IL VALORE DEL SINTOMO

La parola “sintomo” deriva dal greco synpipto = accadere, capitare, composto da syn = con + pipto = cado, letteralmente cadere con, cadere insieme.

Un sintomo è qualcosa che accade, ci accade, ma anche con cui noi cadiamo. Cadiamo in una malattia, abbiamo una ri-caduta, abbiamo una caduta depressiva o cadiamo nell’ansia e nell’angoscia. Ma perché allora il sintomo accade e noi cadiamo con/in esso? Qual è la parte di noi che cade col sintomo?

Per la psicologia analitica la nostra psiche ha una sua totalità, formata da una piccolissima parte dalla nostra coscienza, ciò di cui siamo consapevoli, e per la maggior parte dall’inconscio, tutto ciò che non conosciamo riguardo a noi stessi e tutto ciò che ci viene implicitamente tramandato dalla cultura in cui siamo immersi e dalla società. Coscienza ed inconscio sono tra loro in comunicazione mediante energia psichica, la libido, che deve fluire liberamente ed in modo armonico tra le diverse parti della psiche, affinchè possa essere mantenuto un buon equilibrio psicosomatico. In un sistema psicosomatico ben funzionante l’inconscio regola e compensa spontaneamente, attraverso sogni, sensazioni, immagini eventuali squilibri presenti nella coscienza, affinchè l’individuo possa perseguire la piena realizzazione di se stesso, sia delle parti di progettualità nella vita reale, sia nel raggiungimento della piena realizzazione del progetto del suo Sé più profondo. L’inconscio, quindi, ha come scopo principe quello di portare l’individuo alla realizzazione del profondo “Sii te stesso”: raggiungere il progetto, a noi sconosciuto, a cui siamo destinati. La natura dell’inconscio è quella di portare a pieno compimento noi stessi, indipendentemente da tutti i condizionamenti ed impedimenti che giungono dalla coscienza e dalla realtà che ci circonda.

Ma quando tale processo viene impedito, per l’irrigidirsi dei nostri meccanismi di difesa e protezione psichica, per un sovrainvestimento della sola coscienza e l’adesione ad una realtà non consona alle nostre parti profonde, per traumi generati nelle relazioni primarie, per mancata attitudine a porsi in ascolto dei messaggi che arrivano dal profondo costantemente negati, l’energia psichica non può scorrere liberamente. Si comincia ad avere disarmonia tra la coscienza, ciò che agiamo nel mondo, e il progetto dell’inconscio di poter realizzare pienamente la sua natura più intima e profonda, e il sintomo ci capita e noi cadiamo con esso, costretti, a causa del malessere, a porre maggiore attenzione a ciò che sta succedendo. Che sia un sintomo psichico o fisico non fa molta differenza: la nostra natura profonda è incarnata in un corpo e, sia che si tratti di una patologia organica o un disagio psichico, il nostro inconscio ci sta dicendo qualcosa. A volte è un sussurro lieve. Basti pensare a tutte le volte che cadiamo in un’influenza perché non abbiamo il coraggio di ammettere a noi stessi che abbiamo bisogno di riposo e di lasciarci alle spalle tutte le richieste prestazionali che ci vengono poste. A volte, forse se inascoltato, può diventare un urlo di aiuto, come quando possiamo cominciare ad avvertire un senso di noia ed apatia, che diventa irritabilità, letargia e chiusura in noi stessi, sino a perdere completamente il senso di ciò che siamo e agiamo nel mondo.

Se il nostro orecchio interno andrebbe sempre mantenuto vigile per sentire tutti i sussurri che giungono dal profondo, quando arriva il sintomo è giunto il momento di aprire un dialogo interno e molto intimo con esso, per interrogarlo e chiederci di aiutarci a capire ciò che nel suo linguaggio, tanto diverso da quello della nostra coscienza, vuole dirci.

Il linguaggio del sintomo è il linguaggio che sa parlare il nostro profondo: è illogico, atemporale, analogico. È ciò che la nostra coscienza razionale, abituata a funzionare per causa-effetto, non può comprendere se non abbandona consapevolmente le proprie convinzioni e le proprie certezze, lasciandosi guidare fiduciosa dai messaggi che arrivano dall’intimità più profonda.

Diceva bene Hermann Hesse intitolando il suo scritto “Il coraggio di ogni giorno”: ci vuole coraggio per ad affidarsi a ciò che non conosciamo, a sedersi accanto al sintomo e cadere con esso in un incontro fatto di narrazioni che non sappiamo quali contenuti possano portare e quali rivelazioni potremmo incontrare lungo il percorso e dove ci porteranno. È sempre pericoloso, per quanto eccitante, abbandonarsi all’innamoramento e all’incontro profondo con l’Altro. Ma in questo caso l’Altro siamo noi stessi: il sintomo non è a noi estraneo, è una parte di noi stessi, sebbene fatichiamo a riconoscerlo e tendiamo a viverlo come un fastidio da eliminare nel più breve tempo possibile.

“Come mai sei arrivato proprio in questo momento?”; “Qual è il senso che porti nella mia vita?”; “Come mi fai sentire?”; “Cosa mi fai pensare?”; “Quali immagini mi evochi?”; “Cosa devo comprendere di me stesso?”.

Queste potrebbero essere alcune domande da porre al sintomo, e chissà quante altre, senza fretta, senza pretesa, ponendosi, come ci ricorda Hesse, in attesa, in un ascolto sottile, abbandonando la ragione e la volontà della coscienza, per lasciare spazio affinchè presentimenti, sogni, immagini, sussurri possano emergere e venire accolti. Bisogna lasciare che l’orecchio interno senta, si ponga in ascolto dei propri contenuti. È il sentire col cuore, l’abbandono al sentimento, all’intuizione, all’irrazionalità che l’incontro e la caduta col sintomo provocano. È l’abbandonare il Logos per incontrare Eros, la forza motrice interna che tende al ricongiungimento con parti di noi stessi, con cui non siamo riusciti a cadere in un profondo rapporto d’Amore, al fine di una piena realizzazione di se stessi.

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