La terapia con le bambole di reborn

Le “Reborn” sono particolari bambole molto simili a bambini, che in Italia risultano essere un fenomeno ancora di nicchia, soprattutto per i costi non particolarmente economici. Realizzate in vinile o silicone in maniera molto realistica, nascono e si sviluppano negli Stati Uniti nei primi anni 90, quando gli appassionati di bambole ne ricercano la perfezione estetica e cinestetica.

Finora hanno trovato uso efficace nell’arteterapia, in specifici contesti socio educativi di intervento come disabilità, senilità e problematiche di Alzheimer, attraverso la cosiddetta Doll Therapy o Empathy Doll. La Reborn produce nei pazienti pensieri di dolcezza, gioia ed empatia, che aiutano a contrastare il progredire della patologia e per ostacolare il deterioramento di alcune abilità cognitive. Sembra essere indicata anche nella prevenzione / cura di stati d’ansia, condizioni di apatia e di depressione, e in tutte le difficoltà legate alla tematica emotivo – affettiva.

Il dibattito tra sostenitori e oppositori della Doll Therapy trova proprio in questo risultato un punto di accordo che apre uno spiraglio alla collaborazione per il bene di pazienti e persone bisognose di sostegno in particolari vicende di vita.

Il nome Reborn (ri – nato) richiama il meccanismo di sostituzione della bambola con un bambino mancato. Anche se semanticamente non ci si riferisce a ciò, l’impatto simbolico del nome risulta forte e induce automaticamente a pensare al concetto di perdita, aborto, mancata genitorialità.

Infatti, gli acquirenti della Reborn si possono suddividere in due categorie: i collezionisti, che acquistano bambole da “curare” come particolare oggetto da ornamento e interagendo con esse come piacevole attività ludica, e coloro che adottano una Reborn come se fosse un figlio, buona parte delle quali per sostituire un figlio mai nato o morto, a volte addirittura fabbricate riproducendo il volto del bambino deceduto.

Esiste una linea molto molto sottile che separa l’accudimento di un oggetto da quello di una persona, dalla quale ci si aspetta una reazione “umana”. Il comportamento di chi tratta la bambola come se fosse vera è discutibile, in quanto l’accudimento è spesso parte di una relazione, la quale naturalmente prevede una modulazione tra due o più soggetti che interagiscono; inoltre, è un legame affettivo stabilito con qualcuno che necessita di cure. Esso cambia se rivolto ad un oggetto perchè si perdono i presupposti della reciprocità, dell’interscambio e del bisogno di cure. Appare più come una forma di auto-cura attraverso l’esperienza del “far finta”.

Ma questo è un gioco pericoloso?

 Mancanze d’affetto, solitudine, impossibilità ad avere figli possono in molti casi far scattare l’idea di adottare una bambola Reborn che sostituisca e ottimizzi quel vuoto lasciato o mai riempito da una persona. Tuttavia basta poco per superare quel famoso varco e trovarsi immersi completamente in un turbine di sentimenti e affetto che poi trova poco spazio alla gestione.

L’elaborazione, l’accettazione di quella mancanza, di uno stato d’animo spiacevole e doloroso è un passo indispensabile per tornare ad essere sereni, per conoscere le proprie risorse e scoprirsi più forti di quello che si pensava. Sopprimere, evitare e schiacciare i propri sentimenti indirizzandoli verso una bambola forse non sempre è il metodo migliore per ricominciare. Lo stesso obiettivo può essere raggiunto ponendosi in discussione e approfondendo sè stessi attraverso un percorso psicoterapeutico, che non per forza escluda la presenza delle Reborn.

Infatti, credo che non sia errato o disfunzionale lo strumento in sé, ma il suo utilizzo. Le bambole Reborn possono essere degli ottimi ausili terapeutici se usati in contesti protetti e con il supporto / supervisione di professionisti della relazione d’aiuto. In tal modo, possono fornire un ottimo apporto anche in campi sperimentali della Doll Therapy, come potrebbe essere quello dei gruppi di sostegno alla genitorialità, corsi pre-parto, corsi di formazione sull’adozione, gruppi terapeutici per l’elaborazione del lutto, gruppi tematici sull’aborto, la perdita, l’impossibilità di essere genitori.

 

D’altronde, il gioco del “come se” lo abbiamo fatto tutti sin da bambini, e ci è servito per imparare a stare al mondo. Anche da adulti, quando qualcosa nella nostra vita ha preso una piega difficile, abbiamo bisogno di re-imparare e sperimentare nuovi modi di essere e di pensarsi.

Le Reborn, con le loro perfette sembianze di cucciolo umano, hanno sicuramente il pregio di rendere ogni sensazione corporea, derivata dal tenerle in braccio, vera! L’empatia si fa simile a quella che si potrebbe avere con un neonato, si sprigionano sentimenti di cura, delicatezza, premura e dolcezza che non possono far altro che arricchire la vita di una persona di un momento buono per l’anima.

Ma, data la forza emozionale che queste bambole emanano, è bene che ne sia ribadito il loro utilizzo come strumento terapeutico, e in quanto tale non utilizzarlo nello stile “fai da te” senza correre il rischio della confusione tra la realtà e la finzione.

 

Infine, c’è da dire anche che attorno alle bambole Reborn esiste un forte pregiudizio: si ritiene spesso che ogni persona che ne possieda una sia un po' fuori di testa. Non bisogna mai generalizzare, né identificare i possessori di Reborn come poveretti in preda ad una psicosi.

Come ogni strumento, ha bisogno di una regolazione di buon senso nel suo utilizzo. Perciò non è la bambola in sé a creare l’eventuale disagio psichico, bensì il vissuto di una persona, il dolore non elaborato, il vuoto affettivo sottostante che si legano disarmonicamente all’oggetto Reborn.

Secondo voi, tutte le persone che usano un computer sono dipendenti da internet? È giusto demonizzare internet o regolamentarne l’uso per diminuire i rischi (cyberbullismo, privacy e diffusione dati, ecc.)?

Stessa cosa vale per l’utilizzo delle bambole Reborn.

Voglio quindi riportarvi il caso della mia paziente S. che arriva in terapia a causa dei frequenti episodi di panico che vive.

All’interno del racconto della sua storia di vita, mi comunica, con non poco imbarazzo e temendo un parere negativo, che possiede una bambola Reborn.

Me lo dice quasi come a liberarsi di un peso massiccio, come un nodo alla gola che si è sciolto e ha trovato spazio di parola. Ha rotto un segreto che si portava da qualche mese e che, per paura del giudizio, era divenuto un pesante tabù.

Quando ha sentito la possibilità di essere accolta nonostante quella che lei considerava “la sua stranezza”, ha avvertito la voglia di esprimersi e raccontare quali fossero i perché, i come e le emozioni di questa sua scelta nella cura di una Reborn.

Avendo vissuto un momento di forte smarrimento causato dal lutto della nonna, il suo punto di riferimento, ha iniziato a sentir “mancare la terra sotto i piedi”, ad aver paura della solitudine e il pensiero di non riuscire a farcela con le proprie gambe.

Mi confessa che trova conforto in questa bambola, che le fa compagnia nei momenti peggiori e che sa essere sempre lì, senza mai abbandonarla.

Di comune accordo con la paziente, abbiamo quindi deciso di portare la bambola in terapia e di iniziare con essa un percorso guidato di elaborazione del lutto e acquisizione di capacità di autonomia emotiva. Molto spesso la bambola è divenuta un oggetto sul quale proiettare le proprie emozioni più intollerabili, altre volte ha rappresentato la necessità consolatoria della paziente, e molto spesso ha simbolizzato quella parte bambina di S. che aveva ancora bisogno di cure e rassicurazioni.

La maggior parte della sua terapia si è svolta attraverso un costante dialogo fra S. e la sua bambina interiore. Avere la possibilità di rappresentarla attraverso una bambola Reborn ha rafforzato le sensazioni empatiche ed emotive utili al processo terapeutico.

D’altro canto, l’utilizzo della Reborn a casa da parte di S. diminuiva sempre più, man mano che acquisiva maggiori consapevolezze, capacità di autonomia e gestione emotiva in terapia.

Attualmente S. continua a prendersi cura della sua Reborn.

E’ diventata per lei una passione, e non più un bisogno.

 

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