Cliccando su questo link verrete rimandati ad una foto, che ho caricato sulla mia pagina professionale di Facebook.
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Nella foto ci sono due libri, che a prima vista possono sembrare due riviste, alquanto anonime. In realtà vi portano indietro nel tempo. E con questo breve scritto voglio farvi partecipi di quello che ho appena detto.
Sono le prime due edizioni del Manuale Statistico e diagnostico delle malattie mentali, noto come DSM: rispettivamente 1952 e 1968. Sono ristampe, certo, ma il contenuto è rimasto identico agli originali. Due libri scritti in inglese, redatti dall'APA, American Psychiatric Association, la stessa che cura la versione attuale del DSM (DSM 5 - TR, uscito nel 2022). L'edizione attuale conta più di 1300 pagine - parlo della versione italiana.
Quelle dell'immagine hanno uno 0 in meno: 132 pagine. Un abisso, una differenza tangibile, separano la prima edizione del Manuale da quella odierna.
Ma ciò che sconvolge di più è il contenuto.
Nel 1952 la Seconda guerra mondiale era finita da poco. Erano anni in cui le esplosioni atomiche accadevano di frequente. Certo, come test. Ma senza tutte le regolamentazioni che esistono oggi. Si combatteva per la Corea, ma non ancora per il Vietnam. Il boom economico nel nostro paese era ancora lontano da venire.
Non esisteva il colore nei pochi televisori che pochi fortunati avevano. Il telefono men che meno. Se volevi chiamare qualcuno andavi sotto casa sua. Al limite dovevi uscire di casa e raggiungere la prima cabina telefonica. Per comunicare si utilizzava anche la posta. Con francobolli e con le buste. Circolavano ancora i treni a vapore. E le centrali nucleari si contavano sulle dita di una mano; in tutto il mondo, intendo.
E la psichiatria? La psicologia?
Freud era morto nel 1939. Non esisteva ancora la terapia cognitivo-comportamentale. Se tradivi il marito e venivi inviata in Ospedale, rischiavi di esser mandata in un luogo terrifico, cioè il manicomio. Lo stesso se urlavi ai tuoi figli. O ti mettevi a piangere per ore, perché non sapevi che cosa preparare loro da mangiare. Lo stesso se ti mettevi a ridere così, di gioia e senza un perché.
Finivi in manicomio - e così si chiamava, non "Ospedale psichiatrico" - e venivi trattato senza pastiglie ma con metodi di contenzione a dir poco brutali. Camice di forza, elettroshock, isolamento. Igiene personale inesistente. Personale poco empatico, energumeni come infermieri. Ogni tanto qualcuno puliva la stanza dove stavi. Se eri fortunato. Urla. Pianti. Sogni che si spezzavano con l'arrivare di una notte che sembrava non finire mai.
Franco Basaglia, luomo che diede dignità e rispetto alla sofferenza mentale, negli anni 50 era un medico da poco laureato. La sua famosa riforma dovrà aspettare altri 3 decenni - anno più o anno meno.
In quell'epoca eravamo tutti schizofrenici. Perché non esistevano tutte le suddivisioni diagnostiche e i paroloni che usiamo noi clinici ora. O eri normale o non lo eri. O bianco o nero. Borderline è un termine reso famoso da Otto Kernberg, apparso sulla scena della psichiatria mondiale a guerra del Vietnam già iniziata.
Un'altra epoca. Altri valori. Cerano meno laureati in giro. Se concludevi le Scuole superiori eri già un "dotto". Le famiglie erano più grandi. La media dei figli molto superiore a quella odierna (poco meno di 2, stando agli dati ISTAT in mio possesso). Il Natale e le altre feste le passavi con tavole piene di ogni ben di Dio fatte di cibi semplici e non raffinati, dove accanto a te avevi tanti zii, cugini, fratelli. Ti divertivi con un tappo di sughero, e il regalo più bello che potevi ricevere era una camicia, un paio di calzini di vera lana... Un periodo dove non servivano condizionatori, la neve la vedevi spesso e faceva davvero freddo in inverno.
Niente termocoperte. Erano gli abbracci, quelli veri, che ti scaldavano. Della mamma o del papà. Se li avevi ancora, perché risentivi ancora di una guerra mondiale che spezzò il destino, troppo presto, di gente come noi, di qualsiasi età.
Normale allora piangere, a ripensare a chi avresti voluto avere accanto in quel momento. Ma non dovevi esagerare nel farlo. Perché così è la vita. E guai se andavi oltre certe regole sociali. Altrimenti ... via, in collegio.
O in manicomio.
E perché restarci? Ti chiedevi. "In base a cosa, a quali elementi devo restare in mezzo a queste stanze luride, in mezzo a gente che urla, con le braccia bloccate e la fronte fracassata a furia di sbatter la testa contro il muro? Perché devo stare qui dentro?" - avresti potuto chiederti.
Perché un dottore aveva deciso così. Perché seguiva certe regole. E quelle regole erano lì, sono lì, davanti a te, lettore o lettrice, in quelle foto di quei due libri. Era il 1952. Per un soffio ti eri schivato l'arruolamento al fronte o all'internamento in un campo di concentramento, ma eri ancora in tempo - destino meschino! - per farti aprire le porte di uno dei luoghi più terrifici che popolavano i tuoi incubi: l'ospedale dei pazzi.

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