La motivazione in Psicologia dello Sport

In questo articolo affrontiamo il tema della “Motivazione”, inteso da atleti ed allenatori come un aspetto fondamentale all’interno della pratica sportiva.

Lo analizzeremo trattando concetti che possono essere di supporto per molti allenatori, professionisti e dilettanti, che hanno a che fare con atleti di tutte le età, sia maschi che femmine.

Innanzitutto bisogna sempre tener presente che senza una motivazione adeguata non può esserci apprendimento: per meglio dire, ogni individuo e, a maggior ragione, ogni atleta sviluppa interesse e crescita in quello che fa, in maniera direttamente proporzionale all’attenzione che l’allenatore pone nell’insegnare le varie tecniche e tattiche di gioco.

Gestire un gruppo di atleti è un compito difficile e complesso: ciascuno di loro è un individuo a sé stante, unico, con propri pensieri, proprie emozioni, propri scopi ed obiettivi. Proprio per questo, l’elemento essenziale, di base per ogni allenatore è il dialogo, inteso sia col singolo che  con l’intera squadra. È necessario saper parlare con i propri giocatori, saperli ascoltare, mettendoli tutti sullo stesso piano, evitando favoritismi. Bisogna essere bravi nel persuaderli, convincerli che ce la possono fare, anche quando una parte della loro mente genera dubbi ed interferenze. In questo modo le loro convinzioni limitanti saranno sostituite dalle convinzioni potenzianti, che incrementeranno la prestazione. Così si avrà da parte loro stima e rispetto.

Talvolta si sentono alcuni allenatori sostenere: “I miei giocatori (o le mie giocatrici) sono poco motivati”. In realtà è difficile che un atleta si motivi da solo; spesso vuol dire che sono stati motivati poco o male.

La differenza tra un allenatore mediocre ed uno di successo è l’atteggiamento: infatti, l’allenatore mediocre «si comporta» da allenatore mediocre, l’allenatore di successo «si comporta» da allenatore di successo. Vuol dire che i giocatori di quest’ultimo hanno come esempio un atteggiamento «da vincente» su cui modellarsi inconsciamente.

La spiegazione infatti è molto semplice: l’atteggiamento condiziona il nostro essere.

Con un atteggiamento mentale da allenatore mediocre, come faranno i giocatori o le giocatrici a dare il meglio di sé stessi, sempre? Come faranno a reagire alle difficoltà quando ce ne sarà bisogno? Come faranno a generare risultati? Come faranno a conseguire il successo se l’allenatore non lo ha prefigurato mentalmente?

Ogni allenatore deve “attrarre” il successo, lo deve «far venire a sé», con un atteggiamento vincente che deve essere connaturato, radicato nel profondo; ed è importante non ingannare sé stessi e la propria mente fissandosi su obiettivi di cui non si è veramente convinti.

L’atteggiamento mentale è una forza vitale che si può e si deve sviluppare, e che è possibile mantenere con dei rituali, ovvero dei comportamenti sistematici che dovranno far parte del proprio corredo personale e relazionale. Il saper guidare la mente con dei rituali e l’essere capace di gestirli fa essere un grande allenatore. Questo anche e soprattutto se per ottenere ciò vuol dire esporre la propria mente a cose che non le piace fare.

Per essere leader, essere carismatici, saper guidare qualcuno, è necessario avere un’altra qualità: l’energia. È fondamentale confrontarsi seriamente con il livello di energia che si ha nell’affrontare le cose, e, soprattutto, con il livello di energia che si ha nel guidare le altre persone, perché questa è la benzina che permette di essere bravi ed efficaci nel proporre qualunque cosa si vorrà.

Quello in cui credere è che questi atteggiamenti si possono imparare, anzi devono far parte del proprio essere, diventare sistematici, per non essere delusi e deludere come allenatori.

In altre parole, riuscendo a fungere da specchio ad atleti che devono crescere e/o affermarsi, si svilupperà in sé stessi e negli altri una buona componente motivazionale.

Al contempo, è opportuno dare la giusta attenzione a ciascun giocatore della squadra e far capire ad ognuno l’importanza del suo ruolo nel collettivo per il raggiungimento dei risultati. Tutti si devono sentire importanti ed apprezzati; infatti un clima positivo e l’entusiasmo con cui viene svolto l’allenamento, faciliteranno il percorso sportivo.

Creare un clima positivo vuol dire che se c’è negatività, se c’è stanchezza, se c’è tensione, non si apprende. Questo vale moltissimo se si ha a che fare con atleti che stanno facendo una formazione per diventare pallavolisti/e. Se un bambino/a o ragazzo/a sbaglia non bisogna fargli un urlo perché, se è abituato ai rimproveri, l’urlo non produrrà risultati, anzi, l’uso continuo di toni alti alla lunga crea indifferenza.

Nel rapporto con il giocatore adulto questo aspetto si può e si deve gestire in modo diverso: la tensione può essere una risorsa utile in certi momenti, però, poi, in ogni caso bisogna tornare ad avere uno stato emotivo positivo.

Se c’è una cosa che da sola può sostenere tutta la nostra vita, questa è la fiducia. Fiducia in noi, negli altri, fiducia che i nostri atleti abbiano le potenzialità per migliorare. Ci saranno sempre momenti buoni, altri saranno più difficili, ma quello che non può venir meno è la fiducia nelle capacità dei propri atleti, nelle potenzialità di ognuno di loro ed è compito non trascurabile di chi li guida tenerle sempre presenti, farle emergere al meglio, senza demotivare mai un giocatore, per il bene del singolo e di tutta la squadra.

Vuol dire che si deve andare al palazzetto con la gioia dentro, con l’energia positiva, trovando la parola giusta per ogni atleta, il contatto fisico e, perché no? anche una carezza, senza dimenticare nessuno.

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