Aborto spontaneo o morte endoeuterina?

 
 

Le morti fetali endouterine
 

Definizione

 Per morte fetale endouterina si intende la morte del feto all’interno della cavità uterina. Nella legislazione vigente in Italia, la differenza tra "aborto" e "nato morto" è posta a 180 giorni di età gestazionale (25 settimane e 5 giorni compiuti), quindi un feto senza vitalità espulso dal 181mo giorno è considerato nato morto, prima del 180mo giorno invece un aborto spontaneo.

 

Aspetti psicologici
 

Aspetti generali

Per molto tempo le morti perinatali e in particolare le morti ante-partum non erano riconosciute dai medici come reali eventi luttuosi che necessitavano di attenzione clinica. Si supponeva che l’attaccamento al neonato avvenisse soltanto dopo la nascita e, di conseguenza, si tendeva a ritenere che per la madre fosse dannoso e inutilmente doloroso vedere e tenere in braccio il suo bambino nato morto. Il consiglio che si dava alle madri era di dimenticare ciò che era successo e di cercare di avere un altro bambino il prima possibile. I padri avevano il compito di consolare le madri e non si considerava che anche loro potessero soffrire per la perdita. Alla fine degli anni sessanta alcuni studi definirono la morte fetale endouterina come perdita tragica e silenziosa di una persona senza identità. Soltanto all’inizio degli anni settanta, dopo la pubblicazione di ulteriori studi, si iniziò a considerare l’opportunità di consentire alla madre di vedere e di toccare il suo bambino.

Attualmente si tende a riconoscere che l’attaccamento di entrambi i genitori al bambino si sviluppi già durante la gravidanza e che, di conseguenza, la perdita del bambino sia un evento luttuoso per entrambi i genitori.

 

Diagnosi, parto e rientro a casa

Il momento della diagnosi è spesso vissuto come choc. Molte donne, ma anche molti dei loro compagni si sentono come “sotto anestesia”, come se stessero assistendo ad un avvenimento che non ha veramente a che fare con loro. Altre reazioni frequenti sono: tentativi di negare l’accaduto, incredulità, paura e orrore, per esempio legati al fatto di portare in grembo un bambino morto, a volte già da qualche giorno. Poi si possono presentare emozioni quali tristezza, disperazione, rabbia, emozioni che spesso si alternano rapidamente.

L’induzione del travaglio, l’attesa spesso molto lunga delle contrazioni, il parto e il pensiero di dover partorire senza la prospettiva di avere un bambino vivo da tenere in braccio in genere sono esperienze percepite come estremamente stressanti dalla madre, ma anche del suo compagno. Dopo il parto, la coppia deve decidere se vuole vedere e toccare il bambino e come vuole gestire la sepoltura e anche queste decisioni possono essere vissute come molto stressanti.

Il rientro a casa senza il bambino è un momento molto delicato ed emotivamente carico per molte donne. Spesso in quel momento diventa particolarmente evidente che molti progetti, quali per esempio l’arredamento della cameretta, ora non hanno più senso e spesso la casa sembra vuota e desolata.

 

Distress psicologico dopo una morte fetale endouterina

Dopo una morte fetale endouterina i genitori quasi inevitabilmente vivono un periodo di lutto. La perdita di un figlio sconvolge le loro convinzioni fondamentali rispetto al mondo, che diventa pericoloso, ingiusto e incontrollabile. La perdita del loro bambino implica per i genitori anche la perdita di speranze e progetti per il futuro, la perdita di autostima, la perdita del ruolo genitoriale e la preoccupazione rispetto alla loro capacità di creare un’altra vita. A tale senso di perdita più ampio si aggiungono i tabù sociali che circondano la morte e - la morte prenatale in particolare - e la difficoltà ad attribuire uno status definito al bambino nato morto. Ciò spesso fa sì che la coppia viva il suo lutto in silenzio e isolamento.

Il senso di perdita e di fallimento può essere incrementato dal tipo di aspettative che la coppia aveva rispetto al diventare genitori e rispetto al loro bambino. L’attaccamento della madre al suo bambino si forma grazie ad alcuni passaggi, tra i quali pianificare la gravidanza, avere conferma della gravidanza, sentire i movimenti fetali, partorire, vedere il bambino. Alcuni di questi passaggi avvengono prima del parto, motivo per cui si può parlare di attaccamento prenatale. Inoltre, l’utilizzo dell’ecografia oggi dà ai genitori la possibilità di creare un legame visivo con il bambino già prima della nascita e prima anche di percepire i movimenti fetali. In questo modo, già prima del parto la madre e il padre in genere hanno elaborato un’idea di come sarà il bambino che aspettano e hanno progettato e prefigurato una serie di cambiamenti che il suo arrivo porterà nella loro vita. Si può dire che la reazione di una donna alla perdita della sua gravidanza sia la misura del suo attaccamento al bambino e il grado di investimento nella gravidanza. Anche se questi fattori possono essere influenzati dall’età gestazionale, essi non ne sono necessariamente determinati, per cui anche un aborto spontaneo più o meno precoce può comportare una grande sofferenza psicologica.

Il lutto dopo una morte fetale endouterina è caratterizzato da un elevato distress emotivo, con sintomi depressivi, autocolpevolizzazione, ansia, irritabilità, disturbi del sonno e dell’appetito e rimuginazioni sul bambino. Anche i padri vivono una reazione di lutto, anche se in genere con meno sensi di colpa e un più basso livello di sintomatologia depressiva ed ansiosa. Spesso i padri non si sentono in grado di condividere il loro dolore e la loro paura con la compagna perché vogliono proteggerla. Inoltre, sembra che la pressione sociale a “essere forti” renda loro più difficile l’accesso ai servizi di supporto disponibili per le madri.

In alcuni casi, dopo la perdita di un bambino può entrare in crisi il rapporto di coppia. Il modo diverso di vivere il lutto può portare a incomprensioni, spesso ognuno dei due partner si sente solo con il proprio dolore.

I fratelli maggiori di un bambino morto per morte endouterina oltre a vivere il proprio lutto per la morte di un fratellino, si devono confrontare anche con il lutto dei genitori. Quando avviene una morte perinatale, i genitori spesso assumono che il fratello più grande non sappia che il bambino mai nato è morto e ritengono che la morte di un bambino con cui il figlio non ha avuto nessun contatto non possa farlo soffrire. Di conseguenza, al bambino vengono date poche informazioni e si evita di parlare con lui dell’accaduto. I bambini invece tendono a capire che il fratellino è morto e ne soffrono. Alcuni bambini si attribuiscono la colpa per la morte del fratellino, per esempio perché hanno dato uno spintone alla mamma o perché l’hanno fatta arrabbiare, mentre altri accusano i genitori. I bambini poi si trovano spesso a vivere in un ambiente familiare in cui entrambi i genitori per un periodo si ritirano ognuno nel suo dolore. In tale situazione, alcuni bambini tendono a non esprimere il proprio dolore per proteggere i genitori e possono sentirsi abbandonati.

Sono stati riportati alcuni fattori associati ad una reazione di lutto più intensa e prolungata: uno scarso sostegno da parte del compagno, la mancanza di sostegno sociale, una storia di patologia psichiatrica, una tendenza all’autocolpevolizzazione e precedenti lutti.

 

La gravidanza successiva

L’esperienza della perdita perinatale di un figlio cambia l’atteggiamento dei genitori nei confronti della gravidanza e del parto: essere in gravidanza per questi genitori non vuole più necessariamente dire avere poi un bambino, in quanto entrambi i concetti di nascita e di morte fanno oramai parte della gravidanza. Queste coppie hanno perso la loro ingenuità: la probabilità statistica li ha abbandonati, proprio loro sono stati l’uno su mille. Pianificare una gravidanza dopo aver subito un lutto perinatale è difficile ed è accompagnato da dubbi e insicurezze. Ciononostante, la maggior parte delle donne rimangono incinte entro un anno dalla perdita perinatale.

Una nuova gravidanza può riattivare emozioni e innescare sentimenti di perdita e di attaccamento al bambino morto. Da qui la complessità della gravidanza successiva ad una perdita perinatale: da un lato c’è il lutto per il bambino morto, dall’altro il desiderio di essere felici per il bambino in arrivo. L’intensità del lutto spesso permane elevata per tutta la durata della gravidanza. Questo a volte si scontra con le aspettative delle persone significative che circondano la coppia, che tendono a dare per scontato che la nuova gravidanza sia “terapeutica” e sono sorpresi di vedere che i genitori continuano a piangere il bambino precedente.

Le donne, che hanno subito una perdita prenatale, nella gravidanza successiva possono manifestare sintomi post-traumatici. Le ecografie ostetriche eseguite nella gravidanza successiva alla perdita perinatale possono riattivare dei ricordi traumatici anche sotto forma di flashback, soprattutto quando la morte endouterina precedente è stata diagnosticata attraverso un esame ecografico.

Anche dopo aver dato alla luce un bambino sano, le donne che hanno subito una precedente perdita perinatale tendono a sentirsi più in ansia e più preoccupate per la salute del loro bambino.

E’ stato riscontrato che anche i padri vivono una situazione di forte stress emotivo durante la gravidanza successiva ad una perdita perinatale, anche se in misura minore delle madri.

 

Interventi psicologici di sostegno

Le coppie che hanno sperimentato una perdita perinatale possono trarre grande beneficio da interventi di sostegno psicologico, sia successivamente alla perdita che in attesa e durante la gravidanza successiva.

Questo tipo di supporto può aiutare le coppie a integrare la perdita nella loro storia autobiografica e facilitare l’espressione del lutto per il loro bambino. Un intervento di sostegno durante la gravidanza successiva offre alla coppia la possibilità di parlare dei loro pensieri, delle loro preoccupazioni e delle loro emozioni e di affrontare eventuali aspetti traumatici che possono riemergere nella gravidanza successiva ad una morte endouterina.

 

 

 

 

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