Quando il dolore è troppo grande: lutti che non osiamo riconoscere

Il paradosso del lutto non riconosciuto

Nella mia pratica clinica, incontro spesso persone che portano dentro di sé un dolore di cui non riescono a parlare, non perché manchino le parole, ma perché ammettere quel dolore significherebbe confrontarsi con aspetti di sé o della propria storia che sembrano inaccettabili. Sono lutti che sfidano l'immagine che abbiamo costruito di noi stessi, che contraddicono le aspettative sociali o familiari, che portano con sé un carico di vergogna o colpa così pesante da rendere preferibile negarne l'esistenza.

Eppure, come un fiume sotterraneo, questi lutti non riconosciuti continuano a scorrere dentro di noi, emergendo in modi inaspettati: attraverso sintomi fisici inspiegabili, un senso di vuoto che nulla sembra colmare, difficoltà relazionali ricorrenti o comportamenti autodistruttivi che sembrano non avere una causa evidente.

Le forme del lutto nascosto a se stessi

Esistono perdite che ci confrontano con emozioni così contraddittorie da sembrare inconciliabili. Penso al sollievo colpevole che può accompagnare la morte di un genitore abusante o la fine di una relazione opprimente. Come possiamo ammettere di sentirci liberati dalla scomparsa di qualcuno che avremmo dovuto amare? Come conciliare il dolore genuino per la perdita con la sensazione di poter finalmente respirare?

C'è poi il lutto per relazioni che non avrebbero dovuto esistere secondo i canoni sociali o morali. L'amore extraconiugale che muore lasciando un vuoto impossibile da confessare, il legame profondo con qualcuno del "genere sbagliato" in contesti che non lo accettano, l'attaccamento a figure che la famiglia o la società disapprova. Questi lutti vengono spesso vissuti in una dolorosa solitudine, privati anche del conforto della condivisione.

Particolarmente complesso è il lutto per le illusioni perdute. Scoprire che un genitore idealizzato era profondamente imperfetto, perdere la fede religiosa che ha strutturato la nostra vita, vedere crollare un'ideologia o un sistema di valori in cui credevamo profondamente. Questi lutti ci privano non solo di qualcosa di esterno, ma di parti fondamentali della nostra identità, lasciandoci a chiederci chi siamo senza quelle certezze.

E che dire del lutto per ciò che non è mai stato? L'infertilità porta con sé il lutto per figli mai nati, per una genitorialità sognata ma mai realizzata. Il potenziale non espresso, i talenti repressi, le vite non vissute per paura o circostanze avverse. La famiglia amorevole che non abbiamo mai avuto, sostituita da relazioni disfunzionali o abusive. Sono lutti fantasma, per assenze che ci portiamo dentro come vuoti incolmabili.

Il prezzo del non riconoscimento

Quando neghiamo a noi stessi il diritto di elaborare questi lutti, il prezzo che paghiamo è alto. Il corpo spesso diventa il palcoscenico dove si rappresenta il dramma non riconosciuto: mal di testa cronici, disturbi gastrointestinali, tensioni muscolari persistenti possono essere modi attraverso cui il dolore negato cerca di farsi sentire.

Sul piano emotivo, molte persone descrivono un senso di vuoto pervasivo, come se mancasse qualcosa di fondamentale ma indefinibile. Le relazioni ne risentono, poiché parti di noi rimangono chiuse, inaccessibili anche a chi vorremmo amare. A volte emergono comportamenti autodistruttivi – dall'abuso di sostanze ai comportamenti a rischio – come tentativi inconsci di dare voce a un dolore che non trova altre vie di espressione.

La vergogna come guardiano del dolore

Al centro di molti lutti non riconosciuti troviamo la vergogna, quell'emozione che ci fa sentire fondamentalmente sbagliati, indegni di amore e comprensione. La vergogna agisce come un guardiano severo, impedendoci l'accesso al nostro stesso dolore con frasi interne come: "Non ho il diritto di soffrire per questo", "Sono una persona orribile per sentirmi così", "Se gli altri sapessero cosa provo mi giudicherebbero".

Questa vergogna spesso ha radici profonde nella nostra storia personale e nei messaggi che abbiamo ricevuto su cosa sia accettabile sentire e cosa no. Può essere alimentata da norme culturali, religiose o familiari che definiscono rigidamente quali perdite meritino di essere piante e quali no.

Il percorso verso il riconoscimento

Il primo passo per elaborare un lutto non riconosciuto è paradossalmente piccolo e immenso allo stesso tempo: ammettere a se stessi che quel dolore esiste. Questo riconoscimento iniziale non richiede di condividerlo con altri, né di comprenderlo completamente. È semplicemente un atto di onestà interiore, un permesso che ci diamo di sentire ciò che sentiamo.

La scrittura privata può essere un primo spazio sicuro dove iniziare questo riconoscimento. Scrivere lettere che non verranno mai inviate, tenere un diario segreto, anche scrivere e poi distruggere ciò che si è scritto può essere un modo per dare forma a sentimenti che sembrano informi. L'importante è iniziare a dare esistenza a ciò che abbiamo negato.

Trovare uno spazio terapeutico sicuro e non giudicante può essere fondamentale in questo percorso. Come psicologo, considero un privilegio essere testimone di questi lutti nascosti, offrendo uno spazio dove ogni emozione, per quanto contraddittoria o socialmente inaccettabile, possa essere accolta e compresa nel contesto della storia unica di ogni persona.

Integrare l'ambivalenza

Una delle sfide maggiori nell'elaborazione di questi lutti è accettare l'ambivalenza emotiva. La nostra cultura tende a preferire emozioni "pure" – o si ama o si odia, o si è tristi o si è sollevati. Ma la realtà emotiva umana è molto più complessa. Possiamo amare profondamente qualcuno e al tempo stesso sentirci sollevati dalla sua morte. Possiamo piangere la fine di una relazione tossica e contemporaneamente celebrare la nostra liberazione.

L'integrazione di questa ambivalenza richiede di sviluppare una maggiore capacità di contenimento emotivo, la possibilità di tenere insieme opposti apparenti senza dover scegliere. È un processo che richiede tempo e spesso beneficia di un accompagnamento professionale, ma che ultimamente porta a una maggiore completezza e autenticità.

La trasformazione possibile

Quando finalmente riusciamo a riconoscere e elaborare questi lutti nascosti, spesso scopriamo che il dolore, per quanto intenso, è più sopportabile della negazione. Il riconoscimento apre la porta alla compassione verso noi stessi, alla comprensione che le nostre reazioni, per quanto complesse, hanno senso nel contesto della nostra storia.

Questo processo di riconoscimento e integrazione può portare a una profonda trasformazione personale. Molte persone riferiscono di sentirsi più autentiche, più capaci di accettare la complessità della vita e delle relazioni umane. Il coraggio di guardare in faccia questi lutti difficili spesso si traduce in una maggiore capacità di presenza e connessione anche in altri ambiti della vita.

Un invito alla gentilezza

Se vi riconoscete in queste parole, se sentite di portare dentro un lutto che non osate ammettere nemmeno a voi stessi, vorrei invitarvi alla gentilezza. La gentilezza verso quella parte di voi che soffre in silenzio, che porta un peso invisibile ma reale. Il vostro dolore è valido, indipendentemente da quanto possa sembrare complicato o contraddittorio.

Ricordate che dietro ogni lutto non riconosciuto c'è spesso un amore non riconosciuto – per una persona, per un ideale, per una versione di noi stessi o della nostra vita. Onorare questo amore, in tutta la sua complessità, è parte del cammino verso l'integrazione e la pace interiore.

Per una consulenza o per maggiori informazioni sui percorsi di supporto, sono disponibile ai contatti in evidenza o al link in bio: https://linktr.ee/dottgiampaolo

Il Dott. Francesco Giampaolo è psicologo iscritto all'Albo degli Psicologi del Lazio (n° 30933) e istruttore certificato di Mindfulness. Riceve a Roma e online, adolescenti ed adulti, specializzandosi nel supporto a chi affronta ansia, stress, disregolazione emotiva e processi di elaborazione del lutto.

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