Psicosi infantile

Le psicosi infantili sono raggruppate nel DSM IV sotto il nome di “disturbi generalizzati dello sviluppo”. Comprendono un’alterazione globale delle capacità comunicative, anomalie a livello delle interazioni sociali e comportamenti od interessi stereotipati e ripetitivi.
I bambini psicotici, pur se apparentemente inaccessibili, trasmettono forte ansia e frustrazione, ma anche grande aspettativa e seduzione. Infatti i bambini psicotici, a differenza di quelli con deficit organico, attraggono sia gli adulti che i coetanei. Questi bambini all’interno di un gruppo di pari non vengono aggrediti o derisi, come invece accade a quelli con deficit organico.
Numerosi studiosi si sono interessati  alla psicosi infantile. Degno di nota tra i diversi studi psicanalitici è il contributo di Margaret Mahler. Quest’ultima sostiene che la nascita psicologica di un bambino si determina attraverso un processo chiamato di “separazione ed individuazione”. La separazione descrive la fase in cui un bambino inizia a percepirsi come “separato” dall’unità simbiotica (la madre), mentre l’individuazione quando il bambino inizia a riconoscere le sue caratteristiche individuali. L’autrice ci insegna che in questa fase di nascita psicologica si realizza la  graduale differenziazione tra il proprio Sé e non Sé, infatti è proprio in questo periodo di sviluppo che il bambino impara a pensare la madre come un oggetto esterno, separato da sé. Rispetto a questo tipo di patologia la studiosa propone una distinzione tra psicosi autistica e psicosi infantile. Un bambino autistico non ha alcuna percezione della propria madre e del mondo esterno, dal momento che non è in grado di differenziare l’interno dall’esterno. L’autismo, secondo la Mahler, si manifesta gradualmente nei primi mesi di vita. I sintomi sono: linguaggio assente o poco comunicativo, comportamento stereotipato, attenzione periferica, crisi di agitazione psicomotoria, bisogno di costanza ossia di immutabilità dell’ambiente, indifferenza alla madre e grave deficit intellettivo. Questo tipo di disturbo è una conseguenza di una fissazione alla fase di autismo normale e potrebbe essere causato da fattori ambientali e intrapsichici del bambino. Pertanto l’ipotesi di una correlazione tra la psicosi infantile e l’incapacità o la patologia della madre è esclusa. La psicosi infantile si manifesta nel secondo anno di vita, dopo uno sviluppo apparentemente normale. I sintomi sono: gravi crisi di angoscia che si scatenano in seguito alla separazione dalla madre e che prevedono una serie di tentativi disperati di riunione. Secondo la Mahler la psicosi infantile è la conseguenza di una fissazione alla fase di simbiosi normale.
Negli anni ’50 Gregory Bateson, antropologo, sociologo e psicologo, ha spiegato le psicosi infantili prendendo in considerazione i rapporti intrafamiliari. Lo studioso era convinto che i disturbi psichiatrici (come ad esempio la schizofrenia) fossero determinati da dinamiche relazionali e comunicative, disfunzionali all’interno della famiglia. Una teoria importante, proposta da Bateson, è quella del doppio vincolo che indica una relazione tra due individui legati emotivamente (es. madre e figlio), caratterizzata da una trasmissione di messaggi paradossali ed incongrui tra il livello esplicito (verbale) e il livello meta comunicativo (non verbale). L’esordio della psicosi in età infantile sarebbe causata da questa incongruenza che vede il ricevente passivo ed incapace di contestare questa trasmissione. L’incogruenza è vissuta come valida.
I terapeuti di orientamento sistemico relazionale descrivono l’apatia e la lontananza emotiva delle madri dei bambini psicotici. Queste ultime sono considerate prive della capacità istintiva della cura materna e della affettività. I sistemici ipotizzano che una possibile causa di psicosi infantile sia individuabile nella relazione tra genitori e bambino. Tendenzialmente una madre di un bambino, con deficit organico, manifesta disperazione e delusione, a differenza di quella con figlio psicotico che nega la propria sofferenza per la patologia del proprio figlio. Molto spesso questo tipo di risposta innesca una serie di pregiudizi a livello familiare. Zii, nonne, vicini di casa, etc., accusano questa donna di non essere capace di accudire il proprio figlio.
Il padre appare depresso, passivo e con tratti infantili ed è costantemente impegnato nel sostituire la moglie nella cura del figlio. Nella relazione con il figlio si pone come un “mammo iperansioso e ipertollerante”. Tuttavia gli studiosi sostengono che anche questi padri non dialogano con il proprio figlio e che molto spesso, oltre a questo accudimento, manifestano comportamenti aggressivi verso il figlio.
I fratelli o sorelle dei bambini psicotici si mostrano estranei alle intense relazioni tra madre, padre e figlio psicotico. Se sono fratelli, sorelle maggiori, o di poco più piccoli, appaiono come spettatori imbarazzati e ipercontrollanti, mentre se sono molto più piccoli si presentano come immaturi ed incapaci di occupare uno spazio relazionale che ricercano fortemente.
Un’importante ipotesi di questi studiosi è che i genitori di bambini psicotici manifestino un profondo senso di sofferenza, ancor prima della nascita di questo figlio, causa della chiusura del genitore di fronte alle future richieste del figlio. Secondo gli esperti questa coppia genitoriale ha investito nel matrimonio grandi aspettative di gratificazione affettiva, derivante dai “cattivi rapporti” con la propria famiglia d’origine. Queste aspettative dopo il matrimonio vengono disilluse, ma, nonostante l’alto livello di sofferenza, i due coniugi sono incapaci di separarsi. L’ipotesi è che l’assenza di un vero legame con i propri genitori, abbia portato questi due partners a pensare di utilizzare il proprio figlio come possibile strumento di unione con la propria famiglia di origine. Ad esempio una speranza è che la nonna, oltre al nipotino, possa interessarsi anche della figlia.
Tra i possibili modelli di intervento abbiamo: la terapia familiare che prevede un lavoro terapeutico con i membri della famiglia nucleare e a volte con quelli della famiglia d’origine; la terapia psicanalitica, basata sulla teoria della Malher, che prevede la presenza della madre accanto al bambino e al terapeuta  nella riabilitazione del bambino; le terapie dell’holding che hanno come obiettivo l’attivazione di una comunicazione diretta tra bambino e genitore attraverso un intenso contatto corporeo e visivo tra madre e figlio. Zappella, precursore di questa tecnica, ha introdotto anche la terapia centrata sull’attivazione emotiva del bambino e dei genitori. L’obiettivo è sia quello di creare un rapporto collaborativo tra bambino e suoi familiare, sia di modificare il sistema famiglia, dal momento che le disfunzionalità potrebbero essere d’ostacolo al recupero delle potenzialità del bambino.
E’ fondamentale intervenire anche all’interno delle scuole sia per creare una rete di lavoro più ampia e sia per evitare che il bambino possa essere etichettato come malato. E’opportuno il superamento della visione tradizionale dei problemi psicologici in modo che la scuola non sia considerata come un luogo di emarginazione e di esclusione, ma come spazio privilegiato per la socializzazione e per la sperimentazione della prima autonomia individuale.
 

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