Bulimia: sintomi e conseguenze

La bulimia è un disturbo che porta ad ingerire, in breve tempo, una grande quantità di cibo: il pensiero del cibo occupa la mente fino a limitare il tempo che è possibile dedicare al lavoro, agli affetti e agli interessi in generale.

Il comportamento bulimico rappresenta il rovescio della medaglia di quello anoressico: quando il controllo sulla pulsione della fame, caratteristico dell’anoressia, viene meno, si ha la “crisi bulimica”, un appuntamento con il cibo, talvolta preparato con cura, tutto il cibo che è possibile ingerire in un breve tempo ed in solitudine.

La crisi bulimica di solito compare nei soggetti che hanno sofferto di anoressia a partire dagli anni dell’adolescenza, ma anche dopo molti anni di condotta anoressica. Spesso i due comportamenti si alternano. Come l’anoressia, anche la bulimia si accompagna ad altre patologie somatiche e psichiche, quali gastriti, stomatiti, depressioni e attacchi di panico.

La crisi bulimica si rivela essere il fallimento del controllo sulla pulsione della fame: l’orgoglioso senso di potenza che caratterizza l’anoressica, quando mantiene il controllo sulla fame, lascia il posto alla “vergogna” dell’abbuffata bulimica, vissuto come un momento di sconfitta e con un senso di malessere, che porta al rischio di una maggiore chiusura in sè stessi.

La persona che “cede” alla crisi bulimica vive infatti questo momento con un grande senso di disistima, che accresce la convinzione già presente di non essere “degna” dell’amore di nessuno, di non poter aspirare a “niente”. Il “niente” è  la nota dominante di queste patologie: mangiare “niente”, meritare “niente”, fino a desiderare “niente”, desiderio che cifra un godimento mortifero.

Si instaura così un circolo vizioso di dipendenza dalla “sostanza”, cibo di cui la bulimica (al femminile, perché nella maggior parte dei casi si tratta di donne) è nello stesso tempo vittima ed artefice, e da cui dispera di poter uscire e, di fatto, necessita di un aiuto specifico per questo.

Tuttavia, per entrambe (in entrambi i casi si tratta di patologie in prevalenza femminili), per motivi diversi, non è facile formulare una domanda di aiuto: l’anoressica, chiusa nel suo sentimento di onnipotenza, non avverte nemmeno di essere malata. La bulimica, presa da un sentimento di vergogna e indegnità, rischia di chiudersi sempre più nel suo disagio, sia per il timore di esporsi al giudizio altrui, sia per una sorta di godimento autolesionista.

Superare questi sentimenti e pensare di poter trovare un aiuto per cambiare il proprio vissuto e la propria dipendenza è già il primo passo per uscire da questo stato di solitudine e di impossibilità: da questo punto di vista, la crisi bulimica, proprio perché vissuta come un “fallimento”, rappresenta un’occasione che può spingere in questa direzione.

Si tratterà di trovare qualcuno che non prenda alla lettera questo comportamento come un bisogno di essere guidati ad un sapere sul cibo e all’impostazione di una dieta alimentare, ma che sappia interrogare questo sintomo per “andare oltre”.

Queste patologie nascondono infatti un disagio profondo e difficile da accostare, in quanto ben celato dietro una “maschera” di efficienza e di grande responsabilità.

Si tratta di offrire un luogo che il soggetto avverta come “sicuro”, per poter parlare senza timori.

Prendere la parola sul proprio disagio è la sola via per iniziare a produrre un sapere su di esso. Solo così è possibile interrogare i punti che segnano una chiusura nel discorso del soggetto e avere accesso all’altra scena, quella dell’inconscio, dove è racchiuso il “sapere” sulla sofferenza che ha portato a questo sintomo, all’inizio in gran parte ignota. E’ per questa via che si arriva alla produzione di un nuovo sapere, un sapere su di sé, che consente di non essere più identificati con un sintomo ripetitivo che fissa un godimento mortifero. La produzione di un nuovo sapere permette una costruzione che mobilita nuovamente le risorse del soggetto, mettendo in moto il suo desiderio.

 

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