che cos'è la resilienza familiare?

La resilienza è la capacità di riprendersi e di uscire fortificati e pieni di nuove risorse dalle avversità. Si tratta di un processo attivo di autoriparazione e di crescita. Fa si che le persone riesaminino le proprie ferite dolorose assumendo il controllo della propria esistenza, trasformando i momenti peggiori (crisi) in opportunità di crescita.
La resilienza familiare è quell’insieme di strategie di coping e di processi di adattamento che intervengono nella famiglia intesa come una unità. Secondo la Walsh per aiutare una famiglia a riprendersi da un trauma occorre diventare testimoni della loro sofferenza, allargare la storia del trauma creando un contesto che permetta loro di guardare dentro la loro storia e i loro problemi. La resilienza non è focalizzata sul risultato ma sul processo.

La terapia ha come obiettivo ultimo quello di fornire gli “anticorpi” perché la famiglia e i pazienti possano attingere negli anni successivi al termine della terapia a nuove competenze e nuove risorse in grado di affrontare i nuovi eventi stressanti e traumatici che inevitabilmente la vita offrirà a loro.

Questo sarà possibile nel momento in cui il terapeuta non avrà precostituita una teoria della famiglia ma sarà in grado di costruirla assieme alla famiglia stessa agendo da attivatore di quei processi di cambiamento individuali e relazionali che si modificheranno negli anni a venire.


Strumento privilegiato del terapeuta sarà dunque la sua persona e la sua competenza empatica, ovvero quella capacità del terapeuta di trovare dei punti di contatto profondi tra le storie che le famiglie portano in terapia e il ricordo delle nostre esperienze significative e sofferte (Andolfi).

Questo sarà possibile attraverso l’attivazione di un campo intersoggettivo fra paziente e terapeuta, essenza stessa del processo terapeutico (Stern-Gallese 2010 “Nodi attuali della psicoterapia e prospettive future nel lavoro con le famiglie”). Secondo Stern la nostra vita mentale è frutto di una co-creazione, di un dialogo continuo con le menti degli altri: due persone stabiliscono un contatto intersoggettivo determinando una interpenetrazione delle menti che ci consente di dire “io so che tu sai che io so” “io sento che tu senti che io sento”.

In tale lettura dei contenuti mentali dell’altro si fa esperienza di uno scenario mentale comune in un momento presente, ovvero il momento ora in cui le due menti si incontrano all’interno di una relazione e l’intersoggettività si modifica.

Tale incontro delle menti è possibile solo attraverso un uso del Sé differenziato, caratteristica imprescindibile per evitare la confusione e l’indeterminatezza dei confini intrapersonali. Il subtrato neuroscientifico delle ricerche sulla matrice intersoggettiva di Stern sono i Neuroni Specchio: neuroni adiacenti ai neuroni motori che si attivano quando il soggetto si limita a osservare il comportamento intenzionale dell’altro che vengono schematizzate nel nostro cervello in rappresentazioni motorie equivalenti definite Simulazioni Incarnate (vi è una inibizione del movimento).

La simulazione incarnata è alla base delle capacità di comprendere il comportamento volontario intenzionale altrui, sfruttando l’organizzazione funzionale intrinseca del sistema nervoso: “io riconosco nell’altro solo ciò che con me condivide”.

Nella Simulazione incarnata vi è quindi una riproduzione automatica, non consapevole e preriflessiva degli stati mentali degli altri. Il pensiero dell’implicito e della simulazione incarnata riportano ad una dimensione corporea e al suo linguaggio anche in terapia.

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