Lo stalking da un punto di vista psico-giuridico

Lo stalking nell’ordinamento giuridico italiano.

Il fenomeno dello Stalking, altrimenti detto “sindrome del molestatore assillante”, ha cominciato a destare un certo interesse, non solo nell’opinione pubblica, ma anche da parte di alcuni studiosi della psicologia e della sociologia, in seguito a certi eventi, accaduti negli anni ’80, in cui la molestia assillante venne indirizzata a dei personaggi di spicco dello Star System, personalità dello spettacolo e dello sport. Tra gli altri ricordiamo le tenniste Martina Hingis e Serena Williams inseguite, in tutti i tornei internazionali, dai propri persecutori; le attrici Theresa Saldana pugnalata dal suo stalker a Los Angeles nel 1982 e Rebbecca Shaffer assassinata nella sua metropoli dal suo persecutore nel 1989. Episodi questi, che hanno ispirato la prima legge anti-stalking in California, in vigore dal 1992. Altre vittime sono state Sharon Stone, Jodie Foster, Nicole Kidman, Steven Spielberg ed in Italia Irene Pivetti e Catherine Spaak. Studi epidemiologici hanno però dimostrato che episodi di stalking avvengono, con maggiore frequenza, al di fuori del mondo ristretto delle celebrità e dei fatti di cronaca nera, verificandosi all’interno di quella vasta area che è la violenza domestica (Picozzi & Zappalà , 2001)

Da un punto di vista etimologico, la parola “stalking” deriva dal linguaggio tecnico - gergale della caccia e letteralmente significa “fare la posta”. Questa definizione, sebbene sia la più semplice fra le tante in seguito enunciate da diversi studiosi della materia, sembra la più vicina al comportamento tipico del molestatore assillante, che è quello di seguire la vittima nei suoi movimenti o meglio “appostarsi” alla sua vita (Micoli, 2012).

Lo “stalking”, quindi, costituisce un fenomeno sociale molto rilevante ed in costante emersione, come dimostrano le pagine di cronaca dei quotidiani o mettono in luce le statistiche. Intuitive sono le conseguenze negative sulla vittima, così come è enorme l’impatto sociale: lo stalking è tale da generare danni alla salute, in alcuni casi lo stalker giunge a sopprimere la sua preda, oppure la vittima si suicida. Nella maggior parte delle situazioni, i disagi psichici ed esistenziali dei danneggiati producono rilevanti ripercussioni sulle famiglie e sulle persone vicine alla vittima (Picozzi & Zappalà , 2001) .

Nonostante lo stalking costituisca un fenomeno di antica data, la sua criminalizzazione risale a tempi abbastanza recenti, considerato che la prima legislazione antistalking, è stata emanata in California nel 1990 ( De Fazio & Galeazzi, 2004).

Attualmente lo stalking costituisce reato nella maggior parte degli ordinamenti dei Paesi di lingua inglese, quali Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito (Daphne, 2007). In Europa, invece, detta condotta assumeva rilievo solo in ambito civile. Il fenomeno veniva inquadrato in altre fattispecie destinate a sanzionare altre condotte illecite che, normalmente, vi si accompagnano , quali, ad esempio: omicidio, lesioni personali, ingiuria, diffamazioni, violenza privata, minaccia, violazione di domicilio, danneggiamento(Caldaroni, 2009).

Lo stalking anche in Italia è diventato reato con l’art. 612 bis, che rappresenta una delle novità più significative introdotte con il D.L. 23.2.2009, n. 11, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori» (Merra & Marzi, 2009). Il nuovo reato, prevede la pena della reclusione, da sei mesi a quattro anni, a carico di chi, con condotte reiterate di minaccia o molestia, ingeneri nella vittima «un perdurante e grave stato di ansia o di paura», ovvero un «fondato timore» per l’incolumità propria, di un congiunto o di una persona a lei legata da una relazione affettiva, ovvero la costringa ad «alterare le proprie abitudini di vita» (Sorgato, 2014).

Bisogna tener presente che ogni anno circa 70.000 donne sono vittime di stupri o di tentati stupri, pertanto il nuovo reato di “stalking” o atti persecutori, incrimina quelle condotte reiterate di molestia o minaccia che causano rilevanti disagi psichici alla persona offesa. La scelta del legislatore, dal punto di vista normativo, è stata quella di introdurre nel codice penale una nuova fattispecie incriminatrice. Tale condotta delittuosa è stata collocata nella sezione dei delitti contro la libertà morale (Parodi, 2009).

 

Definizione di stalking.

Con il termine “stalking” si intende una serie di comportamenti tramite i quali una persona affligge  un’altra, con intrusioni e comunicazioni ripetute e indesiderate, a tal punto da provocare ansia e paura ( Penati, 2011).

La sindrome è costituita da:

1. un attore (stalker) che individua una persona nei confronti della quale sviluppa un’intensa polarizzazione ideo – affettiva;

2. una serie ripetuta di comportamenti con carattere di sorveglianza e/o di comunicazione e/o di ricerca di contatto;

3. la persona individuata dal molestatore (stalking victim) percepisce soggettivamente come intrusivi e sgraditi tali comportamenti, avvertendoli con un associato senso di minaccia e di paura (De Fazio & Sgarbi, 2012).

Le condotte indesiderate possono essere di tre tipologie principali:

  • Comunicazioni indesiderate che di solito sono rivolte alla vittima direttamente, ma possono anche consistere in contatti o minacce con la famiglia, gli amici e i colleghi della stessa vittima. Lettere e telefonate sono le forme più frequenti di comunicazione, insieme ad sms ed email;
  • Contatti indesiderati che comprendono i comportamenti dello stalker diretti ad avvicinare direttamente la vittima come pedinamenti, appostamenti, frequentazione dei luoghi frequentati dalla vittima oppure svolgimento delle sue stesse attività;
  • Comportamenti associati che consistono nell’ordine o cancellazione di beni e servizi a carico della vittima, al fine di intimidirla o danneggiarla ( Daphne, 2007).

Una parte della dottrina individua l’origine etimologica del termine “stalking” nella lingua inglese, dove assume il significato di caccia. Quindi lo “stalker”, è il cacciatore che insegue furtivamente la preda  ( Cadoppi, 2008).

I vari comportamenti di uno stalker, pur essendo spesso innocui e normali se considerati singolarmente, visti nel loro ossessivo insieme rappresentano una gravissima invasione della sfera personale della vittima, che si trova costretta a vivere un’esistenza costantemente condizionata dalla presenza del molestatore, e dalla paura che la molestia possa sfociare in pericoli per l’incolumità propria e dei congiunti.

In maniera schematica, ricordando quanto detto dell’agito del molestatore assillante, i comportamenti, sebbene si presentino con maggiore frequenza in modalità mista, possono essere così classificati:

lettere e fiori 60%

telefonate 78%

pedinamento 75%

sorveglianza sotto casa 35%

danno alla proprietà 35%

violazione di domicilio 26%

visita sul luogo di lavoro 40%

appostamenti vari 40%

minacce di violenza 76%

violenza a terzi 6%

violenza fisica di diversa entità 37%

violenza sessuale 10%

tentato omicidio 3%

omicidio/omicidio familiare 5%

omicidio/suicidio 5% ( Caretti & Craparo, 2011).

Tale classificazione non rispecchia i criteri di ordine e di frequenza, quanto quelli di gravità. Tra i casi estremi, la violenza a terzi, solitamente animali, deve essere concepita come vera e propria minaccia da non sottovalutare, in quanto spesso sconfina con la possibilità omicidiaria ( Abazia, 2015).

 

Definizione di stalker.

Lo stalking è un fenomeno, in primis, relazionale, che trova la sua genesi in equivoci ed incomprensioni nei rapporti interpersonali, nella non accettazione dell’atteggiamento altrui, in difetti di comunicazione, oppure nella volontà del molestatore di imporre sull’altra persona un particolare tipo di rapporto che, per chi ne è destinatario, risulta fortemente indesiderato ( Ravazzolo & Valanzano, 2010).  

Ci sono varie tipologie di stalker:

  • il molestatore assillante erotomane;
  • l’amante ossessivo, il tipico stalker psicotico, che prende di mira persone famose o perfetti sconosciuti;
  • il tipo più diffuso è il semplice molestatore assillante, che inizia lo stalking dopo un rapporto reale finito male ( Kamphuis &  Emmelkamp, 2009)

Un altro tentativo, dovuto a Meloy, di classificare gli stalkers, è basato su tre classi di vittime di stalker:

  • ex o attuale partner
  • conoscenti
  • sconosciuti

Una terza tipologia è quella elaborata da Mullen e altri, che distinguono:

  • lo stalker rifiutato
  • lo stalker in cerca di intimità
  • il corteggiatore inadeguato
  • lo stalker rancoroso
  • lo stalker predatore ( Berri, 2012)

 

Queste tipologie confermano la concettualizzazione di stalking come riflesso di una patologia dell’attaccamento. La percezione del rifiuto o dell’abbandono, attiva il sistema di attaccamento maladattivo dello stalker e lo porta a cercare la vicinanza di una figura di attaccamento, anche quando proprio quest’ultima potrebbe essere la fonte di minaccia. Si potrebbe dire che lo stalker, motivato dall’ansia di disintegrazione di un auto-sistema vulnerabile, è incapace di staccarsi dalla persona che possiede la chiave del suo fragile equilibrio psichico ( Kamphuis &  Emmelkamp, 2009).

La maggioranza dei comportamenti assillanti vengono messi in atto da partner o ex-partner di sesso maschile (in Italia il 70% degli stalkers è uomo), con un’età compresa tra i 18 ed i 25 anni (il 55% dei casi), quando la causa è di abbandono o di amore respinto, o superiore ai 55 anni, quando ci si trova di fronte ad una separazione o ad un divorzio. Sebbene sia possibile un certo uso ed abuso di sostanze e/o di alcool, questa non risulta essere una caratteristica essenziale del quadro descrittivo del molestatore in questione.

L’età dei soggetti fa intendere, da un punto di vista psicologico, una personalità debole o non ancora ben formata e che, per la paura di essere abbandonati, magari come ripetizione di esperienze infantili precoci di separazioni avvenute, si lega ossessivamente a qualcuno. Oltre a ciò, è possibile che egli sviluppi patologie psicologiche associate di personalità (Asse I del DSM IV); in particolare, nel caso del soggetto stalker tipicamente di indole narcisistica ( Kamphuis & Emmelkamp, 2009).

Sono state individuate cinque possibili strategie difensive, per prevenire e difendersi dallo Stalker :

1. fuga/evitamento: nel caso dell’aggressione è la miglior risposta, ma la sua probabilità di successo si riduce dipendentemente dall’età e dalla prestanza fisica dell’aggressore e della vittima; spesso avviene in un luogo isolato, senza via di scampo, a volte di fronte a più aggressori.

2. risposta verbale non confrontativa: la vittima si trova di fronte al molestatore e, con l’intento di dissuaderlo, cerca di suscitare empatia (“ti ascolto” o “ti capisco”), essendo sincera (“ho paura”) o negoziando, al fine di prendere tempo ed escogitare una strategia migliore. Spesso però lo stalker, troppo eccitato, non si interessa di queste frasi.

3. resistenza fisica non confrontativa: resistenze simulate (svenimenti, epilessia, mutismo) o del tutto involontarie e spontanee (pianto o in casi gravi perdita del controllo sfinterico). Queste tecniche possono offrire un’opportunità alla vittima.

4. risposta oppositiva verbale: si urla per attirare l’attenzione o ci si sfoga per la rabbia. Lo scopo è comunque lanciare nello stalker il messaggio di non essere disposti a sottomettersi.

5. resistenza oppositiva fisica: si colloca lungo un continuum che va da risposte moderate (divincolarsi) a risposte violente (colpi volontari su collo e genitali). In questo caso bisogna che la vittima si aspetti una reazione a questa ancora più aggressiva.

6. sottomissione: spesso risultato della paura o della convinzione che così ci si possa salvare. E in generale lo è, soprattutto nella riduzione dei danni fisici.

La strategia migliore sembra essere quella comunque di indurre lo stalker a parlare di sé, facendo leva sul suo narcisismo; in tal modo la vittima, fino a quel momento oggettivizzata, si riappropria di una sua esistenza come persona (Picozzi & Zappalà, 2001).

 

Gli effetti dello stalking per la vittima.

Lo stalker produce nella vittima profondi turbamenti che ledono, molte volte in maniera irreversibile, l'equilibrio fisico e psichico di quest'ultima perché in seguito all'evento la vittima sperimenta un deterioramento mentale che va ad intaccare il suo benessere psicofisico (Ghirardelli, 2011).

In seguito al trauma, lo stato d'animo della vittima potrebbe essere riassunto in una fase disorganizzativa, nella quale è riscontrabile uno stato di negazione, meccanismo di difesa che serve ad allontanare il pensiero di quei tragici momenti. Nel tentativo di superare l'accaduto o di minimizzare i danni vengono messi infatti in atto dei veri e propri meccanismi di difesa. Tuttavia, nel tempo, tale "materiale rimosso" viene a colludere con un sentimento di ricerca della realtà, in seguito al quale la vittima sarà pervasa da senso di colpa.

Il soggetto "stalkizzato", infatti, ripercorre mentalmente più volte la scena del crimine ponendosi domande cercando di capire cosa altro poteva dire o fare per prevenire ciò che invece si è verificato. Le vittime di stalking conserveranno a lungo delle vere e proprie ferite; le conseguenze dello stalking infatti, per chi le subisce, sono variegate e spesso si cronicizzano. Difatti, a seconda degli atti subiti e delle emozioni sperimentate, nella vittima, si possono riscontrare vari quadri sintomatologici. In seguito all'evento traumatico, infatti, la vittima sarà pervasa da stati d'ansia acuti, problemi di insonnia fino a dei veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress (Fabbroni & Giusti, 2009).

 

Le indagini psico-forensi in tema di “stalking”.

La sistematica violazione della libertà personale posta in essere mediante comportamenti ripetuti e intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi può condurre a reazioni psichiche delle vittime, a volte tali da rendere necessaria un’indagine medico-legale finalizzata alla valutazione del danno alla persona. Il timore di rappresaglie, oppure il pudore e il senso di colpa che affliggono il partner responsabile di aver interrotto la relazione affettiva, possono, in buona parte dei casi, scoraggiare la vittima dal darne segnalazione all’autorità giudiziaria o persino parlarne con i propri cari (Penati, 2014). Il legislatore ha pertanto strutturato il delitto di atti persecutori all’interno della sezione del Codice Penale dedicata ai delitti contro la libertà morale e l’ha organizzato secondo una condotta a forma libera. Sulla base delle definizioni normative, lo psicologo forense, magari coadiuvato da altri specialisti,  è chiamato quindi ad esprimere un parere tecnico sulle condizioni indispensabili per la realizzazione della fattispecie, ovvero ad identificare la presenza o meno di derive psicopatologiche che potrebbero caratterizzare quella nozione di malattia propria del delitto di lesioni personali (art. 582 C. P.).

Alcuni autori come Melissa Collins e Mary Beth Wilkas descrivono una vera e propria sindrome specifica nella vittima di stalking, definita STS (Stalking Trauma Syndome) e caratterizzata da aspetti analoghi ad altre fattispecie quali il disturbo post-traumatico da stress, la sindrome da maltrattamento e la sindrome da trauma da rapimento. È anche vero che la dimostrazione del nesso causale che può esservi fra una condotta tipo stalking e una patologia lamentata dalla vittima potrebbe dipendere, in modo esclusivo e concausale, da fattori differenti e riconducibili a vissuti familiari problematici, a disagio lavorativo o a stati di difficoltà emotiva, a turbamenti del tutto diversi e persino preesistenti disturbi psichici della vittima, in conseguenza dei quali tali comportamenti verrebbero percepiti irragionevolmente e ingiustamente fatti ricondurre nella categoria dello stalking  (Rocca,  Zacheo & Bandini, 2010) . Alcuni autori sostengono che, in ragione di una “multifattorialità” causale, si potrebbe giungere ad attribuire “concausalità” a tutti gli eventi con la conseguente difficoltà di selezionare quelli giuridicamente rilevanti. Dinnanzi a uno stesso evento traumatico sono dunque possibili reazioni del tutto differenziate e coerenti con la personalità di base del danneggiato. Per comprendere la reazione patologica che ne può derivare, provocando uno scompenso all’equilibrio psichico preesistente, è fondamentale analizzare compiutamente la struttura psichica che coordina l’attribuzione del significato all’evento traumatico allo scopo di verificare la sussistenza di un nesso di causalità fra l’evento psico-traumatizzante e le conseguenze psicopatologiche dello stesso.

Di fronte a  tale complessità valutativa, l’indagine psico-forense ha il compito importante e decisivo di descrivere e motivare adeguatamente i percorsi che conducono da un’esperienza traumatica ad un esito psicopatologico, differenziandone, caso per caso, gli elementi rappresentativi per giungere alla comprensione e alla spiegazione del rapporto causale. Un simile approccio potrà consentire una corretta valutazione dei singoli soggetti e, nei casi dubbi o complessi e quindi difficilmente risolvibili,

Secondo Mullen, la maggioranza degli stalkers sono persone sole che sono socialmente incompetenti, ma con la capacità di spaventare e di turbare le loro vittime (Mullen, Pathé & Purcell, 2000) .

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