Aiutare i genitori del bambino iperattivo

Spesso si sentono genitori e insegnanti lamentarsi del fatto che i bambini sarebbero sempre più distratti e incontrollabili. In molti casi si tratta di particolare vivacità ed esuberanza che durante il processo di crescita riusciranno a essere incanalate in attività positive e, a volte, consentiranno persino di raggiungere traguardi speciali in settori legati all’innovazione.

In alcuni casi, però, tali modalità di comportamento sono eccessive se confrontate con quelle dei coetanei, sono persistenti, si presentano in diversi contesti di vita del bambino (es.casa, scuola), comportano una quota di sofferenza per il bambino e per gli adulti che gli sono vicini, e non sono dovute alla presenza di altre patologie. Solo quando si verificano queste condizioni un’attenta valutazione clinica può portare a diagnosticare un disturbo da deficit di attenzione con iperattività.

I comportamenti di questi bambini si caratterizzano per difficoltà a mantenere l’attenzione per tempi protratti, soprattutto quando sono impegnati in compiti lunghi e non particolarmente motivanti, impulsività nel fornire le risposte (agiscono prima di pensare) e iperattività a livello motorio. Appaiono costantemente distratti e in movimento, tendono a passare da un’attività all’altra senza completarne alcuna, “sparano” le risposte ancor prima che la domanda sia stata terminata, non aspettano il proprio turno e faticano a rispettare le regole, non tanto per deliberata disobbedienza quanto per mancanza di riflessione. E’ come se faticassero a controllare dall’interno i propri comportamenti e il proprio impegno cognitivo.

La maggior parte delle ricerche concorda nel ritenere che queste difficoltà derivino da una predisposizione biologica che interagisce da subito con aspetti ambientali, affettivi ed educativi. In un’ottica cognitivo-evolutiva, in particolare, non esiste un’unica causa che in modo lineare genera psicopatologia. Il livello di adattamento e di integrazione sociale dell’individuo è generato momento per momento da diversi fattori di rischio e protettivi che interagiscono in maniera dinamica e complessa per tutta la vita (Lambruschi 2004).

I bambini iperattivi hanno caratteristiche neurobiologiche specifiche (alcune aree cerebrali sono “sottoattivate”) e un temperamento “difficile” (per esempio sin da neonati dormono poco, piangono frequentemente e faticano a lasciarsi tranquillizzare). Tuttavia avranno maggiori o minori difficoltà a seconda dell’ambiente sociale e/o familiare in cui si troveranno a crescere e degli eventi di vita che li vedranno coinvolti.(come un lutto o la separazione dei genitori).

Dal punto di vista educativo, un ambiente familiare e scolastico che riesce a essere attento e contenitivo senza diventare troppo costrittivo può rappresentare un importante fattore di protezione e favorire un’evoluzione positiva del disturbo.

Quello che accade sul piano affettivo dipende dalle modalità con cui ciascun genitore interpreta i bisogni di attaccamento del bambino (anche in funzione della propria storia di vita) e vi risponde coi propri comportamenti di accudimento. Può accadere che il genitore risulti imprevedibile per il figlio: a volte coglie e risponde alle richieste del bambino, altre volte no. In questi casi il comportamento iperattivo può diventare una forma di controllo finalizzato a mantenere costantemente ancorato a sé il genitore. In altri casi il genitore risulta inaccessibile per il figlio sul piano affettivo, e l’iperattività rappresenta una modalità di fuga dalle emozioni dolorose (il bambino agisce per non sentire e pensare al dolore). (Lambruschi 2004)

Il tipo di intervento terapeutico che produce maggiori effetti positivi è quello che si basa su un approccio multimodale che coinvolge in modo attivo genitori, insegnanti oltre allo stesso bambino.

 

Il caso dei genitori di Mattia

I genitori di Mattia si rivolgono a me dopo aver letto un articolo su una rivista che parlava del disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Gli sembra di poter riconoscere in quelle descrizioni alcuni tratti del figlio, che al momento della consultazione ha 10 anni e frequenta la 5° elementare. Sono preoccupati del fatto che la situazione non sembri migliorare, nonostante riferiscano di averle “provate tutte” e, arrivati a questo punto, ritengono di aver bisogno di un aiuto per trovare delle strategie più efficaci. Ne hanno parlato anche con le insegnanti di Mattia, che avevano già in passato manifestato le loro difficoltà nel gestire il bambino e si sono dette disponibili a collaborare..

Ascolto i genitori, accolgo le loro preoccupazioni e chiedo loro informazioni sulla storia di Mattia e delle sue difficoltà. Li informo che la loro descrizione corrisponde a quanto accade per i disturbi da deficit di attenzione, ma che è necessario procedere attraverso una valutazione più approfondita per porre una diagnosi e, soprattutto, impostare un intervento di aiuto mirato. Li invito a compilare alcuni questionari, incontro le insegnanti e infine conosco Mattia. La valutazione degli aspetti cognitivi (attenzione, impulsività, pianificazione) e affettivo-relazionali permette di confermare l’ipotesi diagnostica. Emerge inoltre la tendenza di Mattia ad utilizzare i propri comportamenti iperattivi in senso coercitivo, per tenere legati a sé i genitori e gli altri in genere.

Si decide di impostare l’intervento su tre piani paralleli:

  1. il lavoro con Mattia, centrato sul potenziamento delle capacità di mentalizzazione e di autoregolazione, per affrontare le situazioni problematiche a casa, a scuola e nel rapporto coi coetanei,e per riconoscere e gestire in maniera più adeguata le emozioni di paura, tristezza e rabbia. Molta attenzione viene posta anche sul miglioramento dell’autostima del bambino
  2. i colloqui con le insegnanti per aiutarle a trovare strategie educative meno punitive e strategie didattiche più efficaci
  3. il percorso coi genitori

Il percorso coi genitori si focalizza sia sugli aspetti educativi che su quelli affettivi: li distinguerò per chiarezza espositiva sebbene in realtà siano inscindibili.

Sul piano educativo aiuto i genitori di Mattia a comprendere meglio le caratteristiche e le motivazioni dei comportamenti del figlio, a sottolinearne gli aspetti positivi, a trovare modalità più efficaci di comunicazione e di gestione delle regole e a sperimentare forme di negoziazione in caso di conflitto basate sui bisogni di entrambi.

Sul piano affettivo accompagno i genitori nell’esplorazione dei propri schemi mentali (pensieri ed emozioni) e nella comprensione di come questi possano essere di ostacolo nella relazione col figlio. Per esempio scopriamo che per loro esprimere rabbia nei confronti del figlio è assolutamente inaccettabile. Se lo facessero si riterrebbero dei genitori “cattivi”. Discutiamo quindi dell’opportunità di rendere più flessibile tale convinzione che impedisce loro di essere contenitivi e porre dei limiti quando serve.

In effetti quello che accade è che, mano a mano che i genitori di Mattia riescono ad assumere comportamenti più coerenti e definiti sul piano educativo, il bambino li percepisce come più affidabili e prevedibili, e non ha più bisogno di ricorrere a esasperanti comportamenti iperattivi per stabilizzare il legame con loro. Un circolo virtuoso ha gradualmente sostituito i circoli viziosi che avevano portato i genitori di Mattia a chiedere aiuto.

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