la teoria sull'attaccamento di Bowlby

La teoria dell’attaccamento formulata da John Bowlby illustra come la sopravvivenza del bambino viene assicurata dalla vicinanza che quest’ultimo mantiene con la figura materna poiché, grazie alla capacità della madre di rispondere ai segnali del bambino, viene ad instaurarsi nel piccolo una situazione emotiva di sicurezza [1].

Attraverso il progetto di laboratorio denominato Strange Situation, sono state individuate tre forme di attaccamento createsi in riferimento alla relazione madre-figlio:

attaccamento sicuro, presente nei bambini le cui interazioni con la madre sono rassicuranti;
attaccamento ansioso/evitante, tipico dei bambini le cui interazioni con la madre non sono responsive ai loro bisogni;
attaccamento ansioso/ambivalente, caratteristico dei bambini le cui interazioni con la madre risultano incoerenti e non responsive.
Dal confronto  fatto tra l’Adult Attachment Interview e la Strange Situation emergono alcune ragioni che portano le madri a non essere responsive. Tra le più importanti è giusto annoverare la possibilità della figura materna di aver vissuto in età infantile un attaccamento ansioso con la propria madre[2]. Sempre secondo studi, notiamo come il rapporto instauratosi tra madre e figlio in età infantile andrà ad influire sulle future relazioni del bambino. Un rapporto materno responsivo e attento ai bisogni del bambino formerà nel fanciullo un’idea di sé degna di tali attenzioni e cure; al contrario se la madre mostrerà aspetti non adeguati nel prendersi cura del piccolo, quest’ultimo si formerà un’idea di sé come non degna di attenzione e cure[3].   Alla luce di questa breve introduzione  potrebbero essere formulate delle ipotesi circa il comportamento che caratterizza i bambini maltrattati e i genitori maltrattanti.

Si è evidenziato come l’attaccamento al proprio genitore crei nel bambino una sicurezza necessaria per esplorare l’ambiente circostante, mentre se viene a mancare come nel caso del bambino maltrattato, quest’ultimo instaura rapporti basati su ansia ed insicurezza verso il  prossimo.

È molto probabile dunque che bambini aventi genitori maltrattanti svilupperanno un tipo di attaccamento ansioso avendo interiorizzato modelli rappresentativi di sé e degli altri distorti[4].

Attraverso i dati riguardanti la storia personale e familiare di genitori maltrattanti, è stato possibile evidenziare come essi stessi nella loro infanzia  abbiano vissuto un’esperienza abusante dai genitori e dunque come il loro rifiuto abbia potuto portare in seguito al rifiuto dei propri figli. E’ possibile inoltre evidenziare come gli attaccamenti ansiosi, legati a conflitti interni all’individuo portino spesso a situazioni paradossali come ad esempio il caso di bambini maltrattati pronti comunque a difendere le loro figure di attaccamento anche in vesti di aggressori. Inoltre esistono prove che mostrano come alcuni bambini maltrattati, verso la fine del primo anno di vita, imparino ad essere acquiescenti nei confronti dei loro genitori, cercando di predire il comportamento che più possa fare piacere al genitore inibendo atteggiamenti e comportamenti che possano provocare  l’abuso.

L’acquiescenza appresa dai bambini nell’inibire risposte o atteggiamenti che “infastidiscono” i genitori,  ha come conseguenza sia la diminuzione del rischio di maltrattamento sia la capacità di divenire più sensibile nei rapporti con gli altri, inibendo  al contempo i sentimenti di rabbia che lo accompagnano. Questi bambini acquisiscono un coping del maltrattamento che li porta ad avere un eccessivo stato di vigilanza sociale, talora interpretando erroneamente i comportamenti altrui, e una inibizione di ciò che realmente sentono, con il rischio di reprimere la rabbia che provano nel subire il maltrattamento. Questo comportamento nel bambino porta a costruirsi modelli rappresentativi degli altri come forti e ostili e modelli di sé come persona degna di attenzione e cure solo se acquiescente.

Altro caso è quello di bambini abusati che sviluppano un modello di comportamento collerico/resistente. Il rischio di tale modello operativo è il perpetrarsi dell’abuso sul bambino e la possibilità che i sentimenti di rabbia non inibiti sfocino in una percezione degli altri come rifiutanti e ostili nei propri confronti. Tale situazione può essere rivisitata alla luce di un nuovo modello operativo nel caso in cui il bambino trovi un'altra figura sostitutiva di attaccamento che risponda in maniera responsiva. Testimonianze di adulti che da bambini hanno subito maltrattamenti e che hanno rifiutato il perpetrarsi del maltrattamento sui loro figli, hanno affermato di avere al presente  e di avere avuto nell’infanzia relazioni sociali che li hanno sostenuti portandoli a modificare i modelli rappresentazionali negativi nei confronti di sé e degli altri in modelli positivi e adeguati[5].

Nel 1990 i due psicologi Main e Solomon elaborarono un nuovo modello comportamentale infantile definito “disorganizzato/disorientato”. Questo nuovo modello venne teorizzato poiché il comportamento dei bambini non risultava classificabile secondo il sistema elaborato dalla Crittenden nel 1985.

Caratteristica comune per i bambini definiti “inclassificabili” era l’insieme di comportamenti disorganizzati e apertamente conflittuali in presenza di un genitore. Un esempio di tale comportamento potrebbe essere il pianto ad alta voce del piccolo mentre si avvicina al grembo materno per poi smettere e rimanere immobile davanti ad esso. Altra nota comune, è anche la contraddizione nel movimento, sintomo di un disorientamento del bambino rispetto all’ambiente circostante[6].

Il modello teorizzato da Main e Solomon sembra comparire quando il bambino vive un rapporto di paura nei confronti del genitore che pone un paradosso comportamentale nel fanciullo in quanto mentre è portato ad allontanarsi dalla figura di accudimento che rappresenta un pericolo in quel momento, allo stesso tempo ne ricerca il contatto come fonte di sicurezza.

In uno studio effettuato su campioni a basso rischio, sottoposto alla Strange Situation ed Adult Attachment Interview, è stato possibile evidenziare come lo stato mentale irrisolto del genitore che aveva vissuto un trauma o una perdita nell’infanzia, inducesse nel figlio con un attaccamento disorganizzato. Sempre attraverso gli studi sopra citati vengono evidenziate tre caratteristiche (lapsus) fondamentali  per classificare lo stato dell’attaccamento dell’adulto che non ha superato il trauma di una perdita o di un abuso:

-          lapsus nei processi di ragionamento durante il racconto dell’esperienza. Esempio che si riscontra quando il genitore si ritiene responsabile o fautore della morte della persona perduta;

-          lapsus nel discorso durante il racconto dell’esperienza. Fattore che si manifesta con cambi di tono, attenzione ai minimi particolari inerenti alla morte o cambiamenti nel modo di rispondere alle domande poste;

-          resoconti di reazioni comportamentali estreme, in cui il soggetto avrà reazioni di dolore per la morte di un personaggio a lui “lontano” (personaggio pubblico) mentre ha assenze di reazione per la perdita di un parente[7].

Spostando l’attenzione sul bambino, è importante notare la sua reazione nel momento in cui il genitore rispondeva a domande inerenti la perdita di un caro. Lo stato emotivo del fanciullo verte verso la sensazione di paura e ansia poiché non riesce ad identificare la causa di ciò che in quel momento crea ansia nel genitore. Il comportamento distaccato della figura di accudimento, durante il racconto, nei confronti del piccolo crea in quest’ultimo uno stato di “allarme” e di angoscia. Ad aumentare il distacco emotivo tra i due entrano in gioco anche le movenze tese al distacco del genitore verso il bambino. Questo comportamento incute nel fanciullo una sensazione di timore per la lontananza della figura di attaccamento inducendolo così a comportamenti disorganizzati o disorientati[8].

In seguito ad una ricerca effettuata in Virginia, negli Stati Uniti, su famiglie a basso reddito, è stato possibile individuare cinque configurazioni nel funzionamento familiare di nuclei disagiati.

La prima ricerca ha visto coinvolti 78 bambini con un’età che variava dalla nascita sino ai 24 mesi, utilizzando il progetto di laboratorio denominato Care index per valutare la qualità dell’interazione  madre-figlio. Il secondo studio, effettuato su 73 bambini tra i 2 ed i 24 mesi di età, ha esplorato la qualità dell’attaccamento madre-bambino utilizzando la tecnica della Strange Situation. Il terzo ed ultimo studio è stato di più ampio raggio poiché ha visto coinvolte nella ricerca non solo la madre ed il fanciullo, ma anche il resto della famiglia. In questa ultima ricerca sono state esaminate 124 famiglie con un reddito basso, ritenute maltrattanti e adeguate[9].

Attraverso questa ricerca è stato possibile individuare e raggruppare cinque configurazioni di funzionamento familiare: abusante, trascurante, abusante e trascurante, marginalmente maltrattante ed infine, anche adeguate.

Nella prima configurazione, quella di famiglie abusanti, solitamente si tratta di nuclei con genitori giovani dove la madre è sentimentalmente legata al padre biologico del bambino anche se vivono una relazione instabile e abusante. Sono persone solitamente scolarizzate che mantengono relazioni instabili – aperte con persone conosciute da poco tempo. I genitori abusanti spesso sono stati abusati o maltrattati nell’infanzia.

Le Famiglie trascuranti con uno o più bambini, solitamente hanno un partner che non è il padre del piccolo. La maggior parte di queste madri ha un tasso di scolarità basso e tende a vivere nello stesso ambiente socio –economico povero limitando la propria rete di contatti ai membri della famiglia.

Le Famiglie abusanti e trascuranti; generalmente sono disorganizzate al loro interno, con più bambini da partner diversi. Spesso le madri per riportare l’ordine in casa reagiscono con scatti di rabbia improvvisa per poi ritirarsi sconfitte. A differenza dei bambini abusati, che attivano strategie di acquiescenza per inibire il maltrattamento e per calmare i genitori, gli abusati e trascurati non sono in grado di prevedere il futuro comportamento della madre e dunque rimangono attivamente vigili rispetto alla violenza che non possono prevedere o controllare.

Nelle Famiglie marginalmente maltrattanti i genitori di solito sono scolarizzati, ma come nelle famiglie abusanti e trascuranti, al loro interno sono disorganizzate creando un ambiente critico e multiproblematico,  configurato da  adulti con problemi di alcool, richiami da parte della scuola, denunce di sfratto. Le madri marginalmente maltrattanti, a differenza delle altre configurazioni materne fino ad ora descritte, non sono globalmente rabbiose, ma si configurano per lo più empatiche con i loro figli, anche se a volte la loro responsività è instabile.

Finalmente le Famiglie adeguate che non si distinguono queste per l’assenza totale di problemi o conflitti, poiché la maggior parte di questi genitori ha vissuto nella sua infanzia problemi di alcolismo genitoriale o maltrattamenti, ma a differenza delle altre famiglie citate, in  quest’ultimo prototipo i genitori hanno deciso di rendere felici i loro figli rispondendo ai loro bisogni. I bambini cresciuti in queste famiglie sono sicuri delle loro figure genitoriali[10].

Come indicato da alcuni studiosi, i genitori che maltrattano i propri figli hanno subito loro stessi nell’infanzia maltrattamenti e, come afferma Bowlby, l’esperienza vissuta nell’infanzia va ad  influenzare i loro comportamenti futuri. Questi genitori sono reduci da situazioni che hanno impedito loro di assimilare le abilità e le disposizioni mentali ed emozionali necessarie per una corretta genitorialità. Per  la maggior parte di loro vive in ambienti che distorcono lo sviluppo della famiglia, hanno bassi livelli di scolarità e sono persone sottoposte a circostanze continuamente stressanti[11].

Argomento ricorrente nella letteratura dell’abuso infantile è l’idea che bambini vittime di violenze nell’infanzia possano diventare genitori abusanti. Tale idea viene ipotizzata sulla base di un apprendimento del modello comportamentale abusante da parte del piccolo, che verrà riproposto nell’età adulta. Altre spiegazioni, che risultano meno fondate, possono suggerire che il fanciullo sia geneticamente predisposto ad un atteggiamento aggressivo con possibilità  di un comportamento maltrattante da adulto. Secondo Egeland (1993) e Widom (1989) l’ipotesi che riguarda la possibilità di trasmettere il “ciclo del maltrattamento” di generazione in generazione è fino ad oggi la teoria maggiormente accettata dagli studiosi.

Al fine di verificare tale circostanza sono stati condotti due tipi di studi  sulla trasmissione intergenerazionale del maltrattamento: studi retrospettivi e studi prospettici.

Gli studi retrospettivi indagano nella storia di genitori che maltrattano  i loro figli. Vi sono numerosi aspetti che differenzianole famiglie abusanti da quelle che non abusano e nel caso della trasmissione intergenerazionale è stato possibile evidenziare come questi ultimi genitori siano stati a loro volta maltrattati/abusati nella loro infanzia. L’utilizzo di tale metodologia è stato molto criticato poiché fornisce una stima riguardante solo quei genitori che sono stati abusati e che ora abusano e non di coloro che pur essendo stati  maltrattati possono aver cambiato il loro modello operativo e prendersi cura in maniera adeguata dei loro figli.

Gli studi prospettici  cercano di raccogliere i dati sui fattori di rischio all’interno delle famiglie al fine di poter determinare la percentuale di quelle che maltrattano i propri bambini. Tuttavia anche questi studi sono stati molto criticati in quanto non propongono interventi di controllo nel tempo, ma si limitano a considerare la fase del maltrattamento nella sola infanzia.

Nonostante queste ultime famiglie non venissero seguite nel corso dello sviluppo del bambino con interventi di follow up un’ eccezione è stata fatta negli studi condotti nel 1979 da Hunter e Kilstrom. Gli studiosi, per circa un anno, hanno seguito un campione composto da 282 bambini nati prematuramente e malati e delle loro madri. In questo studio sono stati raccolti dati riguardanti l’infanzia delle mamme, il rapporto con i loro genitori e le persone che frequentano. È risultato che  49 di loro avesse subito maltrattamenti da piccola. Nei successivi controlli, 9 genitori su 49 sono stati individuati abusanti con una rilevanza di trasmissione di circa il 18 %.

Dagli studi consultati, emerge che il fenomeno della trasmissione intergenerazionale del maltrattamento è stata delucidata da tre teorie principali: apprendimento sociale, della componente genetica e dell’interazione ambientale.

La teoria dell’apprendimento sociale indica che se uno dei genitori ha comportamenti violenti e si propone al bambino con violenza, è molto probabile che il piccolo apprenderà tale modello comportamentale.

La teoria della componente genetica ipotizza l’esistenza di una componente genetica al comportamento aggressivo. Secondo questa teoria la predisposizione di un genitore all'aggressione ha caratteristica ereditaria nei confronti del bambino. E la  reazione punitiva del genitore viene considerata una risposta al carattere  del bambino. Dunque la predisposizione ereditaria si configura come fattore di ripetizione del ciclo del maltrattamento.

La teoria dell’interazione ambientale vede il comportamento maltrattante come risultato tra l’interazione dell’apprendimento sociale e della componente genetica.

Queste interpretazioni mostrano come nella trasmissione intergenerazionale del maltrattamento convergano diversi fattori. A continuazione di una tale lettura si pone l’approccio multifattoriale della Belsky.

L’ autrice offre un modello di concettualizzazione del  maltrattamento che tiene conto di fattori riguardanti disturbi psicologici dei genitori, tossicodipendenza, modelli disfunzionali appresi nell’infanzia e fattori di stress.

 Gli studi sulla trasmissione del maltrattamento, tuttavia,  non sembrano tenere conto in modo adeguato la  differenza di genere nella trasmissione intergenerazionale. Strauss, Gelles e Steinmentz (1980) hanno evidenziato come i bambini abusati dal genitore dello stesso sesso una volta divenuti adulti sono più propensi ad abusare. Ciò viene confermato dalla teoria dell’apprendimento sociale secondo cui i fanciulli si identificano con la figura parentale dello stesso sesso tendendo quindi a fare propri atteggiamenti e comportamenti di tale  genitore[12].

CONCLUSIONE

Il maltrattamento all’infanzia e  l’abuso sui bambini sono fatti presenti nella  società sin dai tempi antichi. L’attenzione che negli ultimi anni si è rivolta a tali fenomeni è dovuta ad una maggiore consapevolezza che l’infante è una  persona e come tale ha il diritto di svilupparsi e di crescere senza che sia violata in alcun modo questa sua prerogativa. Il bambino è riconosciuto il bisogno del sostegno e delle cure adeguate da parte delle figure genitoriali. Purtroppo questo non è sempre possibile poiché molte famiglie oggi appaiono fragili e disorganizzate al loro interno. Questa disorganizzazione è dovuta probabilmente ai diversi fattori socio – culturali, agli eventi stressanti che caratterizzano la vita frenetica delle persone, tuttavia questa non sembra essere l’unica spiegazione che porta le famiglie a maltrattare i loro figli. In parte la spiegazione del maltrattamento risiede nel fatto che la maggioranza dei genitori maltrattanti abbiano problemi di droga, siano troppo giovani ed economicamente svantaggiate ed appartengano e rimangano nel contesto in cui sono cresciuti. In questo modo, il pericolo di trasmissione dei modelli di comportamento maltrattante sono ancora più elevati.

Tale caratteristica è confermata da alcune teorie: dell’ apprendimento sociale, genetica e multifattoriale. La crisi familiare che scatena il maltrattamento è quindi da inquadrare in un ottica complessa di trasmissione intergenerazionale. Dalle ricerche effettuate emerge che il genitore maltrattante ha subito, in età infantile, abusi da parte dei genitori ed è questa una possibile causa del suo atteggiamento violento nei confronti del fanciullo. Si potrebbe azzardare quindi l’ipotesi di una trasmissione intergenerazionale del maltrattamento.



[1] Cf CRITTENDEN Patricia M., AINSWORTH Mary D.S., Il maltrattamento sui bambini e la teoria dell’attaccamento in CRITTENDEN Patricia M.,(a cura di), Nuove prospettive sull’attaccamento. Teoria e pratica in famiglie ad alto rischio, Milano, Guerini Studio 1994, 4-5.
[2] Cf ivi 7-10.
[3] Cf ivi 13.
[4] Cf ivi 15-17.
[5] Cf ivi 17;19-25.
[6] Cf MAIN Mary, HESSE Erik, Attaccamento disorganizzato/disorientato nell’infanzia e stati mentali dissociati dei genitori in AMMANITI Massimo, STERN Daniel N. (a cura di), Attaccamento e psicoanalisi, Bari, Laterza 1996, 95-97.
[7] Cf ivi 97-100.
[8] Cf ivi 101-102.
[9] Cf CRITTENDEN Patricia M., Nuove prospettive sull’attaccamento. Teoria e pratica in famiglie ad alto rischio, Milano, Guerini Studio 1994, 134-136.
[10] Cf ivi 137-151.
[11] Cf ivi 151-153
[12] Cf TOMISON Adam M., Intergenerational Trasmission of Maltreatment, http://www.aifs.gov.au/nch/pubs/issues/issues6/issues6.html#cau,  Issues in Child Abuse Prevention Number 6 Winter 1996,NATIONAL CHILD PROTECTION CLEARINGHOUSE

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