Attaccamento, relazioni e sesso: come funziona davvero?

Tra le teorie più note c’è, ovviamente, quella freudiana: nel rapporto con la madre il figlio vede soddisfatti i suoi bisogni primari (mangiare, dormire, bisogni igienici, protezione) e, crescendo, supera il Complesso d’Edipo, raggiungendo la maturità psichica e sessuale.

Jhon Bowlby, però, riteneva questo non fosse sufficiente: qualcosa ancora non era stato spiegato. E così nacque la famosa Teoria dell’Attaccamento.

Bowlby introdusse l’espressione nel 1969, definendo l’attaccamento come “ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce ad ottenere o a mantenere la vicinanza a un individuo preferito”, ovvero un sistema motivazionale che spinge alla ricerca della prossimità con una figura rilevante mediante l’attuazione di comportamenti di attaccamento (piangere, seguire, sorridere,ecc). Questa prossimità non garantisce solo la sopravvivenza fisica, ma anche quella psichica, portando il bambino a sviluppare sistemi di attaccamento, cioè modalità ricorrenti con cui le relazioni sono instaurate e mantenute.

Gli stili di attaccamento

Ci sono diversi stili di attaccamento, individuati grazie a Mary Ainsworth e Mary Main: sicuro, insicuro e disorganizzato.

L’attaccamento sicuro si caratterizza per la presenza di una “base sicura” e per un’adeguata ricerca di prossimità. Ciò significa che il bambino sa di potersi fidare del caregiver, si sente amato e protetto e sa tollerare bene la separazione dallo stesso, perché certo di non essere abbandonato.

Per l’attaccamento insicuro si distinguono due modalità: ansioso evitante e ansioso ambivalente. In entrambi i casi viene meno la base sicura, e la ricerca di prossimità sarà compromessa. Nell’attaccamento evitante il bambino ha imparato che il genitore non è disponibile ad aiutarlo se ha bisogno, ma rifiuterà qualsiasi richiesta di aiuto e vicinanza. Essendo il rifiuto un’esperienza dolorosa il bambino imparerà ad evitarla divenendo iper-autonomo, non chiedendo aiuto e non cercando vicinanza.

 L’attaccamento insicuro ambivalente, invece, si caratterizza per la dualità: il genitore a volte è presente a volte no, a volte rassicura altre abbandona (in modo reale o ipotetico), e per questo allontanarsi da lui diventa rischioso, non si sa se alla separazione seguirà una riunificazione.

Nell’attaccamento disorganizzato il bambino vive il genitore in modo conflittuale: è colui che da conforto, quando non spaventa; è colui da ricercare, quando non è colui da cui proteggersi; è una base sicura, nonostante sia terrificante. Il bambino non capisce, brama e teme il caregiver al contempo, dunque, il suo attaccamento non si organizzerà mai intorno ad una precisa rappresentazione di sé e dell’altro, ma rimarrà, appunto, privo di organizzazione.

Quello che il bambino vive ed impara nei primi anni di vita dalla e nella relazione con l’altro lascia un segno indelebile, si cronicizza, influenzando tutte le relazioni future. Ma in che modo? Attraverso la nascita dei MOI.

Parliamo dei MOI

MOI è l’acronimo di “Modelli Operativi Interni”, un’espressione coniata da Bowlby, che riferisce alla rappresentazione di sé e dell’altro che il soggetto interiorizza nel contesto delle relazioni d’attaccamento, e che guida il suo stare in relazione. Indicano, cioè, come una persona si vede e come vede l’altro, una sorta di mappa delle relazioni che permetterà al soggetto di leggere, prevedere ed interpretare cosa accade.

Il bambino con attaccamento sicuro sarà un adulto con una buona autostima, una buna immagine di sé come amabile e meritevole, e dell’altro come disponibile ed accogliente. Nelle relazioni future saprà dare spazio ed importanza ai bisogni propri e del partner, avrà una buona capacità di comunicare pensieri, sentimenti e desideri così come di accoglierli, sarà in grado di vivere con serenità i conflitti e le distanze, perché consapevole che tali fratture potranno essere riparate, non si sarà abbandonati.

L’attaccamento insicuro evitante darà vita ad una rappresentazione dell’altro come inaccessibile, inaffidabile e non disponibile, ed una rappresentazione di sé come tendenzialmente positiva. Nelle relazioni adulte il legame che si instaurerà non sarà particolarmente profondo: essendo l’altro rifiutante e certa fonte di dolore, bisogna proteggersi da lui tenendolo a distanza. L’intimità emotiva sarà fortemente ridotta, la richiesta di vicinanza sarà interpretata come un’invasione del proprio spazio ed una minaccia alla propria indipendenza.

Una rappresentazione dell’altro come positiva ma di sé come negativa è tipica di un attaccamento insicuro ambivalente, in cui il soggetto si percepisce come non amabile, non accettabile, non desiderabile e vede l’altro come imprevedibile ma possibilmente buono, se dimostrerà di essere abbastanza. La dinamica che prevale è quella della ricerca dell’altro e dell’insicurezza della sua disponibilità.  Il soggetto teme di dire la propria, perché non sa se sarà accolta o fonte di conflitto, a sua volta fonte di angoscia e timore di abbandono. Per evitare ogni conflittualità i bisogni ed i desideri dell’altro saranno ascoltati e rispettati a discapito dei propri, ci si assumeranno colpe e si chiederà scusa in modo indiscriminato al fine di evitare di perdere l’altro. La profonda insicurezza di queste persone le induce a ricercare costantemente conferme del proprio valore e dell’amore che l’altro prova per loro, e predispone a dinamiche di dipendenza affettiva.

Nell’attaccamento disorganizzato, infine, non vi è coerenza ma vi è frammentarietà fra tali rappresentazioni: entrambi sono buoni e cattivi, amabili e non amabili, amorevoli e non amorevoli al contempo. Le relazioni saranno instabili e caotiche, ci sarà la ricerca della relazione per soddisfare dei bisogni di amore e vicinanza e, al contempo, il timore della stessa e la sofferenza che produrrà. L’aggressività si alternerà alla sottomissione, l’ostilità alla premura e all’accoglienza.

Da una visione categoriale ad una dimensionale

Mikulincer & Shaver (2007) hanno proposto una visione dimensionale e non categoriale dell’attaccamento insicuro: il soggetto si collocherebbe lungo un continuum che va dall’estremo ansioso a quello evitante, ed il suo attaccamento può essere influenzato dalle caratteristiche dell’uno e dell’altro in diversa misura.

I soggetti altamente evitanti, in virtù delle rappresentazioni del Sé e dell’altro, desiderano visceralmente indipendenza, controllo, autonomia nelle relazioni, e mettono in atto strategie distanzianti rispetto al partner perché l’intimità emotiva, la vicinanza all’altro, è vista come non desiderabile.

I soggetti con più alti livelli di ansia sono costantemente preoccupati con il perdere il proprio partner e non essere amati da questa figura d’attaccamento, verso cui rimangono guardinghi ma che sperano essere disponibile. Questo timore li rende iper-vigili e molto reattivi a tutte quelle situazioni che potrebbero indurre un conflitto o una rottura. Cercheranno allora prossimità e vicinanza, ma qualsiasi percezione di indisponibilità da parte dell’altro procurerà sofferenza ed aumenterà l’ansia e l’insicurezza.

Il comportamento delle persone nelle relazioni in virtù del loro attaccamento è stato studiato da Simpson e Rholes (2017) applicando il Modello di Attaccamento del Processo Diatesi-Stress.

Questo modello si basa sull’idea che il benessere psicologico sia il frutto dell’interazione fra la diatesi (la predisposizione) e degli stressors.

I soggetti fortemente evitanti manifestano gli elementi tipici del loro stile di attaccamento quando si trovano a far fronte a specifici stressors quali le richieste di maggior supporto, vicinanza e di intimità emotiva, ad esempio. Di contro, i soggetti con più alti livelli d’ansia diventano eccessivamente richiedenti e inclini ad utilizzare metodi disfunzionali di risoluzione dei conflitti quando sentono la stabilità di coppia minacciata da qualcosa.

In entrambi i casi la sofferenza, e l’eventuale disfunzionalità, emerge quando qualcosa minaccia l’equilibrio che i soggetti hanno raggiunto nella coppia, mentre viene ridotta quando il partner sa andare incontro, in modo adattivo e costruttivo, alle loro necessità, riducendo i livelli di ansia o la necessità di distanza.

Attaccamento e sessualità

L’attaccamento ha delle ripercussioni anche sulla sessualità.

Nell’attaccamento sicuro la sessualità è vissuta con serenità, come momento di intima condivisione del piacere. I rapporti sono protetti, e il valore dato alla componente emotiva della sessualità porta ad intraprendere meno sesso occasionale. (Brennan, Lu e Lowe, 1998; Ammaniti, Nicolis, Speranza,2011).

L’attaccamento ansioso ambivalente induce ad un uso strumentale, e talvolta rischioso, della sessualità: diventa un modo per avere conferma della propria sensualità, dell’amore dell’altro, per placare timori ed insicurezze. L’ansia che accompagna il sesso non consente di goderne, ma lo pervade di timori e angosce al punto che la soddisfazione sessuale ne viene compromessa.

Rispetto all’attaccamento evitante, invece, la situazione è l’esatto opposto. Il sesso permette di soddisfare desideri, fantasie ed anche di sperimentare vicinanza e calore umano. Ma implica un’intimità emotiva da cui la persona evitante vuole fuggire. Allora ci sono due opzioni possibili: evitare il sesso, come misura preventiva, oppure dedicarsi in modo costante al sesso occasionale, così che emozioni, sentimenti ed intimità possano essere allontanati.

Che sia evitante o ambivalente, l’attaccamento insicuro influenza la sessualità anche in un altro modo. Nel 2014 Ciocca et al. hanno pubblicato uno studio in cui si dimostrava la presenza di una correlazione fra attaccamento insicuro e disfunzioni sessuali sia negli uomini che nelle donne.

Conclusioni

Lo stile di attaccamento adulto, influenzato dalle relazioni d’attaccamento precoci e dalle successive esperienze, è effettivamente un elemento che può contribuire a spiegare molti dei comportamenti che le persone mettono in atto quando si parla di sesso e relazioni. Essendo una sorta di alfabeto che viene usato per leggere ed interpretare ciò che accade con l’altro, necessariamente determina ed influenza azioni ed emozioni. E non è possibile sfuggire a questo: lo stile di attaccamento che un soggetto sviluppa ha funzione adattiva, serve a garantire la sua sopravvivenza all’interno del sistema relazionale in cui cresce ed è funzionale a questo. Al di fuori però non è sempre così: nelle nuove relazioni quello stile di attaccamento che ha permesso di sopravvivere fino a quel momento potrebbe non essere più efficacie e funzionale, mettendo il soggetto di fronte a delle difficoltà relazionali e sessuali che interferiscono con la sua soddisfazione e serenità.

 

Bibliografia

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Ciocca G, Limoncin E, Di Tommaso S, Mollaioli D, Gravina GL, Marcozzi A, Tullii A, Carosa E, Di Sante S, Gianfrilli D, Lenzi A, Jannini EA. Attachment styles and sexual dysfunctions: a case-control study of female and male sexuality. Int J Impot Res. 2015 May-Jun;27(3):81-5. doi: 10.1038/ijir.2014.33. Epub 2014 Aug 14. PMID: 25119586.

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