A tre anni i bambini vivono un momento cruciale del loro sviluppo emotivo e sociale. L’ingresso alla scuola dell’infanzia segna per molti la prima vera esperienza prolungata lontano dai genitori e immersa in un gruppo numeroso di coetanei. È un passaggio importante e, per alcuni, anche faticoso. Se il bambino trascorre molte ore al nido o all’asilo e non può contare su figure familiari di supporto, torna a casa carico di stimoli, stanchezza e talvolta frustrazione. In questi casi può accadere che i genitori osservino cambiamenti anche marcati: più capricci, oppositività, crisi di pianto, fino alla comparsa di comportamenti aggressivi come morsi, schiaffi o urla improvvise. Ma cosa significa davvero tutto questo?
Un bambino che passa molte ore al giorno alla scuola per linfanzia affronta un carico emotivo molto alto. Non si tratta solo di “stare in un luogo sicuro e stimolante”, come spesso si tende a pensare: per un piccolo la separazione dai genitori così prolungata richiede un enorme sforzo di adattamento, regolazione emotiva e gestione di situazioni sociali nuove. I segnali di sovraccarico compaiono soprattutto a casa, dove il bambino si sente al sicuro e si “lascia andare”. Le crisi più forti, infatti, non avvengono quasi mai all’asilo ma nel luogo in cui sa che il genitore può contenerlo. Quando il bambino riferisce che un compagno lo picchia o lo morde, il quadro si complica. Le aggressioni tra pari, se non adeguatamente gestite, possono: attivare paura o insicurezza, confondere il bambino rispetto ai confini corporei e alle regole della relazione, generare imitazione del comportamento violento, alimentare la frustrazione che poi esplode in famiglia. Il bambino non è “cattivo”, né “maleducato”: sta semplicemente restituendo ciò che subisce e sperimenta durante la giornata, senza avere ancora gli strumenti per regolarlo. La ribellione in casa non è disobbedienza: è una richiesta di aiuto. Quando il bambino ha crisi di pianto inconsolabili, si oppone a richieste semplici, non sta sfidando l’autorità dei genitori, ma sta comunicando un’emozione troppo grande da gestire. Il comportamento è il linguaggio dei piccoli. E ciò che dice è chiaro: “sono stanco, confuso, sopraffatto”. I genitori dovrebbero accogliere l’emozione, non il comportamento. Prima di correggere l’atto, è fondamentale riconoscere l’emozione sottostante. Una frase utile è: “Vedo che sei molto arrabbiato. Sono qui con te.” Accogliere non significa permettere tutto, ma contenere. Porre limiti semplici e costanti. Servono poche regole, ma chiare: “Non si picchia", “Non si mordono le persone.”
Il limite va dato con voce calma e ferma, senza urlare né punire. Offrire alternative concrete e mostrare cosa si può fare al posto dell’aggressione: “Se sei arrabbiato puoi stringere questo cuscino", “Puoi dirmi che non ti piace.” Potrebbe essere utile creare un rituale di decompresione dopo l'asilo. Dieci minuti fissi, ogni giorno: abbracci, un libro sul divano, giochi tranquilli di contatto, silenzio e presenza. Questo momento è fondamentale per ricaricare il bambino. Mantenere una routine serale non stimolante. Evitare schermi e attività frenetiche nel tardo pomeriggio.
I genitori dovrebbero confrontarsi con le educatrici per capire: se le aggressioni sono state osservate, come vengono gestite, in quali momenti la situazione è più critica (spesso il post-scuola è molto caotico), se è possibile monitorare più da vicino le interazioni. Una comunicazione chiara tra famiglia e scuola previene fraintendimenti e aiuta a costruire un clima protettivo per il bambino. Non serve allarmarsi, ma è utile consultare uno psicologo se: le crisi sono molto frequenti, il bambino appare costantemente irritabile o molto ritirato, fatica a dormire o cambia appetito, le aggressioni tra pari continuano senza miglioramenti. Un intervento mirato può aiutare la famiglia a ristabilire equilibrio e sicurezza. Un bambino che manifesta comportamenti aggressivi vuole essere capito. Sta comunicando una fatica emotiva che non è in grado di gestire da solo. Con poche regole coerenti, molta presenza affettiva e un dialogo costruttivo con l’asilo, i genitori possono aiutare il proprio figlio a ritrovare stabilità, senza sentirsi impotenti o in colpa.
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