Cosa raccontare in una seduta di psicoterapia o analisi

Decidere di iniziare una psicoterapia e sostenerne l’andamento qualche volta può apparire faticoso.

Talora, una delle fatiche è data dalla sensazione di non sapere cosa raccontare quando ci si trova in seduta. Può capitare di avere l’impressione di non avere nulla da dire e di sentirsi vuoti; così come può accadere di avvertire che i pensieri affollino la mente senza poter trovare espressione. Altre volte ancora, non è inusuale che i pensieri vengano percepiti come non pertinenti o poco interessanti e pertanto vengano messi da parte e sottaciuti.

Come è noto, durante una seduta è possibile parlare di qualsiasi cosa possa venire in mente, dal momento che non esistono cose giuste o sbagliate da riferire.

Nondimeno, non è così semplice dar corso al racconto dei propri pensieri poiché talora viene sperimentata una sorta di lotta con sé stessi: un conflitto tra la spinta a raccontare e la pressione esercitata da una valutazione su quanto si sta pensando o sperimentando. Questo conflitto è molto importante alla luce dell’esperienza terapeutica e merita di essere preso in considerazione perché sicuramente è espressione di qualche aspetto del funzionamento personale: può essere cioè oggetto di osservazione, dialogo e trasformazione all’interno del percorso di psicoterapia.

Pertanto, quando si fa riferimento alle cosiddette “associazioni libere” (che è una modalità ideo-affettiva del pensiero sollecitata dal metodo psicoanalitico), ci si può ben presto accorgere come queste associazioni di pensiero non siano in realtà così tanto libere: ed è proprio a partire da questa specifica esperienza (talora frustrante) che è possibile dare avvio all’indagine che porta col tempo a comprendere o scoprire aspetti di sé che altrimenti permarrebbero perlopiù incompresi o ignoti.

In ogni caso, durante una seduta è possibile sia ricordare e raccontare una molteplicità di esperienze personali, attingendo quindi alla propria esperienza di vita attuale o trascorsa (sentimentale, familiare, lavorativa, amicale…), sia tornare col pensiero a quanto già sperimentato personalmente nelle sedute precedenti, riprendendo cioè quanto si stava narrando di sé all’interno del rapporto terapeutico.

Da questo punto di vista, durante una seduta è possibile riferire i propri pensieri spontanei, cioè ciò che va formandosi nella mente mentre si è in seduta, sebbene quel che viene alla mente possa apparire in prima istanza senza senso, fuori tema o persino inopportuno. Può trattarsi di un’esperienza recente, di un ricordo del passato, di una fantasia o di una immagine ricorrente, di semplici sensazioni, oppure anche del ricordo di un sogno che si è fatto e di cui non si comprende in quel momento il significato.

Tutti questi aspetti sono sicuramente impregnati di contenuti emozionali, di sentimenti o stati d’animo che in qualche modo accompagnano l’esperienza personale, magari influenzando inconsapevolmente anche i propri comportamenti, le decisioni o persino le relazioni interpersonali con il partner, i genitori, gli amici, i colleghi. Frequentemente, si tratta di conflitti o dinamiche personali che si ripetono e che danno vita a frustrazioni o insoddisfazioni.

Durante il tempo della seduta, è possibile anche cogliere e riferire esperienze emotive o affettive sperimentate durante la seduta stessa (e in quelle precedenti), provando a comunicare pensieri, fantasie o sogni che vedono coinvolto persino lo stesso terapeuta: sensazioni di imbarazzo, vergogna, colpa, timori di giudizio, sentimenti di ostilità e rabbia, così come di vicinanza o simpatia possono occupare la scena del rapporto terapeutico e acquistano un importante valore per la comprensione di sé.

L’insieme di tutte queste comunicazioni possono essere oggetto di riflessione e analisi per comprendere meglio sé stessi nel rapporto con l’altro per mezzo del rapporto terapeutico con l’analista.

Come sempre, il processo di crescita e trasformazione personale richiede tempo: è un processo lento, per nulla lineare e mai definitivo. Si può dire che ogni frammento raccontato può quindi gradualmente contribuire a costruire una prospettiva più ampia: conduce ad una più approfondita comprensione di sé e alla risoluzione della sofferenza psichica per la quale si è chiesto inizialmente un aiuto.

 

dr. Stefano Golasmici

Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista (ASP e IFPS)

stefano.golasmici@gmail.com

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