Perché non faccio niente per stare meglio?

Federica

Salve. Ho quasi trent'anni e sono depressa da cinque. O forse anche da prima, però riuscivo in qualche modo a "funzionare": vivevo nella città in cui ho frequentato l'università, sostenevo gli esami in tempo e avevo una media molto alta nonostante l'ansia che era sempre presente durante le varie sessioni, avevo una vita sociale. Tutto è precipitato quando ho finito gli esami della magistrale, sono tornata a vivere dai miei e ho cominciato la stesura della tesi. Nel periodo in cui sono finita fuoricorso ci hanno chiusi tutti (primo lockdown) e da quel momento in poi non sono più riuscita a riprendere in mano un libro. A poco a poco ho cominciato a provare sempre più vergogna per la mia situazione, a chiudere con molte persone (non sempre per mia volontà, anzi la maggior parte delle persone che ritenevo amiche mi hanno abbandonata perché non stavo più bene), a diventare una persona priva di stimoli, energie e interessi. Ho cambiato tre psicologi che avevano approcci diversi ma purtroppo non sono riuscita a sbloccare la situazione. So che nessuno potrà sedersi al posto mio e farmi scrivere la tesi: dovrò farlo io e, anche se so che così potrei liberarmi di un peso enorme, non lo faccio. Perché non riesco a tirarmi fuori da questa situazione? Non so per quanto tempo riuscirò a campare così.

5 risposte degli esperti per questa domanda

Salve Federica,

ho letto il suo messaggio e mi dispiace della situazione che sta vivendo e che da quanto scrive si ripercuote in primis sull'ambito universitario ma in realtà il suo disagio si ripercuote negativamente anche su altri ambiti come quello relazionale e di funzionamento  a livello personale. Lei ha detto di aver già tentato di iniziare dei percorsi di sostegno psicologico con tre colleghi psicologi ma di non essere riuscita a risolvere le problematiche per le quali avevia richiesto aiuto. Da quanto scrive molto probabilmente la sua difficoltà a scrivere la tesi è dovuta molto probabilmente dal suo forte carico emotivo che lei si porta dietro ed addosso da diversi anni senza mai essere riuscita ad affrontarlo in modo adeguato. Non esiste un unico motivo per il quale non riesce ad uscire da questo circolo vizioso ma le motivazioni possono essere multiple ad esempio un percorso di sostegno psicologico dove lei non si è trovata con il collega a livello di fiducia, empatia.... oppure magari non era ancora realmente pronta a sostenere il percorso di sostegno psicologico nonostante il suo tentativo di riprovarci. Ci tengo a dirle che il periodo del lockdown hanno reso le persone ancora più fragili e vulnerabili davanti ai propri disagi emotivi, è stata una situazione surreale dove nessuno di noi neanche noi sanitari talvolta eravamo pronti a sostenere tutto ciò che è stato, è stata una sfida molto difficile per tutti quanti e per tali ragioni posso ben capire se un periodo cosi complesso e particolare possa aver aggravato la sua difficoltà di scrivere la tesi o di leggere i libri per poterla scrivere. Io le suggerisco di riprovare ad iniziare un percorso di sostegno psicologico che la possa in primis aiutare a comprendere le cause del suo stato depressivo, quali fattori lo mantengono ed aggravano attualmente, poter esprimere la sua sfera emotiva, a sviluppare ed incrementare una maggiore autostima nella sua persona e nelle sue risorse a disposizione, a capire perchè determinate amicizie si sono interrotte ma soprattutto a provare gradualmente a riprendere il controllo di se stessa e riacquisire il suo benessere psicofisico ed emotivo. 

Se vuole io lavoro a Roma presso lo studio ogni mercoledì e venerdì ma lavoro anche tramite modalità online tutti i giorni dal lunedì al venerdì con pazienti della mia città ma anche con pazienti di altre città e la prima consulenza è sempre gratuita.

Se vuole possiamo fissare una consulenza gratuita in modo da poter confrontarci in modo più specifico sulla sua situazione e il disagio che vive quotidianamente . Successivamente al nostro incontro grauito, se vorrà intraprendere un percorso di sostegno psicologico sarò ben lieta di poterla aiutare.

Resto a disposizione per qualsiasi domanda e/o informazione.

Un caro saluto,

Dott.ssa Chiara Ilardi

 

Dott.ssa Chiara Ilardi

Dott.ssa Chiara Ilardi

Roma

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Buonasera Federica, mi dispiace per la tua situazione. La prima parola che mi colpisce è "funzionavo", in effetti qualunque disagio si ha è molto importante anche come impatta nella vita di ciascuno di noi. Sembra che la fine degli esami universitari prima e il ritorno presso i tuoi genitori dopo abbia segnato un cambio di passo nella tua vita. In questo contesto è arrivato il lockdown che senz'altro non ti ha aiutata. La tesi bloccata è rimasta bloccata là a Verona dove avevi vita sociale,  amici e risultati soddisfacenti nello studio. Io partirei da qui per sbloccarti senza vergognarti per le tue fragilità. Nella scelta dello psicoterapeuta è importante anche che si crei una buona alleanza oltre che l'approccio. Non escludere eventuali cure farmacologiche se il tuo stato non dovesse migliorare.

Un abbraccio 

Marchetti Fiammetta 

Ordine Psicologi Liguria n 2882

Sono disponibile per consulenze e supporto anche on line, su what'sapp

Dott.ssa Fiammetta Marchetti

Dott.ssa Fiammetta Marchetti

La Spezia

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Federica, grazie per aver condiviso la tua storia con tanta sincerità e profondità. Le parole che hai scritto raccontano un dolore vero, stratificato, ma anche la tua consapevolezza, che è già un passo importante — e non da poco. Quello che stai vivendo non è pigrizia, né mancanza di volontà. È depressione. Una condizione che può appannare il senso di sé, bloccare il desiderio, prosciugare la forza anche nelle azioni più semplici. E il fatto che tu stia chiedendo “perché non faccio niente per stare meglio?” non è un'accusa che muovi a te stessa: è un grido di aiuto. Ed è legittimo. Il fatto che non agisci non significa che non vuoi.
Molte persone, in situazioni simili, sanno benissimo cosa "dovrebbero" fare, ma tra il sapere e il riuscire a farlo c'è un abisso emotivo. Quando si è depressi, anche una cosa apparentemente banale come alzarsi dal letto può diventare una montagna. Il cambiamento di ambiente, l’isolamento sociale, la fine di un ciclo (l’università), hanno probabilmente attivato una crisi identitaria. Da lì, è facile sentirsi come se tutto si fosse “rotto”, come se tu non fossi più “tu”. Questo senso di vuoto è tipico di certi momenti di passaggio che diventano traumatici. La vergogna per non riuscire ad "andare avanti", per essere "fuoricorso", per non essere la versione di te che gli altri si aspettavano… ti ha lentamente paralizzata. E purtroppo il giudizio (proprio e altrui) è una gabbia che rafforza la depressione. Cambiare terapeuta non è un fallimento. Hai già avuto il coraggio di rivolgerti a tre psicologi: questo è fare qualcosa. Forse non hai ancora trovato la persona o l’approccio giusto. O forse ora non serve “capire”, ma essere contenuta, tenuta insieme, magari da un percorso più strutturato (come la terapia con un supporto farmacologico o un centro pubblico che ti segua a 360°). Perché non fai niente per stare meglio? Perché probabilmente non riesci. E non perché sei debole, ma perché sei esausta. L’autostima si è consumata, ti senti sola, sei ferita da abbandoni e forse ti senti anche “sbagliata”. Ma non lo sei. Non lo sei affatto.Forse, dentro di te, una parte sta ancora cercando di proteggerti: evitare la tesi, evitare il confronto, evitare di sentire il peso del “fallimento” è un modo (inconscio) per sopravvivere. Ma a lungo andare, questo meccanismo ti isola sempre di più. Cosa puoi fare adesso, anche solo un piccolo passo? Trovare un terapeuta con cui costruire un’alleanza terapeutica stabile. Uno che sappia lavorare con le depressioni resistenti, con il senso di colpa cronico e la vergogna. Magari anche un percorso nel pubblico, dove ci sia un’équipe multidisciplinare. Se non l’hai già fatto, un consulto psichiatrico non è una resa: è un’ancora. Alcuni farmaci, se usati bene, possono dare alla mente il minimo slancio per poter lavorare su di sé. Trovare uno spazio quotidiano piccolo, anche minuscolo, dove esisti senza giudizio. Un diario, una passeggiata, cinque minuti in cui ti parli con gentilezza. Non pensare alla tesi come a tutto. Per ora, il problema non è la tesi: è che ti senti sola dentro una battaglia invisibile. E ogni cosa sembra troppo. Prova a spostare l’attenzione dall’obiettivo al contatto umano — anche scrivere qui è un modo per tornare a contattarti. C’è ancora spazio per ritrovarti, anche se adesso non ti vedi più.

Dott.ssa Antonella Bellanzon

     

Dott.ssa Antonella Bellanzon

Dott.ssa Antonella Bellanzon

Massa-Carrara

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Cara Federica,

grazie per aver condiviso con tanta sincerità quello che stai vivendo. Le tue parole raccontano con grande lucidità non solo la fatica del presente, ma anche la consapevolezza profonda di te stessa, che spesso chi soffre tende a sottovalutare. Ciò che descrivi — quel senso di blocco, la perdita di stimoli, la vergogna che si autoalimenta col tempo — non è pigrizia, non è mancanza di volontà. È una forma di sofferenza psichica che spesso si traveste da “colpa personale”, ma che in realtà merita accoglienza, ascolto e cura.

Domandi: “Perché non faccio niente per stare meglio?” — eppure lo stai già facendo, con il semplice atto di scrivere queste righe, di cercare uno spazio dove poter essere capita. Questa è già una forma di resistenza, un tentativo di uscire dall’isolamento interiore. Il fatto che tu sia riuscita a riconoscere il momento in cui tutto è cambiato (la fine degli studi, il lockdown, il ritorno a casa) è molto prezioso: ci dice che questo blocco ha una storia, un senso, non è “a caso”.

Hai provato più percorsi psicologici, senza sentire di aver sbloccato la situazione. A volte accade — non perché la terapia non funzioni, ma perché ci vuole l’incontro giusto: con un* terapeuta che possa tenere insieme il tuo senso di vergogna, la paralisi che senti, ma anche la parte di te che ancora lotta, che si interroga e che, nonostante tutto, vorrebbe tornare a vivere.

Il mio approccio è psicodinamico: lavoro per dare senso al dolore, esplorando non solo i sintomi, ma le storie emotive da cui provengono. Possiamo guardare insieme a cosa rappresenta per te questa tesi: non è solo un testo da finire, ma forse un simbolo potente, il confine tra chi sei stata e chi hai paura di non riuscire a diventare. E se quel blocco non fosse solo da "combattere", ma da capire, da accogliere?

Ti invito a fare questo passo con me. Non prometto scorciatoie, ma uno spazio sicuro in cui potrai iniziare a ritrovare significato, tempo e dignità nei tuoi vissuti. Non sei sola in questa nebbia. E non è troppo tardi.

Se vuoi parlarne, sono qui.

Con rispetto e cura,
Dott. Alessio Gennaro Miele – Psicologo
“La mente non guarisce perché qualcuno la convince, ma perché qualcuno la comprende.”

Dott. Alessio Gennaro Miele

Dott. Alessio Gennaro Miele

Napoli

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Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL

Dott. Francesco Damiano Logiudice

Dott. Francesco Damiano Logiudice

Roma

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