Se dubito non sono solo

E' ben nota a tutti l'immagine della medaglia e delle duplici facce di questa, senz'altro allo stesso modo si alternano le opinioni circa la solitudine, c'è chi la ricerca e chi la rifugge. 
Quale delle due sia l'opzione più corretta ci è impossibile dimostrarlo ma l'esempio ci funge da riflessione per farci comprendere, ancora una volta, che una prospettiva diversa può effettivamente modulare il nostro comportamento. 
L'asceta che ricerca la solutidine, aspirando a stati elevati di coscienza, intuizioni superiori o trance performativa, indubbiamente elogerà la solutidine con appellativi oltremondo lusinghieri. Il disperato che si ritrova senza le persone care o senza un ruolo sociale, abbandonato a sè stesso, smarrito; sicuramente non avrà la stessa opinione dell'altro. 
A tutto questo, che già appare estremamente sdrucciolevole, si aggiunge una terza considerazione, ossia quella esistenzialista, che ci ricorda come la condizione umana non può non considerare la solitudine come una parte fondamentale dell'essere uomini, si pensi che il percepito di ciascuno di noi generalmente non viene mai condiviso fino in fondo, o anzi, non lo è per nulla. 
Un grandissimo autore, che vale la pena citare in questo argomento, disse che esistono due differenze da considerare: l'essere effettivamente soli e il sentirsi soli (Cacioppo, 2008) . Come di consueto accade, la parte soggettiva, per cui il percepirsi soli, è quella che nella stragrande maggioranza dei casi funge da ago della bilancia. Sembrerebbe da un esame neuroscientifico che le aree celebrali attive, nella solutidine sofferta, siano le stesse del dolore e dell'allarme (Cacioppo, 2008). Diversamente la solitudine felice attiva le zone celebrali del piacere (Pallanti, 2017). Non si conosce esattamente il nesso causa-effetto che sottosta a questa dinamica e per cui potremmo dire che di base la solitudine sia un fenomeno così qualitativo e soggettivo, a dimostrazione le innumerevoli sfaccettature e i livelli di intensità. E' la percezione della persona, quindi, che mostra la risposta emotiva mentre la qualità dell'intesità e della persistenza prudocono gli effetti. 

C'è una soluzione?

"SE VUOI VEDERE IL GIORNO NON PUOI NON ATTRAVERSARE LA NOTTE" (Gibran, 1926). La costante delle strategie che permettono di risalire il vertigiono precipizio della solitudine è il gestire la stessa, non annullarla. Solo accettandone la compagnia siamo in grado di trasformare un limite in risorsa; non qualcosa da cui scappare ma un rifugio sicuro nel quale ricaricarsi per continuare il viaggio della vita. Cristo a Filippo e Andrea nel mare di folla che gridava l'entusiasmo nella Domenica delle Palme, disse " Se il chicco di grano caduto non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto". Dal terreno arido della solitudine, se coltivato nasce il seme relazionale vitale con l'altro e il mondo. 

Se non sai stare da solo non sai stare con l'altro. 

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