Video e isolamento nei giovani.

Ecco un nuovo effetto della tecnologia sulla psiche. La Sindrome Hikikomori, che in associazione alla dipendenza da internet ( e abuso di questo strumento) porta all’isolamento, ad una reclusione “volontaria” o voluta, o inevitabile in cui “cadono” adolescenti e giovani , scegliendo la rete come primario o unico mezzo per socializzare col resto del mondo.  

È una parola giapponese, ma dal 2013 entra anche nello Zingarelli poiché riconosciuto come fenomeno anche italiano: indica lo stare in disparte, l’isolarsi volontariamente in una stanza della casa (di solito la camera da letto) e passare tutto il proprio tempo sulla rete tra videogiochi e web. Spesso chi ha questa “sindrome” vive tra gli avanzi del proprio cibo, poiché non uscendo dalla stanza si ritrova come un barbone a vivere tra i rifiuti di sé stesso ed il video, dormendo di giorno e giocando di notte. Già nel 2009 uno psicologo milanese denunciava il fenomeno in Italia, parlando di un disturbo associato a ragazzi giovani ancora conviventi con la famiglia di origine, con madri molto “accudenti” e padri meno presenti, Ragazzi con un disagio scolastico che a volte credono di aver deluso i genitori che solitamente sono di buona cultura.

Ma anche ragazzi col disagio rispetto ai modelli che la società propone loro, ed agli stili di comportamento del gruppo dei pari. In questo modo il web risolve ogni disagio poiché dà una possibilità di comportamento e riconoscimento virtuale a coloro che non giocano nella vita vera. Pertanto il disagio sano rispetto a dei modelli malsani, e la risposta malsana attraverso uno strumento diabolico. Strumento che crea forte dipendenza e che dirotta persone, perlopiù di sesso maschile, su siti di gioco d’azzardo on line e pornografici. Per essere ritenuta una sindrome Hikikomori, l’isolamento è di almeno 6 mesi, ma naturalmente non bisogna attendere tanto per capire che abbiamo a che fare con un forte disagio. Meno si socializza e meno si è allenati alla relazione, piano piano si perdono amici e luoghi di socializzazione e l’isolamento diventa da una scelta una condanna.

Per questo molte forme di aiuto vengono svolte a domicilio. In Italia gli Hikikomori vengono talvolta chiamati nerds o geek. Chiaramente solo in famiglie che sono benestanti questo fenomeno si può cronicizzare, poiché in chi ha necessità di portare a casa uno stipendio per mangiare, non sarà certo possibile passare lunghe notti sveglio a giocare al pc. Sta di fatto che pare che questa sindrome sia una sorta di muta ribellione di giovani che reagiscono alla forte pressione verso il successo che la società propone loro, cosa che nella società giapponese dove ha origine il fenomeno questo avrebbe senso.

Anziché la ribellione aperta la ribellione muta. In occidente non so se ciò abbia senso, ma di sicuro deviare il proprio disagio sociale o affettivo su forme di relazioni virtuali in cui il risultato è auto determinato ha un senso ovunque. Già 50 anni fa si parlava di effetto dannoso delle comunicazioni di massa, della tecnologia e dell’ipertecnologizzazione.

Ma a quanto pare queste materie vengono insegnate solo agli psicologi, che in effetti arrivano a curarne gli effetti patologici ma non influiscono su progettazione di tecnologia né comunicazione di massa, né giochi on line ed altro. Proporre a bimbi, e poi adolescenti, continui stimoli virtuali, fa sì che essi memorizzino informazioni vuote, scatole entro le quali mancano completamente esperienze, relazioni, materia. Quando a contatto col mondo e durante la crescita questi ragazzi si trovano a confrontarsi con ciò che sta dentro alle loro scatole vuote, ecco che sono completamente senza armi, e l’unica cosa che possono fare è quella di rifugiarsi nell’unica esperienza astratta in cui sono sempre vissuti: un video.

Attenzione genitori. Il video non stimola il cervello, soprattutto in giovane età o nella prima infanzia, ma al contrario evita di usare parti della corteccia che altrimenti sarebbero attivate nell’esperienza concreta e nella gestione delle relazioni. Inoltre il virtuale evita frustrazioni, inevitabili invece nella vita concreta. L’attrazione verso il web è infatti costruzione della famiglia che offre come strumento di vita qualcosa che in realtà neutralizza ed atrofizza il vero sé dell’individuo. 

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