Tra il dire e il fare

Contrariamente a quanto mi dissero due responsabili di un'associazione, una decina di mesi or sono, esperienza sul campo ne ho. Sia come psicologo-psicoterapeuta, sia come lavoratore "tout-court". E di lavori, credetemi, ne ho passati tanti. Ho iniziato presto a sporcarmi le mani: non avevo nemmeno 10 anni, e da allora non conto più in quante fabbriche, magazzini, uffici, ho passato ore su ore, mesi su mesi. Quanti turni di notte fatti, condivisi con persone di ogni etnia, età, grado. 
Ed è dagli anni '90 che la psicologia è il mio pane quotidiano, anche se iniziai a vedere qualche spiccio solo qualche tempo dopo, a Millennio iniziato. Per questi responsabili, però, esperienza non ne ho.

Quando mi chiedono invece quante ore di formazione aziendale ho alle spalle, mi zittisco per qualche secondo. Ho perso il conto. Tante. Un decennio passato a occuparmi di questo settore per almeno 6-8 mesi all'anno, con una media di 4 ore al giorno. 
Il settore, manco a dirlo, è quello del... lavoro. E della sicurezza ad esso collegato.
Tanti colleghi mi hanno fatto i complimenti nel come affronto questa tematica: rispondo loro che quando hai vissuto in prima persona gli argomenti che stai trattando in aula, chi ti ascolta si gira verso di te con occhio diverso.

Ho visto nascere il decreto legislativo 81/2008 (no, non sono tra coloro che lo ha scritto. Ma l'ho visto comparire nelle aziende, nelle aule di formazione, questo sì), e l'ho visto trasformarsi. Dalle 400 e scarse pagine della prima edizione alle oltre 1000 di quella attuale.
E prima della legge 81/2008?

La 626 del 1994.
E prima della 626/2004?

Le buone maniere.
Già, perché prima del 1994 in fabbrica le leggi sulla tutela degli operai c'erano. Ma pochi sapevano davvero della loro reale esistenza. Ti dicevano, i capi, prima di iniziare un lavoro, di comprarti le scarpe col puntale in ferro, o che te le avrebbero date loro. Ma non erano pratiche, dai... E quindi spesso rimanevano a casa. Meglio le scarpe da ginnastica, vuoi mettere?
Guanti, tappi, si c'erano... Ma chiedevi subito però la tuta da lavoro, quella fatta di un tessuto così resistente che resisteva anche alle bruciature di sigarette. Pesante come uno scafandro da palombaro. Rigorosamente blu.

E se ti facevi male?
La prima reazione del capo o del collega era una risposta che non ti supportava per niente: "Bravo scemo. Cos'è successo? Dormivi?". Se provi ad approcciarti così adesso rischi una denuncia. Una volta invece - almeno qua in Veneto - anche se perdevi una gamba o ti facevi davvero male, la stessa frase era arricchita da uno spesso strato di bestemmie. Imparavi così a stare attento. Non dalle leggi, ma dalla paura che da ora in poi venivi trattato come un cretino dagli altri. E andava tutto a tuo vantaggio nello stare attento la prossima volta.
Non esisteva internet, e i computer erano troppo grandi da portare con sé. I telefonini li vedevi solo nei film di fantascienza. Motivo per il quale se il gruppo ti vedeva come un collega poco affidabile stava a debita distanza da te, e stavano più attenti loro.
E se finivano i tappi per le orecchie, non andavi dall'RLS o preposto - termini sconosciuti all'epoca - ma ti attrezzavi. Andavi in magazzino e chiedevi. E se non c'era proprio modo di trovarli, te li creavi. Insomma, la soluzione la trovavi da te e guai a lamentarti.

La situazione attuale nelle aziende, nello specifico parlo del settore della manifattura, cioè il lato più "sporco" del lavoro, è cambiata molto da quando, se si rompeva una macchina, ogni operaio aveva la manualità per ripararla.
Ora non è più così. Ci sono i manutentori, regole ben precise da rispettare in caso il ciclo produttivo si interrompa. Ci sono i responsabili, spesso definiti con sigle poco facili da decifrare, che vanno contattati, che usano protocolli di intervento specifici.
Pena la sanzione amministrativa in caso di ispezione o infortunio. Nei casi più gravi si rischia il carcere.
In teoria. Perché la storia degli infortuni gravi sul lavoro mostra chiaramente che i responsabili dei grossi disastri la fanno sempre franca. E a rimetterci sono i cosiddetti "pesci piccoli". Un esempio per tutti: ThyssenKrupp di Torino del 2007; 7 operai morti in modo orrendo per violazioni ripetute nel sistema sicurezza della salvaguardia dei lavoratori. Vite spezzate e denigrate poco dopo il fatto perché ritenuti "incompetenti" da coloro che in realtà avrebbero dovuto proteggerli. Se incompetente era un Cristo che accettava turni massacranti per fare un regalo decente al figlio in vista del Natale alle porte e rompeva le palle a tutti - responsabili, sindacalisti - per dire che gli estintori erano scarichi e c'erano incendi ogni giorno, allora sì, erano non uno, ma sette incompetenti. Potevano essere 8, ma questo si è salvato. E ha gridato al mondo intero l'orrore nel vedere morire come torce umane gli amici di una vita.
Ma è stato fatto passare inizialmente per esagerato, quasi scemo, rompiscatole,  e doveva esser fatto tacere. Sono tutti atti pubblici dei vari processi. Non mi sto inventando nulla.
Ed i responsabili? I giudici hanno emesso la sentenza. Carcere. In teoria. In pratica è un uomo libero, l'allora titolare dell'acciaieria. 
Andate a cercarlo su Wikipedia, andate. Fatelo, in ricordo di quegli uomini e di tutti coloro che hanno perso la vita lavorando.

Quando sono in aula e racconto (le spiegazioni non sono bravo a farle) il decreto legislativo "ottantuno duemila otto" mi viene spesso posta una domanda simile a questa:
"...belle parole, ma come fare per attuarle? Se provo a fare quello che lei mi dice il capo mi licenzia..."
Mi zittisco un'altra volta. 
Ma perché devi trovare le parole adatte per rispondere che quella persona ha ragione. E la soluzione è difficile da trovare. Da mettere in pratica. In tanti casi la soluzione fa rabbrividire:

 

devi fare ciò che dice il tuo capo e basta. Se ti fa capire che le sicurezze dei pannelli di protezione del tornio vanno messe così (cioè disattivate), le lasci così. Perché se ci metti il becco, tu che sei l'ultimo arrivato qua dentro, la macchina inizia a fermarsi un minuto sì e un minuto no, e alla fine della giornata invece di fare 500 pezzi ne escono 250. E il cliente si arrabbia. E se si arrabbia mi annulla il contratto. E senza contratto devo tagliare posti di lavoro, quindi tu da domani stai a casa.

 

Mi sa che ora in silenzio ci state voi, leggendo queste ultime frasi, vero?

Quando volete, riprendete la lettura. Il 99 per cento degli infortuni - di tutti i tipi, siano lievi, medi o gravi - accade per mano del lavoratore interessato direttamente od indirettamente nell'infortunio. Un 70% dalla vittima, il 29% per carenze impiantistiche. Che tradotto in altri termini significa che il colpevole non è la vittima, ma un collega della vittima.
L'1% è sfortuna, un evento imprevedibile.
Fonte: INAIL. Solo per dire una fonte. I dati li ho riassunti io per fare prima.
Non siete sicuri? Il dubbio è legittimo. 
Guardatevi in giro e chiedete. Non occorre andare a vedere gli eventi più catastrofici - come Chernobyl nel 1986. Sì, perché l'esplosione di quella centrale atomica rientra come infortunio sul lavoro. Anche Fukushima nel 2011 (la natura in questo caso ci ha messo del suo, ma se andate a studiarvi la letteratura dell'incidente vi renderete conto che gli errori di progettazione erano davvero tanti, ed il rischio maremoto era sottostimato).

Ai miei allievi spesso chiedo quale sia un esempio di evento imprevedibile, cioè difficile da calcolare. 
Pochissimi mi rispondono: "Un meteorite", che è una delle risposte corrette. In molti mi rispondono: "Un terremoto", risposta errata. La faccio breve: la caduta di un meteorite è difficile se non impossibile da prevedere, e quindi chi progetta una fabbrica o una casa non può farla anche a tenuta di meteorite, perché se ti "becca giusto" vieni vaporizzato. Anche se hai due tonnellate di calcestruzzo ai lati e sulla testa. Sia che ti trovi a Napoli, sulle Hawaii o in piena Siberia.
Col terremoto devi essere un criminale se progetti senza i dovuti accorgimenti anche un solo riparo per le bici in una zona che è risaputo essere a rischio sismico. Quindi se c'è una scossa di lieve entità e il tuo palazzo non ha fondamenta hai poco da fare. Il recente evento in Turchia-Siria e le migliaia di video e immagini confermano quanto appena scritto.

Torniamo a noi, a quell'annoso problema di cosa fare quando si sta in mezzo tra una regola, una legge e l'operatività del "qui e ora". Tra il dire e il fare. Rispondo come rispondo in aula:
tutelatevi il più possibile. Cercate di tenere sempre gli occhi ed i sensi aperti. Cercate di non dare mai nulla per scontato in quello che state facendo. Anche se state andando in bagno, accendervi una sigaretta, rispondere al telefono ma state facendo benzina (quanti di voi lo fanno? Sapete che è vietato, vero? Perché i telefoni possono creare delle condizioni che, a contatto con il microclima dato da sostanze infiammabili volatili, possono causare un'esplosione. Non importa se lo vedete fare anche dal gestore: cercate di tutelarvi, anche se tutti fanno così).

Cercate di tenere sempre a mente che il posto più pericoloso al mondo non è la "Zampa di elefante" nella centrale di Chernobyl, ma... il vostro bagno. Perché in bagno ci si va spesso, ad ogni ora del giorno e della notte e spesso con la testa in un'altro posto, oltre al fatto che che ci si deve spogliare. 
In quanti di voi sono andati a toccare o a vedere di persona quel che resta del reattore 4 della centrale ucraina? 
Nemmeno la cucina è pericolosa come il bagno, perché è pur vero che ci sono i coltelli, la pentola dell'acqua calda che bolle, i farmaci che possono essere ingeriti accidentalmente, ma se prendo un coltello in mano, sto attento. Se l'acqua della pentola inizia a bollire non me la rovescio addosso di mia spontanea volontà. I farmaci non si scartano da soli ed i principi attivi non si diffondono se correttamente conservati. Anche quelli più pericolosi.

Tra il dire e il fare ci siamo noi. Ci siete voi. Qui sta la soluzione. 
È difficile ripeterselo ogni giorno, ma ne vale la pena.
Ne vale la vita.

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