Schizofrenia e Depressione → Legami affettivi

In entrambi i casi (M. e V.) vi è abbondanza di materiale per una discussione in chiave kleiniana delle due posizioni ritenute fondamentali appunto da Melanie Klein: la posizione schizoparanoidea e superata questa la posizione depressiva.

Perché affermo ciò?
La caratteristica forse più distintiva di M. e di V. è di scindere sia gli oggetti esterni, che quelli interni in tutti buoni o solo cattivi. Questo, per esempio per M., si è manifestato per i mesi di terapia (circa 6) prima delle mie ferie estive, in un transfert positivo, senza la minima connotazione di qualsivoglia elemento negativo. Non nascondo, soprattutto durante l’avvicinarsi delle ferie di essere stata sollevata di “avere un paziente in meno di cui preoccuparmi”.
Errore clamoroso!
Era proprio il paziente di cui preoccuparmi. Per metà delle ferie mi telefonò per 3 volte (le avevo dato la mia disponibilità in questo senso), lamentando che senza di me non riusciva a farcela. A posteriori mi rendo conto che mi aveva scisso in un oggetto buono, anzi talmente buono da essere salvifico, e in un oggetto cattivo. Oggetto cattivo che fece la sua comparsa per la prima volta in questa mia lontananza. Divenni allora l’oggetto cattivo per antonomasia, l’oggetto che “non valeva la pena di aspettare” perché non sufficientemente “potente”.

Questo semplificando di molto la situazione.

Non era solo che non valeva la pena aspettarmi, era anche che , M., trovandosi appunto nella posizione schizoparanoidea, non era ancora in grado di introiettarmi, né come oggetto buono, ma neanche come oggetto cattivo. Ero per lei, inconsapevolmente, “morta”, o peggio, mai esistita. Per di più non poteva fare affidamento nei propri oggetti interni perché anche loro, non solo quelli esterni, erano andati incontro ad un meccanismo scissionale.
Anche gli oggetti interni erano diventati tutti cattivi e quindi non disponibili per “alimentarla” (il seno buono della Klein). Oltretutto gli oggetti in questa posizione solo alla fine diventano integri, ma per il resto sono parziali (seno, pene, dito etc…), motivo in più per cui non riescono a soccorrere il soggetto. Tutto questo rispetto alle conseguenze negative di questa posizione: essa è di importanza enorme infatti è grazie alla suddivisione del mondo in oggetti buoni e cattivi che il bambino riesce pian piano ad orientarsi nel mondo. Oggetti, come detto prima, che però sono anche parziali ed anche interni, quindi questa posizione è in effetti molto difficile da sostenere.

Un esempio valga per tutti: questa scissione in oggetti buoni e cattivi è, come dire, fluttuante; non solo riguardo a che è cattivo e che buono, ma anche se è esterno o interno. Il soggetto può proiettare l’oggetto buono interno in oggetto buono esterno per difenderlo dagli altri oggetti cattivi interni, viceversa può introiettare quello buono per proteggerlo dagli oggetti cattivi esterni. Si assiste allora a tutto un gioco di proiezioni-introiezioni per raggiungere quello che è lo scopo finale di tale posizione: la protezione degli oggetti buoni.
A complicare tale situazione il soggetto, in preda alla gelosia e alla distruttività più completa quindi, ha fantasie inconsce di essere stato lui, con i suoi prodotti corporali (urina, feci soprattutto) a “guastare” l’oggetto buono sia posto dentro di sé, che posto dentro gli altri (la madre soprattutto). Il lattante infatti, in preda alla gelosia per non poter avere a sua completa disposizione il seno buono della mamma, per la propria gelosia “sente” di aver “danneggiato irreparabilmente” tale seno e pertanto è certo di morire. Nel contempo è in azione il complesso edipico, indi per cui la gelosia e la distruttività hanno come bersaglio principale il padre (o meglio il genitale paterno), sempre avendo in fantasia che gli attacchi sono stati o mortiferi, oppure dannosi, ma non sufficientemente per distruggerlo, ma allora ci sarà la rappresaglia da parte del padre.
Rappresaglia che avrà come scopo quello di distruggere in toto l’infante. Vi è quindi come componente fondamentale di questa posizione la paura-certezza di venire trovati e uccisi per ritorsione per i propri attacchi.
Ecco perché la posizione prende il nome di schizo-paranoidea: schizo per scissione (buono/cattivo) e paranoidea e cioè nel continuo timore di rappresaglie dagli oggetti sia buoni che cattivi (continuo a ripetere il termini oggetti per vari motivi, ma soprattutto in quanto non persone integre, ma solo appunto oggetti parziali). Sarà solo con il raggiungimento della posizione depressiva che si riuscirà a unire il buono con il cattivo: niente sarà mai completamente buono, niente mai del tutto cattivo, e quando in fantasia (o meglio phantasia) distruggiamo uno di questi due non ci sarà l’orribile rappresaglia materna e o paterna perché appunto non sono solo permeati da cattiveria, ma anche da bontà e quindi non desidereranno la completa distruzione dell’altro oggetto.

Per quanto ci interessa nello specifico due sono gli elementi:

  • il non essermi resa conto che ci trovavamo nella posizione schizoparanoidea e come tali M. era incapace di introiettarmi quel poco che sarebbe bastato per “sopravvivere” fino al mio ritorno, tale posizione creava degli oggetti tutti buoni, tutti cattivi indi per cui, una volta divenuta cattiva per averla abbandonata, non è riuscita a far vivere almeno una piccola parte di me buona, nutriente, salvifica, ma avendo solo la sensazione di me come oggetto mortifero. Ciò non poteva che portare-come è stato- alla distruzione, per il momento, di quanto fatto in terapia, e di avere in me un oggetto oserei dire persecutorio. Non è la rabbia che la fa da padrona in questi casi, ma la sensazione, vista la propria quota di rabbia e di aggressività che tutto vorrebbe distruggere (e che forse vi riesce nei riguardi dell’analisi), che io non sarò da meno e le “andrò a caccia” finchè non la scoverò e la distruggerò

  • come già detto la perdita di (facendo un parallelo con Winnicott) della fiducia di base necessaria per poter riprendere l’analisi Che sarà di M. e di me non lo so. Per il momento si è ritagliata una nicchia a Genova da una delle sorelle. Non so se riuscirà mai a recuperare una parte di fiducia in me, e il che è lo stesso al momento nella terapia, infatti dopo averla finalmente vista dopo le ferie sembrava animata da una cupio dissolvi non indifferente, non penso per fare uno sgarbo a me, ma sia per la mancanza di oggetti buoni che potessero sostenere l’impegno duro di una terapia, sia per una regressione a quello che Winnicott chiama il “nervous breakdown”.


Per quanto riguarda V. la situazione al momento è meno compromessa: si è riusciti infatti a far combaciare meglio le ferie di ciascuna e non si agitano pertanto in lei i fantasmi di M. Si trova comunque anche lei nella posizione schizoparanoidea e, fin da piccoli accenni quando non è d’accordo con me, sento “l’asprezza” di un fulminio stravolgimento da oggetto buono che la può capire, accogliere, nutrire, in oggetto cattivo, che come tutti gli altri, non capisce nulla di lei.
Devo prestare cioè particolare attenzione, almeno nei primi tempi, a non diventare un oggetto cattivo, altrimenti la terapia non sarebbe possibile. Forse l’aspetto in cui si nota maggiormente in V. tale posizione è che non si concorda con lei allora si diventa oggetti cattivi e pertanto incompatibili con lei.
La terapia avrebbe quindi una fisiologica fine. D’altronde in V. più che in M. si notano i vissuti persecutori (chi non è d’accordo riguardo a quello che dice del figlio malato, delle difficoltà della cura, di quello che dovrebbero fare i Servizi Sociali, di tutto ciò di cui nessuno se non lei si prende in carico): chi non è d’accordo non solo non capisce, ma rischia di essere annoverato fra coloro che, non tanto vogliono il male del figlio e il suo, ma non sono disposti a fare nulla per migliorare anche di poco la loro situazione.

A nulla è valso il mio commento che non è sola: ha una figlia, un ex-marito presente, noi del Centro, gli Assistenti Sociali: per un attimo sono stata vista come colei che sta al di là della barricata e che nulla capisce. Siamo, come in M., ben lontani dal raggiungere la posizione depressiva.
Questo per quanto riguarda le tematiche psicoanalitiche, dal punto di vista sociale molto vi è da dire.

BIBLIOGRAFIA
Grosskurt Phyllis (1968), tr. it., Melanine Klein. Il suo mondo e il suo lavoro, Bollati Boringhieri, Torino, 1986
Meltzer Donald (1982), tr. it. Lo sviluppo kleiniano, Città di Castello, 1982
Klein M. (1972), tr. it., Il nostro mondo adulto e altri saggi, Psycho, Martinelli, Firenze, 1991
Klein M. (1961), tr. it., Analisi di un bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1971
Klein M. (1948), tr. it., Scritti, Bollati Boringhieri, Torino, 1978

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