Cibo si, cibo no, il difficile rapporto tra mente e corpo

Mangiare per l’uomo, come per qualsiasi essere vivente, è considerato uno dei bisogni primari perchè senza il suo soddisfacimento, l’organismo va incontro alla morte. Sin dai tempi antichi attorno al cibo, si sono sviluppati  tanti significati, che ne hanno fatto perdere l’esclusiva funzione di nutrizione. Le diverse religioni, gli attribuiscono importanti funzioni simboliche e rappresentative, tanto che decidere di assumerlo o meno, è un indice importante del proprio credo. Ogni popolazione ha dei cibi che la rappresentano e ne denotano le sue caratteristiche, che spesso dipendono dallo specifico  territorio in cui si trovano o dalla cultura di base di appartenenza. Altre importanti funzioni, sono quelle che si maturano all’interno del proprio contesto socio- familiare, dove il cibo diventa l’oggetto attraverso cui veicolare tante cose, che vanno al di là del bisogno di nutrimento, ed esempio, cibo come: sostituto affettivo, riempitivo di un vuoto emotivo, arma di ricatto relazionale, mezzo attraverso cui poter attirare l’attenzione, etc…

Sono numerose pertanto le influenze che l’ambiente esterno ha rispetto al nostro rapporto col cibo. Nel nostro organismo il  rapporto col cibo, è mediato dai sensi chimici che sono il gusto e l’olfatto, e dall’interazione tra il cibo stesso e questi decodificatori, è possibile nascondere o esaltare le sensazioni di piacere, entusiasmo, gioia, nausea, disgusto, che vengono poi comunicate al cervello e immediatamente tradotte nelle nostre reazioni.

Oltre  a ciò l’alimentazione è regolata anche da un meccanismo di fame e sazietà, dove per  fame si intende  una condizione che segue la deprivazione di cibo e determina la spinta o il desiderio a mangiare. La sazietà è invece la condizione opposta alla fame, ci fa smettere di mangiare, comunicandoci di aver assunto una quantità di cibo sufficiente a nutrire il nostro organismo. L’alternanza tra la fame e la sazietà è centrale per comprendere i meccanismi che guidano le nostre scelte alimentari, riguardo sia alla frequenza dei pasti, che alla quantità di cibo che siamo portati ad assumere.

Alla base dell’equilibrio del nostro peso, ci sono numerosi fattori, è importante pertanto, identificare con precisione quelli che ci fanno iniziare e smettere di mangiare. Il loro sbilanciamento si ripercuote sul nostro organismo, con effetti rilevanti sul nostro stile di vita, condizionando l’eccesso o il difetto di alimentazione costringendoci a mangiare troppo e non assumere adeguate porzioni di cibo, con la conseguente determinazione delle nostre oscillazioni di peso. Ci sono numerosi fattori che influenzano le oscillazioni di peso corporeo, tra di essi una tra i più significativi è determinato dalle situazioni di stress, che creano uno squilibrio endocrino che porta ad assumere cibo piacevole in grado di appagare e ristabilire quell’equilibrio che lo stress ha modificato.

Purtroppo questo porta ad assumere un eccesso di calorie che vengono in buona parte accumulate e se la situazione di stress tende a cronicizzarsi, possono portare ad un aumento del peso corporeo che col tempo potrebbe diventare obesità. Le persone obese tendono ad assumere cibo, più per necessità emotive che per reale bisogni nutrizionali, ed in genere tale comportamento si può originare sia nell’infanzia che nell’adolescenza. Il cibo ha pertanto la funzione di compensare delle carenze emotive, offrendo una forma alternativa di nutrimento, utile a conferire un veloce e momentaneo benessere psichico.

Quando si intraprende una dieta, questa riesce ad essere efficace in un normale stato di stabilità emotiva, ma nel momento in cui aumentano le tensioni emotive il nuovo regime alimentare  viene abbandonato e il cibo viene assunto in una quantità smisurata. Un elemento chiave dell’alimentazione emotiva è la tendenza a mangiare senza sentire fame e a farlo velocemente, per questo si tende a mangiare in quantità esagerate sino a sentirsi male, questo comporta un senso di colpa e una rabbia verso se stessi per non essere riusciti a governare questo meccanismo e per l’incapacità di sentire e autogovernarsi, come se fosse il cibo a gestire la persona e non il contrario. In modo opposto funziona il comportamento anoressico, dove il mangiare, diventa l’unico ambito che la persona riesce a gestire, conferendoli numerose connotazioni psicologiche che ne determinano la sua assunzione o meno. Alla luce di tutto ciò, si può pensare al cibo come a una sostanza da cui si dipende, perché sia nel caso dell’anoressia, bulimia che dell’obesità, c’è il pensiero costante su come, quando e quanto mangeranno, e la sua assunzione interferisce con la normale attività sociali e professionali, come accade nei casi di dipendenza da sostanze.

E’ complicato, ma non impossibile, modificare le proprie abitudini alimentari patologiche, ciò che importa è assumere consapevolezza di quanto queste possano essere disfunzionali e poco sane, soprattutto per via dei numerosi effetti secondari che queste comportano, tra cui possibilità di sviluppare patologie organiche, oltre il constante malessere psicologico che accompagna chi ne soffre. Una volta assunta consapevolezza il secondo passo è chiedere aiuto per iniziare un lavoro su se stessi che includa diversi ambiti, psicologico, nutrizionale e medico, affinchè il cibo possa riprendere ad avere la sua funzione di piacevole nutrimento  adatto  alla sopravvivenza dell’organismo, scevro dalle numerose  contaminazioni psicologiche acquisite sin dai primi anni di vita.

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