, reazioni esagerate di fronte ad un divieto, l’assenza di interessi per esempio verso i giochi, una relazione instabile coi genitori, depressione materna, conflitti frequenti tra i genitori, ecc.

FATTORI PROTETTIVI

La creazione di un “buon” legame tra genitori e figli, genitori presenti ma che lasciano il bambino esplorare il mondo circostante, che danno regole precise e comprensibili, favorire una relazione aperta e di fiducia, un’educazione coerente nel tempo, ecc.

INTERVENTO

Individuale: può esseree di due tipi, seppur sempre rivolto al bambino,:

- Psicoeducativo: volto al miglioramento e alla comprensione delle proprie abilità. L’obiettivo è di offrirsi come “buon” modello per regolarizzare i comportamenti deficitari o di disturbo.

- Terapia cognitiva comportamentale: volta al riconoscimento delle risorse e delle difficoltà personali, alla strutturazione di una routine, alla comprensione ed "aiuto" nel controllare la rabbia o la frustazione (emozioni negative) ed imparare pian piano a conoscere meglio se stessi arrivando, anche, ad un maggior benessere personale, a scuola, a casa, ecc.

Fondamentale è anche istaurare delle regole chiare e precise (magari prevedendo un time out o usando la token economy).

In gruppo: dove i bambini si mettono in gioco e si confrontano grazie la regolazione di un adulto di riferimento (psicologo). Oltre al confronto sono previsti giochi individuali dove mettersi “alla prova” e trovare delle strategie tutti insieme.

A scuola: prevedere un PDP (piano didattico personalizzato) per descrivere gli strumenti compensativi e dispensativi, prevedere pause brevi ma costanti, interagire col gruppo classe, ricercare l’attenzione oculare, mandare il bambino a “far le fotocopie”, suddivisione del lavoro, mantenere una collaborazione costante con la famiglia ed i professionisti, dare spiegazioni dopo un “rimprovero” o un errore, ecc.

Spesso si propongono dei teacher training, percorso formativo, tra scuola e professionisti che seguono il bambino o corsi per imparare e conoscere meglio questa difficoltà.

Familiare (parent training): è un intervento psicologico di tipo psicoeducativo. Si rivolge ai genitori per migliorare le relazioni coi figli. Permette anche di allenare o insegnare a focalizzare l’attenzione non solo sui difetti ma anche sulle risorse dei propri bambini. Insegna metodi educativi efficaci, ad ascoltare in una modalità aperta. La comunicazione e la vita famigliare migliorano grazie l’uso di strategie di coping e di problem solving.

Tutor dell’apprendimento: può essere utile per strutturare l’organizzazione pomeridiana metodologica riferita agli impegni scolastici e di apprendimento.

Farmacologico: migliora il quadro clinico ma ha alcuni limiti. Interviene solamente su alcuni aspetti del disturbo, non ha efficacia a lungo termine, deve essere integrato con una terapia comportamentale o di psicoeducazione, ecc.

Mindfulness: questa pratica meditativa porta la persona a focalizzare l’attenzione sul respiro, il proprio corpo ed i pensieri presenti (riferiti al qui ed ora). Aiuta il bambino o i genitori a rompere gli automatismi del comportamento disfunzionale e a ridurre le reazioni automatiche negative dei genitori causate spesso da circoli viziosi presenti da tempo.

 

Bibliografia:

Lambruschi F., “Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva: procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche”. Bollati Boringhieri. (pag. 599-635)

Stepparava, M.G. & Iacchia, E. (2012), “Psicopatologia cognitiva e dello sviluppo: Bambini difficili o relazioni difficili?”, Raffaello Cortina Editori. (Pag. 295-328)

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders,
Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (Tr. it.: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014).

 

Dott.ssa Federica Ciocca

Psicologa e psicoterapeuta

Studi: Torino, provincia ed online

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