Parere sulla situazione con la madre del compagno

Simona

Alla cortese attenzione della Dottoressa, Le scrivo per sottoporLe una situazione personale particolarmente conflittuale e logorante, nella speranza di un Suo parere esperto. Sono coinvolta in una relazione con il mio compagno, L., da circa due anni, entrambi quarantenni. Dopo i primi sei mesi di frequentazione, ho iniziato a conoscere più da vicino la sua famiglia. L. gode di una solida stabilità lavorativa e, da circa tre anni, risiede presso i genitori, essendo tornato al Sud dopo un lungo periodo nel Nord Italia. Fin dall'inizio, mi ha messa al corrente della dinamica tossica che pervade il nucleo familiare, descrivendomi i suoi genitori – e in particolare la madre, E. – come persone intrusive, manipolatrici e aggressive. Onestamente, inizialmente credevo che le sue fossero esagerazioni dettate da tensioni passate; col tempo, ho purtroppo compreso che la realtà supera la sua narrazione. L., sebbene a volte alzi la voce con lei, ne è fondamentalmente sottomesso e impaurito, coinvolgendola troppo spesso nelle decisioni di vita e, cosa per me più dolorosa, non riuscendo a difendere la nostra relazione quando sarebbe necessario. I miei rapporti con E. sono sempre stati freddi da parte sua, nonostante dichiarazioni di facciata come "tu sei un'altra figlia". Il problema, tuttavia, non risiede nella freddezza, bensì in una serie di atteggiamenti umilianti e palesemente tossici che, con il passare del tempo, si sono solo amplificati, al punto da farmi seriamente dubitare della mia percezione. Per questo motivo, ho ritenuto utile elencarLe alcuni episodi significativi, affinché Ella possa valutare con obiettività la portata della situazione. Episodi Illustrativi 1. Sostituzione e Intrusione: E. si è recata dal dentista al posto mio, nonostante fosse stato stabilito che ci sarei andata io. 2. Pretese Abitative: Ha espresso con tono aggressivo e intimidatorio, in mia presenza, la volontà di andare ad abitare sopra il nostro futuro appartamento. Solo in quell'occasione L. le ha intimato di "stare al suo posto", sebbene lei abbia reagito alzando la voce e chiedendo spiegazioni in modo alterato. 3. Mancanza di Rispetto: Ha utilizzato la colazione che avevo acquistato per noi tre per offrirla ai suoi ospiti, per poi dirmelo ridacchiando e scusandosi in modo ipocrita con la frase: "Sembrava brutto se non lo davo a loro". 4. Indifferenza alla Mia Salute: A casa sua, a causa di un profumatore ambientale particolarmente intenso, ho avuto un malore (soffro di sensibilità chimica multipla). L. è stato costretto a entrare nella sua stanza per recuperare del Bentelan, informandola così del mio stato. Nonostante ne fosse al corrente, quando è scesa non mi ha rivolto la parola, non mi ha guardata e non si è preoccupata di chiedere come stessi, uscendo di casa dopo aver parlato solo con suo figlio. 5. Sgarbo Pubblico: Dopo avermi lei stessa invitato a parcheggiare nel suo cortile, all'arrivo di una coppia di suoi amici mi ha chiesto davanti a tutti: "Tu quando te ne vai?", perché la mia auto impediva loro di parcheggiare. In questo frangente, L. è intervenuto per trovare una mediazione. 6. Comportamenti Manipolatori e di Controllo: · Origlia regolarmente le telefonate tra me e il mio compagno e, se percepisce toni concitati, lo sottopone a veri e propri interrogatori. · Prende l'automobile (che condividono), sapendo che L. ne ha bisogno per vedermi, impedendogli di fatto gli incontri. · Lo chiama per richiedere l'auto con urgenza, pur essendo al corrente che in quel momento è con me. 7. Sgarbo Ricorrente: Spesso ci invita a cena per poi affrettarci a mangiare perché deve preparare la tavola per i suoi amici, trasmettendo la chiara sensazione che la nostra presenza sia un ingombro. 8. Aggressione Verbale: L'episodio più grave. Davanti a una sua conoscente, mentre discuteva aggressivamente con L. affinché sgomberasse una stanza di casa sua dagli amplificatori, io ho semplicemente detto a L.: "Appena sarà possibile, ti aiuto a sgomberare la stanza". E. si è allora girata e mi ha aggredita verbalmente: "Ma che risposte so questeeee! Le risposte vanno date come si devono dare, hai capitoooo!?!? Tu non ti permettere proprio! Che risposte sono!? Ti ci metti pure tu con certe risposte! Le cose si devono saper dire, capito!? !?". Mi scuso per la lista forse tediosa, ma era necessario delineare un quadro completo. La prego di credermi: mi sono sempre comportata con il massimo rispetto, disponibilità e apertura al dialogo verso di lei e suo marito. Eppure, il risultato è che oggi sto male, al punto che la notte non dormo più. La mia domanda è duplice: faccio bene a proteggermi interrompendo del tutto le visite a casa sua? E, dato che L. è consapevole della tossicità ma fatica a opporsi, come posso gestire questa relazione senza esserne sopraffatta? La ringrazio infinitamente per il lavoro prezioso che svolge a favore del benessere collettivo. Cordiali saluti, S.

4 risposte degli esperti per questa domanda

Cara Simona,

ho letto con attenzione la sua lettera. Mi ha colpito la chiarezza con cui riesce a descrivere una situazione tanto dolorosa, senza perdere sensibilità né lucidità. Si sente che ha sofferto molto, ma anche che ha cercato in ogni modo di restare rispettosa, di non farsi trascinare dal rancore. Non è facile mantenere questa compostezza quando ci si sente costantemente feriti o svalutati: questo mi fa pensare a una donna forte, ma anche molto stanca.

Capisco bene quella stanchezza, quella confusione, quel senso di colpa che racconta — come se, nonostante tutto, si chiedesse ancora se non sia lei ad aver sbagliato qualcosa. È una reazione molto comune quando ci si trova immersi in dinamiche tossiche: si finisce per dubitare della propria percezione, per cercare dentro di sé una colpa che in realtà non c’è. Ma lei non ha colpe, Simona.
E quando il corpo comincia a reagire — con l’insonnia, con l’ansia, con la tensione costante — non è un segno di fragilità, ma una richiesta di aiuto. È il modo più sincero che abbiamo per dire “basta, non ce la faccio più”. È il momento in cui diventa urgente proteggersi.

Dalle sue parole, L. appare come un uomo intrappolato in un legame di dipendenza emotiva con la madre. Non credo manchi di affetto verso di lei, ma è come se non riuscisse a separare la propria identità da quella della famiglia. Spesso, chi cresce in contesti così, finisce per pensare che scegliere per sé significhi mancare di rispetto o abbandonare. E allora resta fermo, diviso tra due lealtà: quella verso il genitore e quella verso la persona che ama.
Comprendo quanto dev’essere frustrante per lei assistere a questa tensione senza poterne uscire. Ma non spetta a lei “aggiustare” o mediare: questo lavoro, se lui lo vorrà, dovrà farlo lui, con i suoi tempi e la sua consapevolezza.

La decisione di allontanarsi dalle visite a casa dei genitori di L. mi sembra una scelta molto lucida, e anche necessaria. Non è un gesto di rottura, ma un atto di rispetto verso sé stessa. A volte la distanza non è una fuga, ma l’unico modo per respirare, per ritrovare un po’ di equilibrio e guardare le cose con più chiarezza.
Può parlarne con L. con calma, spiegandogli che non lo fa per ostilità verso la sua famiglia, ma per proteggere il vostro spazio di coppia, per salvaguardare ciò che di buono esiste tra voi. Se lui farà fatica a comprenderlo, sarà importante che si chieda perché per lui sia così difficile accettare che lei abbia bisogno di serenità. È una domanda che riguarda lui, non lei.

Se sceglierà di proseguire questa relazione, sarà fondamentale che lei e L. proviate insieme a costruire dei confini più chiari. Piccoli accordi pratici, ma simbolici: niente discussioni familiari in sua presenza, niente interferenze nelle vostre scelte, e la creazione di momenti solo vostri, lontani da tutto quel rumore.
Anche un breve percorso di coppia potrebbe aiutarvi a trovare un linguaggio comune, a trasformare il conflitto in consapevolezza, anziché in distanza.

Nel frattempo, le suggerisco di dedicarsi a sé con gentilezza. Si conceda tempo, riposo, piccoli gesti che la facciano sentire di nuovo padrona del suo spazio interiore. Scrivere, camminare, coltivare qualcosa che le piace: sono modi per ricostruire il proprio centro, dopo tanto disordine.
E se dovesse sentire il bisogno di un aiuto più profondo, non esiti a cercare un sostegno professionale: non per “curarsi”, ma per imparare a mettersi al primo posto senza sensi di colpa.

In conclusione, sì: fa bene a proteggersi. Non è un segno di debolezza, ma di maturità. Ha già fatto il passo più importante: riconoscere ciò che la ferisce e scegliere di non restarci più dentro.
Da qui in avanti, il suo compito sarà continuare ad ascoltarsi — con lo stesso coraggio e la stessa chiarezza con cui mi ha scritto questa lettera.

Le auguro di cuore di ritrovare presto quella serenità che merita, e che troppo a lungo le è stata negata.

Saluti

Dott. Fabiano Foschini

Dott. Fabiano Foschini

Milano

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Gentile S.,
La ringrazio per la fiducia e per avermi scritto condividendo con tanta chiarezza e sensibilità una situazione che comprensibilmente la sta facendo soffrire. Dalle sue parole emerge quanto lei abbia cercato di mantenere equilibrio e rispetto all’interno di un contesto relazionale complesso, nel quale sembra esserci una forte componente di invasività e mancanza di confini da parte della famiglia del suo compagno. È del tutto comprensibile che si senta logorata e confusa rispetto a come poter tutelare se stessa e, al contempo, gestire la relazione con L.
Per quanto riguarda le sue domande, credo sia importante che lei possa prendersi uno spazio dedicato per esplorare a fondo questi vissuti — uno spazio che le permetta di riflettere, con il giusto supporto, sui suoi bisogni, sui limiti da porre e su cosa significhi per lei “proteggersi” in modo sano. In un contesto terapeutico, ad esempio, si potrebbe lavorare insieme per aiutarla a comprendere come mantenere il proprio benessere emotivo e prendere decisioni coerenti con i propri valori e la propria sicurezza psicologica.
Se lo desidera, possiamo fissare un primo colloquio conoscitivo: sarà un’occasione per approfondire la situazione e capire insieme quale tipo di percorso o di supporto possa esserle più utile in questa fase.
La ringrazio ancora per la condivisione e resto a disposizione.

Un cordiale saluto,
Dott.ssa Danila Rovere 
Psicologa – Psicoterapeuta in formazione gestatica

Dott.ssa Danila Rovere

Dott.ssa Danila Rovere

Cagliari

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Gentile S.

Mi sembra doverosa una premessa. Il suo compagno, dai suoi racconti, non sembra sottomesso, poiché in più occasioni è intervenuto verso di Lei e la coppia. Questa premessa potrebbe permetterci di capire che forse il nostro punto di vista è appunto un punto di vista e non la realtà oggettiva in sè. Questo non significa che ciò che ha raccontato non sia vero, anzi! Data la presenza di questi atteggiamenti contraddittori da parte della madre, forse dovrebbe prendere in considerazione di vedere il suo compagno in altri contesti e concentrarsi maggiormente sulla Vostra relazione. C'è infatti da chiedersi se la Vostra relazione, al di fuori di questo contesto che definite tossico, funziona senza problemi, se state bene assieme, se Lei si sente appagata e tranquilla accanto al suo compagno. Quello che lui vive con la sua mamma sono dinamiche profonde e radicate che nessuno di esterno può cambiare. Potrebbero cambiare attraverso l'aiuto di un professionista, ma uso il condizionale per un motivo preciso: molto spesso il cambiamento è difficile, voluto e non voluto allo stesso tempo. Seppur un disequilibrio, visto da fuori, per chi è dentro questa situazione da anni è un equilibrio... insano ma lo è. La necessità di cambiamento quindi dovrebbe partire dal suo compagno per diventare nel tempo davvero efficace.

Lei può comunque suggerire al suo compagno di essere sostenuto da qualcuno di esterno, se il suo compagno desidera cambiare al situazione, ma non può di certo proiettare su di lui il SUO desiderio di cambiamento, perché non funzionerebbe.

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Dott.ssa Paola Schizzarotto

Dott.ssa Paola Schizzarotto

Padova

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Ciao Simona, Ciò che racconti non è una semplice “difficoltà con la suocera”, ma un contesto familiare disfunzionale e intrusivo, in cui si manifestano veri e propri comportamenti di controllo, svalutazione e aggressione verbale. È importante riconoscere che non sei tu il problema.

La madre del tuo compagno mostra caratteristiche tipiche di un comportamento manipolatorio e invadente, con tendenza a mantenere potere e centralità nella vita del figlio. Nel tuo caso,  non solo mina il tuo ruolo nella relazione, ma cerca anche di limitare l’autonomia emotiva e pratica del figlio. Il risultato è che tu vivi in uno stato costante di allerta, cercando di “non sbagliare” — ma con una persona di questo tipo qualsiasi tuo comportamento può diventare pretesto di critica.

Il tuo compagno appare consapevole ma emotivamente imprigionato: la paura, il senso di colpa e l’abitudine alla sottomissione lo rendono incapace di opporsi con fermezza.
Questo non significa che non ti ami, ma che non ha ancora sviluppato confini sani con la madre.
In una coppia, però, i confini sono fondamentali: se uno dei due non riesce a difenderli, l’altro finisce per essere continuamente esposto e logorato.

Sì, fai benissimo a interrompere le visite a casa sua, almeno per un periodo.
La tua salute psicofisica viene prima della cortesia e delle apparenze.
Limitare o sospendere i contatti con persone tossiche non è un atto di ostilità, ma di autodifesa.
Puoi comunicare  che non intendi più esporti a episodi di umiliazione o aggressione, e che la relazione potrà proseguire solo se lui accetterà di gestire autonomamente i rapporti con la madre, senza coinvolgerti.

  • Stabilisci confini chiari.
    Niente visite, niente telefonate, niente contatti diretti con la madre del tuo compagno finché non avverti sicurezza.

  • Parla con L. con fermezza ma empatia.
    Evita accuse dirette su sua madre (“è cattiva”), ma concentrati sul tuo vissuto:

    “Quando lei mi aggredisce e tu non intervieni, mi sento sola e non rispettata. Ho bisogno che tu mi protegga da queste situazioni.”

  • Osserva le sue reazioni.
    Se L. sceglierà di minimizzare o di chiederti “pazienza”, sappi che questo è un segnale d’allarme: significa che la dipendenza emotiva verso la madre prevale sulla tutela della coppia.

  • Considera un supporto psicologico individuale.
    Le relazioni con figure manipolatrici possono lasciare strascichi profondi (ansia, insonnia, sensi di colpa). Un percorso di sostegno ti aiuterebbe a rafforzare i tuoi confini interiori e a decidere con più serenità quanto e come restare in questa relazione.

Dot.ssa Antonella Bellanzon

Dott.ssa Antonella Bellanzon

Dott.ssa Antonella Bellanzon

Massa-Carrara

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