Caro Mario,
leggerti fa male al cuore. E immagino che scrivere queste parole ti sia costato tanto. Quando il dolore si fa così denso, così presente in ogni respiro, può sembrare che non ci sia via d’uscita, che tutto abbia perso valore. Ma proprio per questo è importante che tu abbia scritto. È un gesto di forza, anche se ora ti senti svuotato e senza appigli.
Stai attraversando un momento durissimo: la perdita del lavoro, la paura per il futuro, il senso di impotenza e lo sguardo giudicante – forse anche disperato – di chi ti è vicino. Tutto questo può farti sentire schiacciato. Ma non sei solo, anche se adesso tutto grida il contrario. E non sei sbagliato.
Avere pensieri di morte non significa voler davvero morire. A volte è un modo, l’unico che si riesce a trovare, per dire “non ce la faccio più”. È una richiesta di tregua, di sollievo, di comprensione. E merita attenzione e ascolto, non giudizio.
Quello che stai vivendo non definisce il tuo valore come uomo, marito o padre. La tua dignità, la tua capacità di essere importante per qualcuno, non si misura solo con un lavoro o con l’approvazione degli altri.
Il fatto che tu stia soffrendo così tanto è un segnale: c’è bisogno di cura, non di colpa. Di aiuto, non di punizione.
Mario, ti chiedo una cosa importante: cerca qualcuno con cui parlarne direttamente.
Uno psicologo, uno sportello d’ascolto gratuito, il medico di base. Ci sono servizi, anche territoriali, che possono accoglierti senza chiederti nulla in cambio.
Tu non sei quello che stai vivendo. Sei molto di più.
E meriti di essere ascoltato, aiutato, accompagnato in questo passaggio che – anche se ora sembra impossibile – può diventare un nuovo inizio.
Con rispetto e vicinanza,
un caro saluto.