Come ragiona chi commette un reato di stalking

Purtroppo non passa giorno, che le notizie di cronaca ci riportino l’ennesimo caso di stalking, come se oramai il fenomeno facesse parte del nostro normale vivere quotidiano, e nonostante il continuo impegno per combatterlo, sembra inesorabile la fine, che continuano a fare alcune persone che avevano denunciato di subirlo.

Non è semplice capire come funziona il ragionamento delle persone che fanno stalking, nel libro “Attrazione, ossessione e stalking di W.R. Cupagh e B.H. Spitzberg è stata analizzata la teoria del perseguimento degli obiettivi razionali, attraverso cui è possibile capire come si sviluppa il pensiero di chi ha un atteggiamento molesto, cosa lo mantiene vivo e perché è così difficile da sradicare.

Secondo questa teoria ogni molestia relazionale e motivata dall’obiettivo del molestatore di voler avere una relazione, con una specifica persona che funge da bersaglio. Il pensiero per questa persona diventa ossessivo, esagerandone l’importanza nella propria vita, pensando che il proprio valore personale, dipenda dall’ottenimento della relazione desiderata, di conseguenza quando l’obiettivo relazionale è negato, raddoppiano gli sforzi per ottenerlo, piuttosto che abbandonare l’obiettivo e accettare il rifiuto dell’altro.

La combinazione di una elevata importanza attribuita alla relazione desiderata, in quanto da essa dipende oltre che la felicità anche il proprio valore personale e della frustrazione provata nella difficoltà ad ottenerla, favoriscono reazioni di ruminazione (ovvero il ritorno ricorsivo e ricorrente sugli stessi pensieri e sulle situazioni ), razionalizzazione a proprio favore delle situazioni vissute e pervasione emotiva, facendo perdere di vista un comportamento di ricerca di affinità che sarebbe invece adeguato.

Quando una persona percepisce che è impossibile ottenere una relazione con un partner che la rifiuta, normalmente abbandona il campo e dirige i suoi sforzi verso un obiettivo alternativo, mentre chi agisce stalkink, è contrario, piuttosto che abbandonare, intensifica ulteriormente il suo impegno per raggiungerlo, innescando il comportamento molesto.
Questo processo avviene in questo modo perché si da come già detto una eccessiva e distorta importanza al raggiungimento dell’obiettivo, come se da questo, dipendesse tutto sia sul piano pratico che emotivo, come estrema gioia e felicità se lo si raggiunge o al contrario se non lo si raggiunge, tristezza, sofferenza, paura e sensazioni di devastazione.

Oltre alle aspettative che riguardano le conseguenze, un altro aspetto che condiziona il pensiero del molestatore è dato dalla presunzione di fattibilità, ovvero è convinto che prima o poi raggiungerà il loro obiettivo, indipendentemente dalle risposte negative dell’altro.

Quando l’obiettivo di possedere la relazione desiderata viene ostacolato, aumenta la gelosia e il pensiero diviene ruminativo, si pensa continuamente alla vittima, a come possederla, come potersi avvicinare, sorvegliarla e a farle violenza. La ruminazione persiste nel tempo fino a che l’obiettivo non viene ottenuto, può passare solo se viene abbandonato.

Dal punto di vista emotivo il rifiuto innesca nel molestatore un insieme di emozioni come paura, rabbia, colpa, vergogna, gelosia e tristezza, che passeranno solo con la conquista della propria vittima. Si innesca in questo modo un circolo vizioso, dove il pensiero ruota sempre intorno agli stessi obiettivi e più questi non vengono raggiunti, più la ruminazione aumenta.

Ultimo aspetto che contribuisce a non far desistere il molestatore dal suo intento, è la tendenza a interpretare in modo distorto le informazioni che gli arrivano dall’esterno, attribuiscono una valenza positiva al proprio comportamento e acquisiscono un atteggiamento che legittima una molestia persistente e aggressiva. In più qualunque minimo atteggiamento di apertura da parte della persona molestata, viene frainteso e considerato come una volontà di riavvicinamento, ma una volta chiarito che non c’è questa volontà, emerge in modo ancora più forte la rabbia e la frustrazione per non poter possedere la persona desiderata.

Non è per niente semplice modificare questo tipo di pensiero, soprattutto se manca da parte del molestatore, la volontà di cambiare o la possibilità di mettere in discussione il proprio agire e le proprie convinzioni.

Per chi si trova nella posizione di vittima, una volta che ci si rende conto di trovarsi davanti a una persona che agisce e pensa in questo modo, oltre a chiedere aiuto alle autorità competenti, avvalersi di un adeguato sostegno psicologico, e coinvolgere persone care e amici nella propria richiesta d’aiuto, è molto importante avere una atteggiamento chiaro di chiusura e allontanamento dalla persona che le molesta, evitando qualsiasi contatto con quest’ultima o con le persone che gli stanno vicine, questo potrebbe aiutare, almeno nelle fasi inziali a dare segnali coerenti di rottura evitando fraintendimenti.

Poichè chi si trova nella posizione di vittima, è spesso più consapevole del problema e disposta ad affrontarlo per poter star meglio, deve poter intraprendere un lavoro su se stessa, che la possa aiutare a capire cosa può fare per proteggersi e evitare di ricadere in futuro in situazioni simili.

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