Equipe di lavoro → Professionalità diverse Obiettivi comuni

Raggiungere un buon senso d’identità personale permette di stare bene con se stessi, con gli altri, di affrontare i cambiamenti inevitabili della vita e gli eventi, a volte dolorosi, dell’esistenza. Raggiungere un buon equilibrio è auspicabile per tutti, ma diventa necessario e indispensabile per tutte quelle persone che decidono di occuparsi degli altri. Attraverso una formazione che comprende un’analisi personale e una supervisione costante e continuativa di gruppo, gli operatori acquisiscono strumenti psicoanalitici che gli permettono di imparare a leggere e a gestire la complessità delle relazioni d’aiuto, salvaguardare il loro benessere psicofisico, ma soprattutto prevenire il burn-out.

Saper distinguere i vissuti personali da quelli “indotti” dall’altro, discernere le emozioni e la sofferenza dell’utente da quelle dell’operatore, permette un intervento adeguato e proficuo atto al raggiungimento degli obiettivi che sono alla base del mandato.

La costituzione di un’equipe permette infatti di affrontare adeguatamente il caso nella sua complessità e nelle diverse sfaccettature. Inoltre consente a ciascun operatore di riconoscere gli stati emotivi e ricondurli agli utenti; opera un percorso di scelta personale e professionale; favorisce la capacità di relazione con gli altri membri del gruppo di lavoro e di supervisione.

L’ esperienza ventennale e l’indirizzo psicoanalitico adottato (analisi personale e supervisione continua) , ha permesso la costituzione di un’equipe che ha favorito sia un percorso di crescita professionale individuale, sia un’evoluzione positiva e proficua del lavoro di gruppo.

Infine un approccio di questo tipo, valorizza i rapporti primari, la famiglia, la cultura, le radici di ogni utente.

La modalità della lettura empatica prevede l’utilizzo dei seguenti strumenti:

1)Verbalizzazione degli stati emotivi percepiti da ciascun operatore

2)Libere associazioni

3)Analisi dei fenomeni corporei

4)Drammatizzazione del materiale/agiti degli utenti.

I vissuti ricorrenti che si riscontrano tra i membri di un’equipe, e tra questa e un’altra equipe esterna (comune, scuola, comunità o altro), si possono sintetizzare nel modo seguente:

  • sfiducia nel collega e/o per un membro o per l’intera équipe esterna
  • ricerca di alleanza esterna al gruppo
  • operatore vissuto come vice-padre/vice-madre
  • competizione tra colleghi
  • competizione tra le diverse équipe
  • ipervalutazione/svalutazione
  • delega di responsabilità
  • sentirsi capo, autorità: sovraccarico, tensione, paura di scoppiare, di non reggere la responsabilità
  • difficoltà a prendere decisioni
  • bisogno di condividere le decisioni e le responsabilità
  • paura che lavorando in équipe si confonda o venga meno l’identità professionale individuale
  • difficoltà di rapporto tra colleghi
  • non riuscire a staccare dal lavoro

Nel corso della supervisione e del lavoro di gruppo, si evince che ogni operatore “porta emotivamente” uno o più utenti, “agendo” stati emotivi quali sfiducia, competizione, sensi di colpa, che rendono la comunicazione tra gli stessi difficile e a volte stereotipata.


Per comprendere meglio le dinamiche che si instaurano all’interno del gruppo di lavoro, utilizzeremo il modello transfert-controtransfert proposto da Gabbard.

Gli utenti, specialmente quelli che utilizzano il servizio domiciliare, tendono a ripetere le loro dinamiche relazionali familiari. Più precisamente essi esteriorizzano le loro relazioni oggettuali interne. La riproposizione delle relazioni oggettuali interne degli utenti nel campo interpersonale dell’intervento, può essere compresa meglio attraverso un esame dei meccanismi di difesa della scissione e dell’identificazione proiettiva.

La scissione e l’identificazione proiettiva agiscono per disconoscere ed esteriorizzare le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto, spesso associate con specifici stati affettivi.

Questo disconoscimento proiettivo è un modo per costringere le persone in quel contesto a partecipare alla versione esteriorizzata delle relazioni oggettuali interne.

L’identificazione proiettiva opera inconsciamente, automaticamente e con forza irresistibile. Il personale si sente tiranneggiato o costretto ad accondiscendere al ruolo che gli è stato attribuito proiettivamente. La prospettiva psicodinamica riconosce che i membri dello staff sono più simili che diversi rispetto agli utenti.

I sentimenti, le fantasie, le identificazioni e gli introietti all’interno degli utenti hanno le loro controparti negli operatori.

Queste controparti possono essere represse più fortemente nei membri dello staff, quando esse vengono attivate da un utente, poiché spesso sono vissute come forze estranee che travolgono l’operatore. In realtà, gli operatori, che sono i bersagli del materiale proiettato, spesso sentono di trovarsi in un legame emotivo con l’utente che li rende incapaci di pensare, sentire o funzionare secondo il loro consueto ruolo (analitico, educativo, assistenziale).

Definire in questo modo l’identificazione proiettiva suggerisce che gran parte dell’intenso controtransfert vissuto dai membri dell’équipe, coinvolti nel trattamento, può essere compreso come un derivato delle identificazioni inconsce con gli aspetti proiettati del mondo interno degli utenti. Comunque sarebbe ingenuo e/o troppo semplicistico ritenere che tutte le reazioni emotive degli operatori siano da attribuire a vissuti e/o emozioni, sentimenti inespressi da parte degli utenti a loro in carico.

Uno dei vantaggi dell’analisi personale, prevista nella formazione, è quello che ciascuno dei membri dello staff sia in grado individualmente di far una distinzione tra le problematiche psicologiche personali da quelle degli utenti.

Via via che i membri dello staff acquisiscono familiarità con il mondo oggettuale interno dell’utente, essi cercheranno di “contenere” le proiezioni anziché identificarsi con esse. Così facendo, un circolo vizioso viene infranto: l’utente si trova di fronte a un gruppo di persone che anziché rispondere alle sue richieste emotive, ai suoi bisogni, ai suoi rifiuti, “facendo” per lui, “agendo” per lui, “scegliendo” al suo posto, lo mette invece davanti alle sue responsabilità, l’aiuta a comprendere e modificare, per quanto è possibile, atteggiamenti e comportamenti sbagliati: infine gli “insegna” a capire e ad elaborare vissuti che sono prevalentemente di colpa, svalutazione, incapacità, impotenza, solitudine, rabbia, giudizio, inadeguatezza, rinuncia.

Nell’ambito della supervisione, il compito principale, è quello di analizzare i sentimenti, i vissuti che gli utenti evocano negli operatori. Implicito in questo compito è l’assunto secondo il quale gli operatori devono avere una sufficiente familiarità con le proprie configurazioni interne del Sé e dell’oggetto, così da poter discernere i due tipi di controtransfert, ovvero il materiale “indotto”.

I membri dello staff devono verbalizzare liberamente tutto ciò che provano, che sentono, anche a livello fisico, nei confronti degli utenti, per poter poi esaminare la loro risposta emotiva, ed evitare così di “agire” gli stessi.

Da una prospettiva individuale, questo approccio significa evitare l’atteggiamento dell’operatore “devoto”, che cerca di essere sempre amorevole, disponibile a sostituirsi alle figure genitoriali; o al contrario essere ipercontrollato e iperdifeso nei confronti delle reazioni emotive dell’utente.

L’apertura alle relazioni controtransferali deve esistere, in maniera analoga, a livello di gruppo.

L’équipe deve promuovere un atteggiamento non critico di accettazione nei confronti delle varie reazioni emotive che i membri dello staff possono avere verso gli utenti. Queste reazioni emotive devono poter essere discusse apertamente e con comprensione. E’ necessario che il gruppo valorizzi e accetti l’espressione dei sentimenti da parte di tutti i membri dello staff evitando di interpretarli come manifestazioni di conflitti personali non risolti e non analizzati.

Questa consapevolezza deve comprendere la conoscenza delle tipiche reazioni controtransferali a certi tipi di utenza, così come il funzionamento più adattivo e libero da conflitti. Questa familiarità potrà aiutare il gruppo a notare le deviazioni dalle caratteristiche modalità relazionali con gli utenti, nonché a riconoscere gli “agiti.

Via via che la costituzione del gruppo di lavoro procede, aumenta il senso di obiettività con cui vengono trattati i casi in carico. Ciò è un importante risultato per lo staff. Potrebbe sembrare, almeno inizialmente, un’aspettativa irrealizzabile, in quanto gli utenti evocano negli operatori sentimenti molto forti. Inoltre tale obiettività è particolarmente difficile da raggiungere per il personale educativo /assistenziale che interviene a domicilio, in quanto non tutelato da un setting strutturato.

Durante il lavoro di supervisione gli operatori vengono incoraggiati a elaborare i loro sentimenti e a utilizzarli per comprendere lo stato emotivo in cui si trova l‘ utente.

Via via che l’affiatamento progredisce, i membri dello staff saranno addestrati a una maggior comprensione delle relazioni oggettuali interne degli utenti, e saranno a quel punto meno inclini a identificazioni controtransferali, ridurranno gli “agiti”, inoltre saranno in grado di avvicinarsi agli utenti con maggiore obiettività.

Un altro aspetto che va tenuto in seria considerazione è relativo al comportamento che può assumere qualche operatore, più incline a negare il controtransfert sentimenti/emozioni, quali odio, rabbia e disprezzo, eludendo il senso di colpa; vissuti che egli prova nei confronti dell’utente e che comunicherà comunque al gruppo, in maniera non verbale.

Se i membri dello staff riconoscono la loro ambivalenza e l’affrontano più apertamente, anche gli utenti saranno a loro volta maggiormente in grado di riconoscere la propria ambivalenza, potranno fare i conto con i loro sentimenti di odio, rancore, rabbia, senza temerli.

Il modello dell’interazione staff-utente qui suggerito è analogo a quello descritto per lo psicoterapeuta. I membri dello staff dovrebbero evitare il distacco ed entrare nel campo interpersonale del paziente in maniera spontanea ma controllata.

Questa capacità di permettersi d’essere “risucchiati”, ma solo parzialmente, è un assetto straordinario che consente ai terapeuti di acquisire una comprensione empatica dei problemi relazionali del paziente (Hoffamn,Gill, 1988).

Nella supervisione e nel lavoro di gruppo, soprattutto nelle situazioni dove la presa in carico, prevede una differenziazione di ruoli e di interventi, le rappresentazioni di Sé e dell’oggetto dell’utente vengono esteriorizzate tutte in una volta sui diversi membri dello staff.

Attraverso il processo di scissione, i membri dello staff si trovano ad assumere e a difendere l’uno contro l’altro delle posizioni altamente polarizzate con una veemenza spropositata rispetto all’importanza della questione.

E’ come se l’utente ha presentato una rappresentazione del Sé a un gruppo di operatori e un’altra rappresentazione del Sé a un altro gruppo di operatori . Questa discrepanza si manifesta innanzitutto nel corso della supervisione nella quale si discute di quella persona e/o nucleo familiare. I membri dello staff potrebbero trovarsi confusi di fronte alla diversità delle descrizioni date, tanto da chiedersi se si sta parlando della stessa persona e/o situazione. Le varie drammatizzazioni che vengono via via rappresentate nel corso della supervisione, rendono molto l’idea di ciò che succede internamente a ciascun soggetto, ma anche all’esterno e nella relazione interpersonale nell’ambito del gruppo di lavoro.

Attraverso la scissione, che è un processo inconscio e che viene utilizzato automaticamente per salvaguardare la propria sopravvivenza emotiva, i diversi operatori si identificano inconsciamente con gli oggetti interni dell’utente e mettono in atto i ruoli di un copione scritto dall’inconscio dell’utente. Inoltre, per via dell’identificazione proiettiva e degli “agiti”, spesso la risposta degli operatori è quella di comportarsi “come qualcun altro”. Quando un gruppo raggiunge questo grado di frammentazione, può capitare che i membri dello staff si arrabbino l’uno nei confronti dell’ altro, agiscano come propri sentimenti, emozioni negate o censurate, provenienti o meglio, indotte dagli utenti , mettendo a dura prova la coesione del gruppo, la fiducia e la stima reciproca.

Come gli altri meccanismi di difesa, la scissione è una valvola di sicurezza che protegge l’utente da ciò che percepisce come un pericolo schiacciante. Il punto essenziale è che lo staff deve continuamente monitorare la scissione impedendo che essa ostacoli il trattamento, rovini il morale dell’équipe e danneggi in maniera irreparabile certe relazioni interpersonali tra i componenti dello staff.

Se gli operatori non sono in grado di riconoscere la scissione quando si sviluppa, e le relative induzioni, la gestione della situazione può diventare difficile.

Nelle discussioni sul controtransfert, i membri dello staff vengono incoraggiati a lavorare nel senso del contenimento degli aspetti proiettati dall’utente, piuttosto che agirli.

Sentimenti molto intensi verso gli utenti dovrebbero essere considerati come materiale utile per la discussione e la supervisione, piuttosto che come reazioni proibite che vanno tenute nascoste ai colleghi. Sviluppando una comprensione del meccanismo della scissione, i membri dello staff possono imparare a evitare di utilizzarla, rifiutando di accettare l’idealizzazione che colluderebbe con la svalutazione degli altri componenti dello staff.

CONCLUSIONI

Secondo l’ esperienza pluriennale, lavorare in gruppo, utilizzando strumenti quali la supervisione, affiancata a un’analisi personale, permette all’operatore di poter scindere e riconoscere i propri stati emotivi da quelli degli utenti.

Per comprendere e intervenire meglio nelle situazioni in carico, è necessario per gli operatori dare importanza e rivalutare la famiglia d’origine, i genitori degli utenti, e di conseguenza “perdere loro di valore”, di interesse, evitando così di sostituirsi alle loro famiglie, come invece viene richiesto sempre più spesso, in modo più o meno esplicito, specialmente nell’assistenza domiciliare.

L’équipe dovrebbe instaurare e portare avanti uno spirito di aperta comunicazione e di rispetto riguardo alle differenze individuali; dovrebbe cercare di portare alla luce ed esaminare i disaccordi all’interno dello staff, inoltre pensare con fiducia che i sentimenti negativi possono essere contenuti all’interno dei rapporti interpersonali senza conseguenze disastrose.

Nel corso del lavoro tutti i partecipanti dovrebbero avvicinarsi l’uno all’altro assumendosi le responsabilità delle scelte che fanno sentendosi degli operatori ragionevoli e competenti che si prendono cura del benessere della persona a loro affidata.

Quando questo approccio funziona il gruppo sente che ciascun membro dello staff ha portato un tassello del mosaico, così da rendere l’intero quadro più chiaro (Burnham, 1966).

E’ indispensabile inoltre, tenere sotto controllo certi segnali d’avvertimento:

1) quando l’operatore è inusitatamente punitivo nei confronti di un utente;

2) quando al contrario è insolitamente indulgente,

3) quando un operatore difende ripetutamente un utente da commenti critici degli altri membri dello staff;

4) quando un membro dello staff ritiene che nessun altro sia in grado di comprendere l’utente.

Quando i membri dello staff riescono a vincere il loro orgoglio e ad accettare la possibilità di essere coinvolti in un’identificazione inconscia con aspetti proiettati dell’utente, possono iniziare a empatizzare con i sentimenti e le prospettive dei loro colleghi.

Questa disponibilità a prendere in considerazione il punto di vista altrui può portare a un lavoro cooperativo nell’interesse dell’utente. Potendo affrontare le differenze tra loro in buona fede, i membri dell’équipe forniscono un’atmosfera ambientale nella quale le “buone” esperienze predominano su quelle “cattive”, condizione essenziale per facilitare negli utenti l’integrazione e l’espressione di sentimenti e emozioni ambivalenti e contraddittorie.


Sintesi tratta dalla Tesi a cura di Maria Galantucci e Marco Terni


“Le induzioni emotive fenomeno e risorsa nella relazione terapeutica” Master triennale in Pedagogia Clinica

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