Perchè una persona anoressica ha una visione distorta del proprio corpo?

Il tema del proprio corpo, ossia la percezione reale del proprio corpo, è un argomento in cui sempre più spesso ci imbattiamo noi psicoterapeuti all’interno dei nostri studi.  La complessità dei fattori che cooperano alla formazione, alla conservazione e alla plasticità dell’immagine corporea rende necessario un approccio integrato allo studio delle sue caratteristiche fisiologiche e delle sue distorsioni in campo neurologico e psichiatrico. Il disformismo corporeo appare essere centrale nei disturbi del comportamento alimentare, in particolare per quanto riguarda l’anoressia nervosa.

I pazienti con anoressia non solo presentano angosce eccessive circa la forma e le dimensioni del loro corpo, ma percepiscono effettivamente il loro corpo come più grasso, soprattutto a livello dell’addome, dei fianchi e delle gambe.

Tale alterazione percettiva non si circoscrive all’immagine del proprio corpo, ma concerne anche la percezione delle forme corporee degli altri individui. È come essere parte di un mondo dalle forme abbondanti, che occupano troppo spazio fisico e soprattutto mentale.

Sempre più adolescenti (ma il problema si va estendendo anche ad altre fasce di età)  vivono con il terrore di ingrassare, controllano incessantemente e ossessivamente il proprio peso sulla bilancia, rifiutando il cibo, arrivando a chiudersi in casa, rinunciando alla scuola, agli amici per evitare lo sguardo degli altri, uno sguardo che può osservarli come loro si osservano: grassi, brutti, sostanzialmente inadeguati (e quindi esposti al rischio di non essere accettati).

Oggigiorno è sempre più diffusa l’idea che mostrare un corpo snello, a volte quasi primo di forme, sia il miglior biglietto da visita in una società che tende a conformare gli uni a gli altri rispetto alla fisicità, facendo si che si vada sempre più perdendo di vista la diversità di ognuno.  Infatti ciò che un tempo era considerato un valore, l’unicità della singola persona, oggi al contrario è vista come un limite.Sempre più spesso l’idea valoriale di sé non coincide con l’essere semplicemente se stessi perseguendo le proprie inclinazioni personali, ma  converge in un’immagine di se’  “perfetta” da un punto di vista fisico, ossia magra, snella, filiforme.


Se ciò normalmente limita l’espressione soggettiva, sempre più condizionata da una società che propone di continuo modelli estetici a cui mirare, in casi in cui altre delicate dinamiche si uniscono a questa, ecco che aumenta la possibilità dell’instaurarsi di un disturbo alimentare.

In questo caso l’immagine corporea non è più uno strumento da utilizzare per sentirsi vincenti, ma “l’unico strumento” che permette di “essere” o “non essere”, determinando un’ossessione assoluta sul proprio corpo, che deve essere magrissimo, a volte quasi invisibile, per poter tollerare se stessi e il rapporto con gli altri.

In questi casi si parla di “dispercezione corporea”, laddove l’immagine riflessa allo specchio non coincide più con quella reale, ma viene percepita dalla persona come immensamente più grande ed estremamente ingombrante se non impossibile da sostenere.

Il corpo, seviziato da digiuni, diete estreme, pratiche di svuotamento, allenamenti massacranti, diventa l’unico modo per esistere, per sentirsi, per vivere.

Proprio quel corpo, fonte di vita per l’anoressica, può diventare il suo persecutore più infido e temibile.

Per questo risulta fondamentale, ai primissimi campanelli di allarme, affidarsi a figure competenti per iniziare un percorso di psicoterapia, l’unico in grado di permettere alle persone con disturbi alimentari di uscire dal tunnel e ricominciare a vivere.

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