Buongiorno, ho già scritto. Ho un figlio piccolo con un uomo che non ha mai voluto una relazione vera con me, dividendosi sempre con la figlia adolescente (avuta da un precedente matrimonio) e venendo a trovare me e il figlio un paio di giorni a settimana. Abbiamo però sempre avuto intimità e lui mi diceva di aver bisogno di tempo, che magari prima o poi la nostra storia sarebbe sbocciata. Invece mi ha sempre trattata male: se chiamo la sera e ci siamo già sentiti mi dice che rompo le scatole, se chiedo di vederci una volta in più mi dice che lo soffoco, se piango dice che lo manipolo e non ne può più di me, se gli dico che ho bisogno perché il bambino (anni 2) sta male, dice che non capisco niente e avendo delle pretese lo allontano sempre di più, che se lui è a casa sua non puo aiutarmi e quindi la telefonata è inutile. Il problema è che, invece che chiudere il rapporto e non poterne più, più mi tratta così più io mi dispero, penso che le cose che dice di me siano vere e che quindi non merito niente. Con la testa so benissimo che mi tratta male, ma poi mi ricordo quei pochi momenti sereni, che ancora ogni tanto ci sono, e cado preda della nostalgia e della speranza. Lui è più grande e ad oggi ha un problema di salute serio, anche se risolto. Lui per noi non fa nulla, io vivo in un piccolo appartamento in affitto e quando gli ho detto che devo trovare altro perché qui non c'è la camera per il bambino, mi ha detto: e a me cosa me ne frega? Arrangiati. Economicamente da poco, la metà dell'asilo nido in pratica. Lui non voleva il figlio e me lo ri faccia ogni settimana, dicendo che è fin troppo bravo cosi. Come faccio a farmi valere? Come faccio a uscire da questa situazione, pretendere un aiuto economico vero, non farmi sentire in colpa e non avere comportamenti compulsivi? Quando lui decide che io mi sono comportata male, ad esempio perché ho chiesto di vederci un giorno in più o ho osato chiamare quando è con la figlia, non mi parla per ore o giorni dicendo che me lo merito e io impazzisco, arrivando a chiamarlo varie volte. Sono disperata, grazie a chi risponderà.
Ciao Ele,
prima di tutto voglio dirti una cosa chiara: non sei sbagliata. Non sei "esagerata", "pesante" o "soffocante" come lui ti vuole far credere. Quello che stai vivendo è una relazione tossica e, da quello che racconti, c'è un chiaro meccanismo di manipolazione emotiva (si chiama gaslighting: ti fa dubitare di te stessa e dei tuoi bisogni legittimi). Il problema non sei tu, il problema è il modo in cui lui ti tratta. Accetta che non cambierà
So che è doloroso, ma ogni volta che speri che migliori, ti incateni ancora di più alla delusione. Le rare "briciole" di affetto che ti dà sono proprio il meccanismo che ti tiene legata. È una trappola emotiva. Interrompi il ciclo tossico. Ogni volta che lui ti punisce con il silenzio o ti insulta, tu senti l'urgenza di rincorrerlo. Questo gli dà ancora più potere. Taglia il meccanismo: non inseguirlo. Se sparisce, tu rimani ferma. Non chiamarlo. Ti sembrerà impossibile, ma ogni volta che resisti, ti riprendi un pezzo di forza. Pensa a tuo figlio
Tu meriti di essere felice. Ma ancora di più, tuo figlio merita di vedere sua madre rispettata e serena. I bambini assorbono tutto. Proteggerti è proteggere anche lui.
1) Agisci per vie legali: Assegno di mantenimento: tu hai diritto a chiedere (e ottenere) un contributo economico dignitoso per tuo figlio, a prescindere da quanto "bravo" lui si creda di essere. Rivolgiti a un avvocato (se non hai disponibilità economica puoi chiedere il patrocinio gratuito). Non devi supplicarlo di aiutarti: è un obbligo legale per lui.
2) Chiedi supporto esterno Da sola è difficilissimo. Ti consiglio di cercare:
-Un centro antiviolenza: non serve che lui ti picchi perché ti possano aiutare. Anche la violenza psicologica conta.
-Un percorso psicologico: per ricostruire la tua autostima e curare la dipendenza emotiva che si è creata.
Smetti di giustificarlo
Il fatto che sia malato, che abbia problemi o che abbia un'altra figlia NON GIUSTIFICA il fatto che ti maltratti, ti ignori, ti umili o ti abbandoni con il bambino.
-
Tu sei una donna che sta facendo il massimo in una situazione difficilissima.
-
Chiedere rispetto non è egoismo. Pretendere presenza per tuo figlio non è "rompere le scatole", è essere una madre responsabile.
-
Lui non ti sta facendo "un favore" ad esserci ogni tanto: ha delle responsabilità precise che sta scegliendo di ignorare.
Dott.ssa Antonella Bellanzon
Massa-Carrara
La Dott.ssa Antonella Bellanzon offre supporto psicologico anche online
Buongiorno Ele,
Comprendo il dolore che sta vivendo e voglio dirle, prima di tutto, che merita rispetto, presenza e supporto, non indifferenza o maltrattamenti.
Quella che sta attraversando è una situazione di dipendenza affettiva: anche se razionalmente sa che questo rapporto le fa male, l’attaccamento ai pochi momenti sereni la porta a sperare continuamente in un cambiamento. È un meccanismo comune, che finisce per minare la fiducia in sé stessa e alimentare il senso di colpa, come se fosse lei a sbagliare.
Per uscire da questa dinamica, il primo passo è riconoscere a fondo che non è lei a meritare questi atteggiamenti svalutanti. Il secondo è iniziare a ricostruire la propria forza interiore, magari con l’aiuto di uno psicologo che possa accompagnarla a lavorare su questi schemi emotivi. Sarebbe utile anche rivolgersi a un avvocato esperto di diritto di famiglia, così da tutelare in modo chiaro i suoi diritti e quelli di suo figlio, soprattutto sul piano economico.
Infine, so che è difficile, ma sarebbe importante imparare a gestire l’impulso di rincorrerlo ogni volta che lui si allontana: non perché lei sia sbagliata, ma perché lui sta utilizzando il silenzio come forma di controllo emotivo.
Le assicuro che non è sola. Non è fragile, né "sbagliata". Sta semplicemente attraversando un momento in cui ha bisogno di proteggersi e riprendersi il valore che merita.
Se vuole, possiamo pensare insieme a dei piccoli passi da cui iniziare.
Un caro saluto,
Dott. Albino Elia
Novara
Il Dott. Albino Elia offre supporto psicologico anche online
Carissima Ele,
quella che racconta - e quotidianamente vive - è una situazione davvero spiacevole. Dev'essere dura ogni giorno "combattere" con ciò che pensa sia giusto o sbagliato, con ciò che sente la faccia sentire bene o male e con ciò che può essere meglio o peggio anche per il bambino. Mi è quasi sembrato di percepire come tutte queste esperienze interiori (pensieri ed emozioni) come una tempesta la travolgano ogni giorno, lasciandola alla fine senza forze ed immobile.
Ha spiegato molto bene anche quale possa essere il punto da cui partire per prendere in mano la sua vita: "Il problema è che, invece che chiudere il rapporto e non poterne più, più mi tratta così più io mi dispero, penso che le cose che dice di me siano vere e che quindi non merito niente." La consapevolezza sta proprio qui: nello "schema interno" secondo cui crede che non le spetti nulla di meglio di quanto ha già. Lo stesso schema che la porta a pensare che le cose che dice quest'uomo siano vere e quelle che fa siano giuste, per quanto dolorose e spiacevoli per lei stessa (e per il bambino). Probabilmente è proprio per questo che lei rimane in questa situazione, pur riconoscendone la problematicità. Eppure, per quanto sia difficile, il potere di decidere ce l'avrebbe... passando dalla narrazione di ciò che "l'altro - (in questo caso, l'uomo di cui parla) - mi fa" - rendendola passiva - al "cosa posso fare io" - recuperando la capacità di agire sulla sua realtà in maniera attiva.
Sarebbe molto utile approfondire quest'aspetto, le relazioni che ha avuto ed ha ed allo stesso tempo esplorare quale bussola vuole seguire, in direzione di una vita che sia ricca e significativa per lei.
La saluto con una frase che mi è venuta in mente leggendo quanto da lei coraggiosamente condiviso: “Non arrabbiarti con il pozzo che è secco perché non ti dà l'acqua, piuttosto domandati perché continui ad insistere nel voler prendere l'acqua dove hai già capito che non puoi trovarla.” (Chiaramente l'intenzione non è di invalidare la sua eventuale - e comprensibile - esperienza di rabbia quanto sul focalizzarsi sul potere di agire che si ha, su quanto sia poco utile continuare a far cadere il secchio nel pozzo, sperando che prima o poi compaia qualche goccia, come già successo, e su quanto possa essere più utile mollare la presa e riconoscere che il pozzo potrebbe essere prosciugato).
Se vuole, resto a sua disposizione, per ascoltarla ed accompagnarla in questo percorso.
Un caro saluto e buona giornata,
Dott.ssa Martina Rapacciuolo
Cara Ele,
mi dispiace molto per la situazione che stai vivendo. Dal tuo racconto emerge una consapevolezza preziosa: sai che ciò che sta accadendo non ti rende felice e senti il desiderio di un cambiamento. Questo può essere un ottimo punto di partenza.
Spesso speriamo che siano gli altri a cambiare, senza renderci conto che il cambiamento più profondo e duraturo può avvenire partendo da noi stessi, migliorando così il nostro benessere.
La sofferenza che traspare dalle tue parole è reale e comprensibile. Tuttavia, credo che le risposte che cerchi possano emergere solo intraprendendo un percorso personale di crescita e consapevolezza. Comprendere le tue emozioni, la loro origine e il modo in cui influenzano il tuo modo di vivere le relazioni sarà fondamentale per capire come agire nella situazione che stai affrontando.
Spesso riproduciamo schemi appresi in passato, inconsapevolmente, e riconoscerli è il primo passo per modificarli. Ti invito, se te la senti, a guardare dentro di te insieme ad un professionista per esplorare il ruolo che assumi in questa dinamica e come poterlo trasformare.
Un caro saluto,
Dott.ssa Nicole Urbini