Sovrabbondanza di oggetti e sensazione di vuoto

La terapia della parola

La psicanalisi è la terapia della parola. Non è una banalità, né un’ovvietà, seppure a qualcuno ciò potrebbe persino apparire anacronistico. Oggi nell’epoca dell’immagine! Che sia dunque l’immagine, come in una sorta di cura omeopatica, la nostra terapia !

La sovrabbondanza di oggetti

Siamo sommersi anche di parole, non solo di immagini. Ed anche di suoni. Un rumore di sottofondo continuo nel quale le parole diventano suoni quasi senza senso. Un mondo dell’abbondanza. La clinica dell’anoressia ed in generale dei disturbi alimentari indica nella sovrababbondanza, nell’eccedenza dell’oggetto cibo, la causa più immediatamente riconoscibile della loro eziologia. E mostra quale sia l’effetto reattivo che essa provoca nel soggetto: prima saturazione e poi rifiuto.

Non sentire la mancanza, riempire il vuoto

Questo eccesso, di cibo, di parole, in senso lato, di oggetti, induce a pensare che ci sia sempre qualcosa che possa sostituire l’oggetto che non c’è più, cosicchè la sua mancanza non sia avvertita, e possa essere coperta senza troppa difficoltà o dolore da un altro oggetto. Quasi indifferentemente, sia che si tratti di un’auto, di una casa, o della propria donna, o del proprio uomo.

L’importante è chiudere lo spazio psichico di consapevolezza che il vivere la mancanza, che il venir meno dell’oggetto, crea. Vivere l’esperienza della mancanza attraversando in uno spazio temporale il vuoto da essa creato apre nel soggetto l’interrogativo sul valore che l’oggetto perduto ricopriva per lui.

Vivere il vuoto, ascoltare il silenzio lasciato dall’oggetto perduto, significa cogliere, sia la specificità e quindi l’insostituibilità di ogni oggetto, di ogni parola, sia cogliere gli elementi di somiglianza, ma soprattutto di radicale differenza, insiti nell’oggetto che prenderà il suo posto.  

Il silenzio per ridare potere di cura alle parole

Ecco perché è importante nell’esperienza analitica il silenzio. Il silenzio dell’analista, è ascolto profondo che rimanda al paziente – all’analizzante – il suono, il colore, il peso della propria parola, di ciò che egli dice. La psicanalisi mostra come il soggetto che parla non sa quel che dice. Questo è da intendersi non dal punto di vista cognitivo; l’analizzante sa quale è il significato razionale del suo dire  ma non ne afferra il significato profondo, ne ignora la verità inconscia.

E poiché come afferma la celebre definizione di Lacan: “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”, è attraverso il linguaggio, la sua struttura, le costruzioni sintattiche adottate, le parole inconsciamente scelte, che il soggetto dice della verità profonda di ciò che lo anima.

La parola risuona e ritorna con un nuovo senso

Nei momenti di silenzio dell’analisi, il soggetto analizzante sente risuonare nel vuoto ciò che egli dice. La sua parola gli ritorna, come risposta, riassumendo tutte le voci, le parole dette intorno a lui, anche prima di lui. Le parole che lo hanno costruito e costituito come soggetto.

Ed è il silenzio che permette questa operazione, aprendo nell’analizzante un pertugio, un varco nel “tutto pieno” costituito dal bla-bla-bla quotidiano. Un’operazione di svuotamento, di asciugatura. Nel vuoto le parole riacquistano un peso, diventano parole cariche di senso. Parole - nella forma di significanti - che permettono di ripercorre e ritrovare gli annodamenti soggiacenti alla storia esperienziale e fantasmatica del paziente, indicandogli, allo stesso tempo, le soluzioni a lui proprie.

 Quindi, se oggi siamo sommersi di parole, è altrettanto vero che in quanto soggetti umani non possiamo fare a meno di esse. Possiamo però ridar loro il peso specifico, il valore, che rivestono nella storia di ciascuno, uscendo in questo modo dal rumore indistinto di sottofondo, che accompagna e confonde. Ritrovando, così, la singolarità dei propri desideri e la direzione delle proprie scelte

Ed è questo il valore e l’importanza di cui partecipa significativamente il silenzio nel lavoro analitico.

 

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