L'aggressività e il Rugby, la sua origine è un approccio etologico

L'aggressività e il Rugby secondo un approccio etologico

Secondo alcuni studi etologici l’aggressività può essere rivolta sia verso soggetti  di “specie diversa” ed è definita “inter-specifica”, sia verso soggetti della stessa specie ed è definita “intra-specifica”. Per Lorenz, il comportamento aggressivo vero e proprio è soltanto quello intra-specifico ed afferma che “in essa all’origine vi è un impulso biologico, adattivo, innato, spontaneo che è utile alla conservazione dell’individuo e della specie”. Nel corso di una lotta tra due lupi, per esempio, uno soccombe e offre al vincitore la concavità del collo, cioè la parte più vulnerabile del proprio corpo in cui ogni morso potrebbe essere letale. Questo tipo di comportamento blocca improvvisamente l’aggressività del vincitore che, pur ringhiando rabbiosamente, non morde l’avversario. Comportamenti analoghi sono presenti anche in altre specie di animali come i babbuini, i cervi e anche tra gli uomini e nel mondo dello sport questa emozione negativa ha assunto una notevole valenza e destato molta attenzione. Nel rugby, per esempio, in una nota ricerca condotta da Keleman si è riscontrato che se lo scopo del gioco è quello di portare la palla oltre la linea del fondo campo avversario e di schiacciarla a terra, oppure di spedirla con un calcio arrivando poi, per primi a toccarla, ciò obbligatoriamente, nel corso dei secoli, ha stabilito delle regole sempre più rigide, al fine di evitare veri e propri massacri. Basterebbe pensare che le origini del rugby si fanno risalire all’età ellenistica ( V e IV secolo a.C.) ed il suo nome era “Episkiros”; a Roma prese il nome di “ Harpastum” e rappresentava lo svago prediletto dei legionari che compivano esercizi collettivi aventi in genere lo scopo, dopo una serie di lanci e rilanci, di sospingerla verso la squadra avversaria e di portare la palla, solitamente ricoperta di cuoio, oltre la linea di fondo del campo degli avversari. 
La Cina rivendica la paternità di un gioco simile al rugby e anche molto vicino al calcio come viene praticato oggi. Tuttavia, non esistono ricerche attendibili sulle vere origini di questo sport. Con l’arrivo del rugby in Francia e in Inghilterra ci fu una degenerazione profonda trasformandolo in un esercizio brutale ed in una pratica pericolosa. E’ tuttora in dubbio se siano stati o meno i Normanni ad importarlo ed era chiamato “hurling over country” e consisteva in un gioco praticato con la palla in cui avvenivano furibonde battaglie combattute senza esclusioni di colpi e, sul terreno, spesso restavano corpi tramortiti, se non trapassati. 

A causa di questa “crudele aggressività” tale gioco fu ostacolato fino alla definizione di norme e regole ben precise che avvenne nel 1860 e in cui si stabilì che:  
1) un giocatore è autorizzato a correre con la palla, purché questa sia afferrata al rimbalzo o al volo; 
2) un giocatore può essere uncinato con un piede sul davanti della gamba ed al di sotto del ginocchio quando corre con la palla. La “Rugby Football Union” cioè l’Associazione di tutti i Club praticanti tale sport si impegnò a far spogliare il gioco dagli atti troppo violenti. Quindi, lo scopo del gioco è quello di portare la palla oltre la linea di fondo campo avversario e di schiacciarla a terra , oppure di spedirla con un calcio arrivando poi per primi a toccarla : in tal modo, si ottiene la “meta”. Lo scopo è quello di andare in “meta” e questo specifico compito è affidato agli 8 “avanti” giocatori che per ricoprire tale ruolo devono essere forti, dinamici e intelligenti con un grande senso della cooperazione ed una ugualmente elevata riserva di energie. Questo afferma la regola : “Il dovere primo degli “avanti” è di piegare la schiena, piantare i bulloni delle scarpe nel terreno e spingere nella direzione giusta. Ogni giocatore deve abbracciare il giocatore o i giocatori vicino a lui in modo da formare un blocco unico per spingere con tutte le energie combinate”. Una volta conquistata la palla, dietro il gruppo degli “avanti” volteggia sempre un giocatore che “deve avere coraggio senza limiti ed un fiato senza fine”. Tale giocatore si chiama “il mediano di mischia” che è grintoso, resistente, aggressivo, pronto ad afferrare la palla vinta per iniziare personalmente l’attacco con la collaborazione delle “terze linee” e dell’intero “pacchetto” o, per trasmetterla al vero regista della squadra : il “mediano d’apertura” che , con il suo rapido colpo d’occhio e con il suo talento tattico, deve immediatamente intuire verso quale parte indirizzare i “tre quarti” per condurre a buon fine la manovra offensiva. Comuni a tutti i giocatori sono le doti atletiche, di coraggio e di intelligenza, ma se le due ali devono essere veloci e decise, i due centri hanno in mano la chiave per aprire la barriera difensiva avversaria. Infine, dietro a tutti, vi è l’estremo, il “difensore solitario”, un atleta in doppia veste di ultimo baluardo difensivo e di attaccante supplementare.

Lo studio condotto da Keleman ha voluto evidenziare come i comportamenti aggressivi spesso assumono un’accentuazione dell’irritabilità, della suscettibilità emotiva in quanto le situazioni stressanti, frustranti e minacciose in questo tipo di gioco si presentano frequentemente. Pertanto, secondo il modello etologico l’aggressività si manifesta, il più delle volte, con atti isolati, la cui probabilità viene aumentata dall’isolamento, dall’anonimato e dall’esistenza di un sentimento di appartenenza al gruppo, dall’adesione ad obiettivi ed a valori comuni. Quindi, questa vera e propria “ritualizzazione” della lotta frena profondamente la pericolosità degli impulsi aggressivi che, seppur frequenti, contengono la loro gravità. Per l’etologia, tutto ciò viene spiegato attraverso un’analisi dei comportamenti che, nel corso della loro filogenesi perdono la loro funzione specifica e diventano pura cerimonia simbolica. Dunque , il processo filogenetico della ritualizzazione crea un nuovo moto istintivo, la cui forma ricalca quella di un comportamento variabile ed originato da differenti motivazioni indipendenti, in cui il “rito” ha la funzione di opporsi all’aggressività, di dirottarla in canali innocui e di frenare i suoi effetti dannosi.

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