Il dramma del cancro durante la gravidanza

Sembra impossibile accettare l’idea che due realtà così opposte - una nuova vita che nasce e il cancro che colpisce la donna in attesa di un bambino - possano convivere nel medesimo momento.

Vi è in queste circostanze un vero e proprio paradosso, in quanto occorre discutere e valutare due situazioni di vita diametralmente opposte: la donna affronta emozioni come la paura di morire e la disperazione, ma allo stesso tempo la gioia di essere incinta e di diventare madre.

Il cancro rappresenta un vero e proprio trauma per la donna in gravidanza e per tutta la sua famiglia: la complessità di questa diagnosi comporta complicazioni non solo sul piano medico, ma anche su quello psicologico, etico, emotivo e sociale. Hanno origine un tumulto di emozioni, sentimenti d’angoscia, tristezza, paura che invadono una donna proprio in quello che dovrebbe essere il periodo della gioia per la nascita di una nuova vita.

Quanto è frequente il cancro durante la gravidanza?

L’esatta incidenza del cancro in gravidanza è ancora da determinare con precisione; si stima che una gravidanza ogni 1.000 sia associata a un tumore maligno e si ritiene essere responsabile di un terzo delle morti materne durante la gestazione. I tumori che più comunemente si presentano in gravidanza sono quelli che hanno la maggiore incidenza nell’età riproduttiva della donna: il tumore della mammella, il tumore della cervice uterina, il melanoma, il linfoma e la leucemia. Negli ultimi anni si è osservato un aumento dell’incidenza dei tumori testa-collo nelle donne gravide. In considerazione della sempre maggiore frequenza di gravidanze in età avanzata che va caratterizzando la società moderna, l’incidenza di tumori durante la gravidanza è destinata ad aumentare.

Un grande dilemma

Per la donna, dover affrontare il cancro durante la gestazione è un evento fortemente stressante, in quanto la pone in una situazione di grossa difficoltà e di estremo sconcerto: mentre una nuova vita sta crescendo dentro di lei, si trova a confrontarsi con una malattia che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza.

In questi casi si viene sempre a creare un conflitto e un grosso dilemma tra la cura, la salute della madre e il benessere del feto. Per ciò che concerne la madre, l’interesse prioritario è quello di un trattamento immediato per contrastare la neoplasia, in quanto un ritardo delle terapie può drammaticamente peggiorare la prognosi. Tuttavia, le terapie anti-cancro (chemioterapia, radioterapia, intervento chirurgico) possono comportare grossi rischi per il feto, dalle gravi menomazioni alla nascita fino all’aborto spontaneo durante i trattamenti.

Questa drammatica situazione non mette in crisi solo la donna, ma anche il partner, la sua famiglia e l’intero team medico, poiché bisogna prendere delle decisioni sulle più adeguate terapie per la madre, cercando di salvaguardare la salute del suo bambino. Qualunque sia la diagnosi di cancro, quindi, vi è questa disperata ricerca di equilibrio tra migliori cure materne e sopravvivenza del feto.

Oltre a ciò, devono essere prese in considerazione anche le conseguenze emotive a lungo temine di questa drammatica situazione.

Le donna che decide di interrompere la gravidanza o che si trova a subire un aborto spontaneo durante i trattamenti vive una condizione di estrema vulnerabilità dal punto di vista emotivo ed affettivo, in quanto si vede strappata via la possibilità di essere mamma. Subire un aborto, sia esso spontaneo o terapeutico, rappresenta sempre, qualunque sia la causa, una crepa nel mondo interno della donna. 

Inoltre, anche dopo la fine dei trattamenti contro il cancro, la donna può continuare ad esperire forti ansie e preoccupazioni circa la salute del bambino esposto in utero alla chemioterapia o alla radioterapia, nonché circa la fertilità futura e la possibilità di portare a termine altre gravidanze.

Implicazioni etiche

Il classico conflitto nei casi di cancro e gravidanza riguarda gli obblighi che il medico ha nei confronti della cura madre e gli obblighi relativi alla salute del feto. Questo conflitto riguarda la decisione inerente all’interruzione della gravidanza, per consentire l’inizio di un immediato percorso terapeutico per la madre, o il posticipare le cure materne per favorire la crescita del feto.

Nella maggior parte dei casi, sia per la madre che per il medico, la preoccupazione primaria è la salute del feto, ma si verificano, anche, circostanze in cui gli interessi della madre e del medico differiscono. Ciò può essere dovuto ad una diversa individuale percezione e accettazione dei possibili rischi nei quali il feto può incorrere.

L’importanza del lavoro in équipe

Tutti questi aspetti non possono essere affrontati attraverso i protocolli abitualmente utilizzati; piuttosto, rendono indispensabile un approccio interdisciplinare specifico tra ginecologo, oncologo, radioterapista, chirurgo, psicologo, pediatra e altre figure professionali. La donna incinta è travolta dalla diagnosi di tumore, non sa assolutamente come affrontare la situazione, non sa cosa chiedere ai medici e non sa cosa aspettarsi dall’équipe curante. Spesso viene consigliata da più di uno specialista, e spesso deve confrontarsi con opinioni diverse. E’ fondamentale per la paziente sentirsi sicura tra i membri dell’équipe: tutti i diversi specialisti dovrebbero scambiarsi regolarmente le proprie opinioni e i propri punti di vista, per adoperare una comunicazione chiara e univoca con la donna.

In quest’ottica diviene centrale il compito dello psicologo nell’offrire un supporto psicologico alla paziente, al partner e alla famiglia in tutti i delicati momenti dell’iter medico: la diagnosi di tumore, la decisione del trattamento da effettuare, il lutto dopo l’eventuale interruzione della gravidanza. L’intervento clinico psicologico deve riservare tempo e spazio ai vissuti legati alla gravidanza e alla maternità, che possono risultare fortemente conflittuali per via della concomitante malattia oncologica.

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